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28/07/2011 11:48 CEST - IL PERSONAGGIO

Stacey Allaster a tutto campo

TENNIS - Parla Stacey Allaster, grande capo della WTA. Intervistata dal New York Times, esce dai soliti argomenti relativi al tennis e parla di se stessa, del suo passato e di ciò che ritiene importante nel suo lavoro. "Credo molto nella leadership". In merito a potenziali candidati ad entrare nell'azienda WTA, ha le idee chiare: "Mi interessa qualcuno che veda questo lavoro come quello dei suoi sogni". Trad. a cura di Elisa Piva

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Ti ricordi la prima volta che sei stata a capo di qualcuno?
“Avevo 18 anni ed ero la direttrice dei giocatori professionisti del tennis club locale. Così avevo giovani professionisti che lavoravano per me - sia studenti delle scuole superiori che studenti universitari. Io ero il capo pro ogni estate, e poi ho voluto provare qualche altra esperienza. Così ho diretto una franchigia di pittori professionisti di un College nel mio ultimo anno di università. Sono passata dall'indossare un bianco ad un altro. Avevo otto ragazzi che lavorano per me. Mi sono confrontata ad un diverso livello e al di fuori dell'ambito dove ero a mio agio, al di fuori del mondo che conoscevo. Sentivo che questa esperienza per un anno sarebbe stata una buona esperienze di leadership imprenditoriale”.

Quali erano i tuoi obiettivi di carriera in quel momento?

“Da subito ho capito che volevo essere in marketing sportivo. Questo percorso è passato attraverso una scuola di diritto o un MBA, in generale tutti coloro che erano nell'industria avevano questo percorso. Ma appena laureata lavoravo già a Toronto. Ero il capo del Richmond Hill Country Club, con un migliaio di membri, e due o tre professionisti che lavorano per me. Ho iniziato a formare alcuni atleti e ottenuto l'esposizione al Tennis Ontario Association. Ben presto mi hanno preso per un ruolo di sviluppo, ma anche nelle vendite. Sono dovuta andare in strada, vendere sport, dare un consulto gratuito e insegnare alle persone a godersi lo sport. Ho passato due anni in giro per tutta la provincia con la mia Volkswagen, sia a convincere la gente a fare sport e che ad amare lo sport, o convincere la gente a contribuire a finanziare l'Associazione Tennis Ontario. Ho poi cominciato poi a dirigere gli eventi, e ottenere sponsor. Sapevo che volevo solo arrivare a Tennis Canada, l'organizzazione nazionale. Mi hanno rifiutato tre volte, ma sono persistente e no vuol dire sì. Sono entrata come coordinatrice di progetti speciali. Quindici anni più tardi, sono stato diventata direttrice dei Canadian Open, maschile e femminile”.

Poi cos'è successo?
“Siccome avevo appena lavorato nel tennis e principalmente vendite, ho voluto prendere un MBA. Mi ha aperto gli occhi ad un nuovo mondo di menagement. Nelle sessioni sulla gestione, alcune lampadine hanno cominciato ad accendersi, dicendomi dove avevo fatto bene, e dove invece non ero stata una buona manager. Hanno aiutato a guidarmi sul tipo di manager e leader volevo essere”.

Parlaci di quei “momenti lampadina”
“Io sono molto competitiva, e prima basavo tutto sui risultati e sul voler vincere a tutti i costi. Probabilmente ho speso troppo tempo all’inizio nel focalizzarmi sul risultato finale della partita, ma non riconoscevo che, per vincere davvero la partita, hai bisogno di tempo per far crescere la tua squadra, dargli energia e capire ciò che la motiva. Non tutti sono motivati al mio stesso modo.Ciò non significa che io ho ragione e loro torto. Potete avere tutte le migliori idee del mondo, ma se non si hanno le persone che realmente sono motivate per metterle in pratica, il successo non si raggiunge. Ho una squadra ormai diversificata, con una varietà di competenze. Noi tutti non abbiamo bisogno di essere uguali, né dovremmo esserlo. E’ una questione di capire di cosa ognuno ha bisogno per essere motivato e riuscire nell’impegno”.

Come ci riesci?
“Se siamo andati fuori pista per qualche ragione, per prima cosa penso: “Ho definito una linea chiara? C’è qualcuno che non ha capito bene quello che stavamo cercando raggiungere? Stavo chiedendo troppo alla squadra o al singolo? Abbiamo o hanno il giusto grado di abilità per raggiungere l’obiettivo? Quindi io sono molto più proiettata nel guardare il prima che non pensare subito “non sono arrivati all’obiettivo”. Penso solo che, ora che sono maturato, sono una migliore comunicatrice e sono più consapevole di tutti quelli che sono intorno a me, delle loro esigenze, e di quanto sono concentrati per raggiungere il risultato”.

Quali sono state alcune altre importanti lezioni di leadership che hai imparato?
“Bhè ho sicuramente dovuto superare le avversità nella mia vita. Per darvi un esempio, non ero la ragazza che aveva un solo percorso da seguire per la consegna dei giornali, ne avevo tre. Avevamo bisogno di soldi e volevo praticare sport e mia mamma dava tutto per me, ma c'era un limite, così mi diceva che dovevo guadagnare qualche soldo per poter praticare sport. E così, nel bel mezzo di un inverno canadese, portavo i giornali a 1.500 case ogni settimana. Nei mesi invernali ho usato la slitta, e nei mesi estivi ho usato il carro. Ricordo di aver raggiungo grandi risultati nello sport solo con la tenacia. Sono tra quelle basse, e la gente mi diceva: "Non puoi giocare a tennis”. Posso anche dirmelo, ma io mi limiterò a dimostrare il contrario. Ho sempre trovato un modo, qualunque fosse la sfida”.

