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24/02/2011 21:22 CEST - L'OPINIONE

Mille motivi per rimpiangere Juju

TENNIS - Elogio senza fine della tennista belga, una giocatrice che non sarebbe mai potuta nascere in Russia o negli Usa. Avrebbero rovinato il suo genio. “Pochi atleti hanno saputo vincere così tanto con alle spalle così tanti problemi”. Bruce Jenkins racconta le impressioni di Martina Navratilova e colleghi su Justine Henin, una tennista unica nel suo genere. Bruce Jenkins (Trad. di Teo Gallo)

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Il ritiro di Justine Henin è uno degli episodi più tristi nella storia recente dello sport, e nessuno sembra essere più affranto che la stessa Justine. In una recente conferenza stampa ha definito la sua decisione come una “condanna”, emessa dal suo tormentato gomito, e la sensazione è stata che questo infortunio la tormenterà ancora per qualche anno.
Ci sono moltissime ragioni per sentirne la mancanza. Ci mancherà l’appassionante rivalità con Kim Cljisters e Serena, quel rovescio a una mano così puro, la possibilità di vederla lottare e sconfiggere la nuova generazione di picchiatrici da fondo, e l’eterno mistero della sua persona.

Moltissime grandi giocatrici avevano ed hanno una personalità affine al proprio gioco: Billie Jean King, Martina Navratilova, Steffi Graff, e la stella più recente, Francesca Schiavone. Ci sono poi i casi di “opposti concordi” – Monica Seles era deliziosamente capricciosa fuori dal campo (prima di essere aggredita) e il suo gioco era di una violenza brutale – e di sicuro la Henin rientra in quella categoria. Il gioco della belga trasmetteva gioia e libertà, e diede al circuito un bella dose di tennis a tutto campo. Navratilova disse una volta che la Henin era una delle poche giocatrici che valeva il prezzo del biglietto, “perché gioca nella maniera giusta. Ma tali caratteristiche (gioia, libertà) non erano presenti dentro di lei. Fin dall’infanzia la vita di Justine è stata segnata da dolore, conflitti, diffidenza e separazioni. Più di una volta ci apparve distratta o triste durante le conferenze stampa, anche dopo vittorie importanti. La sua vita era stressante e complicata, e il suo volto non mentiva.
Ricordo le parole di Scott Price, (columnist di Sport Illustrated) che scrisse della Henin: “ Pochi atleti hanno saputo vincere così a lungo con alle spalle così tanti problemi” . Nella conferenza stampa del suo addio all’Australian Open Justine ha detto: “ Se c’è una cosa di cui mi pento è di essermi protetta così tanto e non aver potuto esservi più vicini. Spero che mi perdonerete”.

Naturalmente. Perdonare è facile quando si tratta di veri grandi atleti, e la vita della Henin era semplicemente complicata, non segnata da comportamenti criminali o da uno stile di vita dissennato. Quello che è più difficile da perdonare, dal punto di vista tennistico, è la fredda e robotica relazione tra i coach e i nuovi prospetti. Per quanto grande Justine fosse, non avrebbe mai scatenato una rivoluzione da quel punto di vista. E’ quasi come se lei avesse brillato troppo. Quando ho accennato il discorso a Joel Drucker, noto autore, storico e scrittore tv sommamente rispettato nel mondo del tennis, mi confessò “ Justine ha uno stile che non si era mai visto prima” disse al momento del suo ritorno lo scorso anno. Il suo gioco ha quel livello di varietà, come un Federer al femminile in un certo senso, una tennista a tutto campo, e aggressiva. Diversa da Martina, Justine è aggressiva da fondocampo ed è in grado di creare molti angoli e molti colpi diversi. Lei usa l’ampiezza del campo in un modo unico, come nessuna donna - o uomo – ha mai fatto. Colpisce in anticipo, apre il campo, e può colpire da entrambi i lati e fare male. E poi ha quel “non so che”, quel qualcosa che non si può insegnare. Non è nemmeno come Billie Jean King, basicamente una “serve and volleyer”, c’è qualcosa di diverso, ed ha a che fare con la sua evoluzione, con il suo sviluppo. Justine è cresciuta in un piccolo circolo. Doveva già essere piuttosto brava, e veloce, cosicchè non doveva stare troppo a preoccuparsi di vincere o perdere. Lei giocava. Le piace giocare quell’angolo col rovescio, ma a volte gioca uno slice per togliere l’equilibrio all’avversaria e adora sfondare col dritto. E’ piacevole da vedere perché le piace la transizione. Non solo difesa o attacco, bensì qualcosa di molto più fluido. Lei ti può rispondere con un “chip and charge” (un attacco in slice vicino alla riga e discesa a rete ndr) ma non solo; può anche giocare un colpo intermedio e lasciare nel dubbio chi sta dall’altra parte, tipo “ E adesso cosa farà?”
“ Ne ho parlato con Martina e si è detta d’accordo” diceva Drucker. “ E’ una combinazione di stile, capacità di visione e etica del lavoro che non avevamo mai visto prima nel circuito. E poi c’è una parte di genio, non c’è dubbio”.

