18/12/2012 11:56 CEST - L'ANALISI

Volee maschile, un'arte estinta?

TENNIS - Per decenni il serve and volley è stato la norma nel circuito e specialisti di questo colpo hanno fatto la storia del tennis. Oggi è rimasto solo Llodra. Teo Gallo

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Michael llodra e Nenad Zimonjic (Photo by Lucas Dawson/Getty Images)
Michael llodra e Nenad Zimonjic (Photo by Lucas Dawson/Getty Images)

Per decenni il serve and volley è stato la norma nel circuito e specialisti di questo colpo hanno fatto la storia del tennis. Oggi è rimasto solo Llodra, ma una volta quasi tutti i punti duravano pochi secondi. Secondi di bellezza infinita.

I giocatori di rete non esistono più, per la nostalgia di molti. Con la velocità di palla odierna non si ha tempo di arrivare alla rete e quindi va molto il robo-tennis. Ma chi è nato prima del 1980 ha vissuto l’ultima parte di una epoca in cui il gioco d’attacco era una prassi, una necessità, pane quotidiano e pilastro su cui costruire i successi. Servizio e volèe, applausi e punto successivo. Questo si vedeva nei tornei su cemento, sintetico, erba e naturalmente a Wimbledon. Fino a fine anni ’90 le superfici erano davvero veloci e la volèe un colpo essenziale. Dal primo all’ultimo 15. Ogni punto durava pochi secondi, ma poteva rimanere negli occhi per giorni.

La volèe è un colpo difficile da giocare, tanto ingannevole e pericoloso quanto spettacolare. La rete è territorio per virtuosi, per chi ha polso e polpastrelli sensibili, per chi vede il campo e ne conosce i segreti. I migliori giocatori di rete sono sempre stati tennisti di grande talento e di seguito ne analizzeremo alcuni che su questa specialità hanno costruito la propria fortuna.

Tanti colpi sono entrati nella storia del tennis, pochi hanno avuto un nomignolo apposito: la volée di rovescio di McEnroe fu battezzata con grande capacità di sintesi la volèe “Gilette”. Quel colpo che tagliava le gambe e le speranze degli avversari, che non ti uccideva ma ti lasciava lì a sanguinare, così ci pensavi un po’ su. Perché non ci potevi arrivare sulla volée Gilette, senza lasciare un paio di denti sul cemento.

McEnroe è un nome che evoca il tennis nella sua essenza più selvaggia. Le volèe di McEnroe lo erano. La Gilette era una volèe colpita davanti al corpo, come insegna il manuale, che moriva al primo rimbalzo e con un angolo che poteva variare. Non ci si arrivava comunque. L’altra sua specialità era cavare una demivolèe dal nulla, togliendosi la palla dai piedi come pochi altri.

Il serve and volley di McEnroe era un’ode allo stile e al coraggio e una sfida alla gravità. Il suo movimento al servizio non ha avuto eguali nella storia del tennis: quel suo porsi parallelamente alla riga di fondo, quella torsione bestiale dei muscoli della schiena , non si era mai visto. Era difficile da leggere, e lo slice esterno mancino era semplicemente letale negli anni d’oro di Big Mac. McEnroe andava a rete con il cuore in mano e una bestemmia sulle labbra. Quello che rimaneva pochi secondi dopo il colpo erano meraviglia e stupore.

Ai suoi tempi (1977-1992) quasi tutti usavano il serve and volley, e a Wimbledon in particolare le partite iniziavano e finivano con una discesa a rete sul servizio o sulla risposta. Per molti la decada degli ’80 è stato il vero periodo d’oro del tennis moderno, per il livello generale del gioco e la quantità di campioni in campo. Nessuno dei giganti di quell’epoca riuscì a completare il Career Grand Slam: troppo equilibrio e livello altissimo. Negli anni’80 si giocava un gran tennis e si giocava ancora a rete. Il meglio che poteva capitare era un match tra due interpreti puri. Per giocare bene a rete è fondamentale anche picchiare da fondo per aprirsi il campo, essere rapidi di gambe, avere un footwork di livello. Ci vogliono talento, riflessi, coraggio e incoscienza, come quella che possiamo vedere oggi in Llodra, ultimo interprete di questa filosofia. Attaccare, attaccare sempre: gli dei del tennis premiano il coraggio, sui campi di periferia come sul centrale di Flushing Meadows.