Dimmi di più su tua madre e tua nonna
“Hanno affrontato entrambe un sacco di avversità nella loro vita, così io ho avuto due modelli che, giorno dopo giorno, nonostante tutte le avversità, mi hanno mostrato come sia possibile ottenere qualche cosa - e non permettere a nessuno di dirti che non può. Mia nonna ha cresciuto cinque figli. Aveva la sua attività in proprio. Un negozio di scarpe - Kiddie Cobbler - in casa. Mio nonno era malato. Mia madre era una infermiera. Si era ferita alla schiena quindi non poteva lavorare. Abbiamo dovuto cercare altri modi per fare soldi. Mia nonna l'ha aiutata a comprare un bilocale, e l’abbiamo trasformato in una casa per studenti universitari. Avevamo otto persone che vivevano con noi. Ecco come ha fatto i soldi. E poi ho sempre lavorato. Non mi è mai mancato niente, anche se sono stati momenti difficile. Eravamo imprenditoriali. Si doveva fare quello che doveva fare. Ed ero io ero una perona piuttosto timida, tranquilla e riservata. Quindi probabilmente è stato un bene per me crescere sempre in mezzo alla gente e imparare come parlare con loro, soprattutto in giovane età. In quegli anni da adolescente, di solito non sei così a tuo agio”.

Parliamo di assunzioni. Come le fai?
“Ho iniziato con il mobilitare una squadra per fare il mio lavoro iniziale. Alla fine della giornata, chiunque deve riferire direttamente a me, dovrà a lavorare bene con la squadra. Così ho immediatamente ottenuto il buy-in da quella squadra, chiunque sta per unirsi al nostro team. Penso che sia un punto critico. Voglio solo che loro si sentano parte del processo decisionale su chi sta per unirsi al nostro team e che sta per contribuire ad aiutarci collettivamente a raggiungere i nostri obiettivi. Il mio ruolo è quello di vedere come si adattano e assicurarsi che siano motivati, dinamici, e che la loro personalità siano ben mescolate con la squadra. Sono persone con iniziative? Sono ambiziose? Hanno avuto delle difficoltà, personalmente o professionalmente? Cerco di guadagnarmi la loro fiducia, ma con umiltà. Quando sei uno ambizioso, verrai guidato e devi essere fiducioso, ma credo che nella leadership, e per lavorare bene nella mia squadra, il rispetto e l'umiltà sono fondamentali. Sono componenti chiave di ciò che siamo. Quindi chiedo loro cosa fanno per divertirsi e ciò che li motiva. Chiedo loro cosa dicono i loro coetanei su di loro, cosa dicono quelli a stretto contatto con loro, o quello che dicono i loro amici. Chiedo loro, quando colpiscono i blocchi stradali, come fanno a portare le persone dalla parte delle loro idee, cerco di capire un po' del loro stile di gestione? Sono collaborativi? Capiscono che hanno avuto modo di nutrire le persone e di farle crescere?

Se potessi chiedere alla gente solo una o due domande per decidere di assumerli, quali sarebbero queste domande?
“Perché dovrei assumerti? Come avresti intenzione di aiutare la nostra azienda, che cosa aggiungeresti? Ho costantemente persone che mi dicono, "Amo il tennis e voglio essere nel marketing sportivo." E io dico: "E allora? Che cosa farai per noi? Ci farai fare dei soldi? Ci farai risparmiare denaro? Ci farai ben figurare? Vorrei sentire queste risposte, se avessi solo pochi minuti. Vorrei anche chiedere, che cosa stiamo facendo bene e dove invece c’è qualche mancanza e come potresti aiutarci? In questo modo, scoprire se qualcuno è pronto. Se qualcuno viene e dice: "Il mio amico mi ha consigliato di venire a parlare con te," io interrompo subito la conversazione. Non mi interessano gli indecisi. Mi interessa qualcuno che pensa che questo sia il lavoro dei suoi sogni”.

Quale consiglio daresti a qualcuno che sta per passare da capo ufficio a capo esecutivo?
“Ho avuto questa esperienza. Pensavo di sapere quale fosse il ruolo del C.E.O. quando ero C.O.O., ma come mi sono preparata prima dell’intervista, mi sono impegnato con un allenatore di C.E.O. Ricordo che nei primi giorni di preparazione, ho detto al coach: "E 'un passaggio naturale per me passare da C.O.O. a C.E.O. Le mi ha risposto: ‘No, non lo è. Non è una transizione naturale. Nel ruolo operativo, tu sei molto concentrato nel giorno-per-giorno, la tattica, o che il lavoro venga svolto. Al livello del C.E.O., devi fare un passo indietro. E sarà una questione di strategia, di visione, di valori, di persone. E sarai tu che dovrai assicurarti che stai percorrendo la strada giusta e con la squadra giusta, e che siano tutti vitali e motivati. Si tratta di un processo mentale completamente diverso”.

Elisa Piva

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