Dunque qual è stato l’impatto della Henin nel regno del giovane tennis femminile? Nessuno. Zero. Come Martina. Ricordo che disse una volta “ Uno pensa che magari qualcuno dei giovani possa vedere un serve and volley che porta risultati e seguire quel percorso, ma … non è così. Immagino sia un lavoro troppo duro.”
Molte giovani stelle recenti vengono dalla Russia, ma si può riassumere l’ampiezza della loro ingenuità in poche sillabe. Non ne hanno. “ Dubito fortemente che una Justine Henin sarebbe potuta nascere in Russia o negli Usa” dice Drucker. “Una come Justine, alta una pinta, non avrebbe mai avuto la possibilità di sviluppare da sola quel rovescio a una mano così elastico. L’avrebbero spinta a giocarlo con due mani, a diventare solida da fondo, rovinata da allenatori che insegnano poco e genitori che vedono il tennis come una opportunità per ottenere guadagni e borse di studio invece di valorizzare altri aspetti, come la fiducia in se stessi, la pratica sportiva e il duro lavoro quotidiano"

Mi chiedo, per esempio, se a Melanie Oudin abbiano mai insegnato a fare il serve and volley o il chip and charge, almeno come tattica occasionale. Ricordo di aver sentito una storia riguardo alla madre della Safina, che aveva definito lo stile di Fabrice Santoro come “anti-tennis”. Ecco perché essere nata in Belgio è una delle cose migliori che sia capitata a Justine. Ha avuto la libertà di sperimentare e costruirsi uno stile di gioco adatto a lei. Sfido i genitori moderni, così legati alla logica della vittoria, a dedicare più tempo a un approccio positivo e sostenibile con lo sport. E per quanto riguarda la Russia ( Drucker scuote la testa) “ È un peccato che giocatrici così volenterose e provenienti da un paese tanto ricco di letteratura conoscano solo la composizione”
Una fetta importante del boom del tennis negli anni 70 – ben oltre la vistosità di un McEnroe , un Connors o un Nastase – la si deve alla efficacia e alla robotica concentrazione di Chris Evert e Bjorn Borg, che umiliavano gli avversari con il loro rovescio bimane. Il gioco sarebbe cambiato per sempre, e non proprio in meglio.
“ Quei due diventarono l’esempio di come far giocare i ragazzini – e di come guadagnare un bel po’ di soldi con il tennis.” Prosegue Drucker . “ Ovunque prima del 1968 la questione era essere il miglior giocatore possibile, per rispondere alla sfida. Anche Sandy Mayer me lo diceva. Sapevi che non avresti guadagnato un soldo, in ogni caso, quindi si trattava di avere tutti i colpi a un certo livello e dare il meglio di sé come giocatore. Oggi, con i genitori, si tratta di vincere e basta. Si spaventano quando vedono qualcuno come Federer o Henin, sono intimoriti perché ci vuole molto tempo per raggiungere quel livello. E’ triste che sia così. È uno specchio della società. I genitori si preoccupano troppo quando i figli perdono. “Hai perso: è inaccettabile. Devi vincere”. Quindi un bambino, grazie ai modelli di Borg e Evert , sarà un giocatore regolare, con un rovescio bimane, concentrato quanto basta e … via. Magari uno slice a una mano ogni tanto, e avrò tutto quello che mi serve. A 12 anni avrò gli strumenti per diventare un pro, per guadagnarmi la mia borsa di studio, per vincere. A 14 o 15 sarò come Leyton Hewitt. O Elena Dementieva.
“Per questo vedere Justine” conclude Drucker “era come guardare un arcobaleno”

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Bruce Jenkins (Trad. di Teo Gallo)

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