È stato McEnroe il miglior volleyer di tutti i tempi? Come al solito in questi casi si tratta di gusti. Ci sono altri candidati, senza dubbio. Nel momento in cui Mac era all’apice della carriera (1985) apparvero sul circuito due giovani, uno biondo e l’altro rossiccio: l’angelo e il Panzer.

Becker vinse il suo primo Wimbledon quell’anno, non ancora maggiorenne. Lo fece con la freschezza e l’incoscienza dei suoi anni e con le sue doti acrobatiche. Se la volèe di McEnroe era selvaggia poesia, quella di Becker era roba da circo. Il tedesco è entrato nella storia per i suoi tuffi sul prato inglese; Becker era un muro, e come tutti i grandi giocatori poteva usare la mano destra come un martello, o come una piuma. In entrambi i casi c’era poco da fare. Il servizio esplosivo lo aiutava, da qui il soprannome di Bum Bum. Ma tra le tante caratteristiche di questo gran atleta (potente, grintoso, ottimi colpi da fondo e un bel rovescio a una mano) la volèe in acrobazia ha contribuito piú di ogni altro a renderlo immortale. Il servizio gli diede il soprannome, ma le sue volèe lo hanno reso leggenda e gli hanno dato tre titoli a Wimbledon. Becker a rete era un muro, un muro di mille colori diversi.

Il biondo Edberg era l’angelo svedese, un gentleman di successo, il miglior rovescio dell’era moderna e secondo molti anche il miglior giocatore di rete. Edberg giocava un serve and volley puro, anche sulla terra. Ci ha quasi vinto un Roland Garros, perdendo la finale con Chang nel 1989. La volèe di Edberg era di un’eleganza unica e la sua specialità era quella bassa, soprattutto di rovescio, un colpo complicatissimo che lui riusciva a far apparire semplice.

Dopo l’era di Edberg e Becker arrivano i primi cannonieri da fondo, guidati da Agassi e Courier, precursori del contemporaneo robotennis. Ma a fare la storia in quegli anni è stato Sampras, un altro che a rete ci sapeva fare; sette titoli a Wimbledon e una buona dose di serve and volley ne hanno fatto il numero 1 e ipotetico GOAT fino all’arrivo di Federer. Grande senso della posizione, tecnica di primissimo livello, gran scioltezza nei movimenti: questo era Sampras.

Dall’unione del tennis di Sampras ed Edberg potrebbe essere nato Roger Federer. Nel suo caso il gioco a rete è semplicemente una delle tante soluzioni, tutte stilisticamente perfette, che puó usare per vincere il punto. La volèe di Federer è tanto naturale come i suoi colpi da fondo o il servizio: nessuna sbavatura, Federer è un manuale di tennis in movimento. Da quando si allena con Annacone forse va a rete un po’ più spesso, e tra i top player è sicuramente il migliore in questo colpo. Tuttavia anche Nadal dovrebbe essere considerato un buon volleyer e anche lui ha dimostrato più volte di avere un buon tocco nei suoi periodi migliori: ma per Nadal la discesa a rete è l’ultimo ricorso, a parte rare eccezioni.

Lo smash. Il colpo più facile secondo la logica è in realtà un trabocchetto e un invito alla svaccata. Dice il manuale che per effettuare un colpo corretto bisogna porsi di lato rispetto al campo e mantenere i piedi in movimento. La palla va colpita davanti a sé, come un servizio, e il colpo va seguito da un passo in avanti. Così non si svacca. Molto più spettacolare però risulta lo smash in salto a piedi uniti, reso famoso da Yannick Noah. Noah è stato l’ultimo francese a vincere a Parigi, nel 1983: è stato il suo unico Slam ma ne vale almeno tre. Lo “smash alla Noah” è un colpo che provano in tanti, in tutti i circoli del mondo, con risultati spesso fantozziani. Noah era un grande atleta e a lui riusciva benissimo. In questo video dell’85 dà spettacolo con un altro artista della racchetta e volleyer dal tocco sopraffino, Henri Leconte.

Oggi Llodra è rimasto l’unico esponente di questa razza ormai estinta, ma ci sono altri giocatori che a rete sanno dare spettacolo: Monfils e Tsonga, Feliciano, Dolgopolov, Mardy Fish, Tommy Haas, Roddick e Hewitt fino a poco tempo fa. E poi Stepanek, che nell’ultima finale di Davis ha vinto con il cuore e una buona dose di gioco a rete. Ma per vedere il meglio di questo colpo, non ci sono santi, bisogna tornare indietro nel tempo, a quei funamboli coraggiosi cui il tennis sarà per sempre grato.

Teo Gallo

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