04/01/2013 13:55 CEST - Rassegna

Polemica sul «time warning» Lopez prima vittima: «Follia» (La Gazzetta dello Sport); «Mi ispiro a Nadal e Vidal» (Azzolini); Quinzi, sognare si può leggerezza da numero 1 (Sisti, Clerici); Rafa, Flavia & C. esausti i forzati del tennis estremo (Sisti)

4 gennaio 2013

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Rubrica a cura di Stefano Pentagallo

Polemica sul «time warning» Lopez prima vittima: «Follia»

La Gazzetta dello Sport del 4.1.2013

Partenza con polemica per la stagione 2013 dell’Atp. La regola del «time warning» infatti ha fatto storcere il naso a non pochi protagonisti del circuito. «Una norma ridicola fatta per complicarsi la vita» è il commento del numero 5 al mondo, lo spagnolo David Ferrer. La regola prevede che tra un punto e l’altro non possano passare più di 25 secondi, superati i quali scatterà l’ammonizione per «perdita di tempo». Dopo il primo time warning, gli altri prevederanno una penalità: se sará il battitore a perdere tempo gli verrà tolta una delle due battute a disposizione, se sarà invece il ricevitore gli verrà tolto un punto.

Già esistente In realtà la regola era già esistente ma da settembre l’Atp ha deciso di applicarla con regolarità e inflessibilità. Feliciano Lòpez è stato il primo a pagarne le conseguenze: lo spagnolo stava palleggiando prima di iniziare il movimento del servizio quando ha sentito dagli altoparlanti l’avviso: «Time warning». Naturalmente furioso Lopez: «È una pazzia. Ero pronto per battere. Se il giocatore è già sulla linea non puoi fischiare un warning. Solo per chiedere l'asciugamano vanno via 25 secondi. Io non stavo perdendo tempo», si è lamentato dopo la sconfitta al primo turno a Doha con il polacco Lukasz Kubot.

Big Novak Djokovic e Rafael Nadal, numero uno e quattro del mondo, sono tra i giocatori che utilizzano più tempo tra un punto e l'altro. L’Atp sarà inflessibile con tutti? «La regola vale per tutti — ha detto il supervisor dell’Atp Thomas Karlberg —. ma ci saranno anche alcune doverose eccezioni, principalmente dopo scambi molto lunghi». Sarà interessante vedere cosa accadrà all’Australian Open, dove il tempo tra un punto e l’altra diminuirà a 20".

«Mi ispiro a Nadal e Vidal»

Daniele Azzolini, Tuttosport del 4.1.2013

UN bambino che colpisce la palla al centro della racchetta, sempre. Uno fra i pochi. E lo fa d’istinto, forse per il dna sportivo che circola nel suo sangue, o forse, chissà, per grazia ricevuta. Il piccoletto aveva otto anni e al fianco degli amici – tutti inesausti ciccatori di palline – sembrava di un altro pianeta. Si era a Macerata, otto anni fa, e Adriano Panatta , che conduceva l’evento dedicato ai bambini, si intrattenne a lungo con il piccolo, facendolo palleggiare e scorrazzare per il campo. «Finalmente uno...», ci disse, prima di soffermarsi altrettanto a lungo con i genitori. «Sembra nato per il tennis, aiutatelo a innamorarsi di questo sport», fu il succo delle raccomandazioni del campione. Il bimbo valeva davvero un investimento. Sapeva guidare un go kart, sulla pista fatta costruire dal nonno, a Porto San Giorgio, ma era una delle prime volte che toccava una racchetta. E già giocava a tennis, eccome se giocava... Quello stesso anno i genitori portarono il figlio in America, a Bradenton, da Nick Bollettieri. Il bimbo fu provato in un torneo organizzato lì per lì, fra gli aspiranti allievi, e ne uscì con una borsa di studio gratuita per frequentare i corsi della famosa Accademia. La storia di Gianluigi Quinzi, numero 1 del mondo tra gli juniores a neppure 17 anni, comincia così...

LA CONVINZIONE «Mi chiedono a che cosa rinuncerei pur di vincere un torneo dello Slam - dice oggi Gianluigi, lungo com’è diventato, spalle ossute ma grandi, rossiccio di capelli e con il sorriso impunito da Lucignolo adolescente - ma è una strana domanda. Non rinuncerei a niente, in effetti, perché sono convinto che se lavoro duramente e mi preparo come si deve, io uno Slam lo vinco. Spero gli Us Open, perché è il torneo che mi piace di più, e perché il cemento è la superficie sulla quale mi trovo meglio». L’insegnamento americano si vede...

L’INCONTRO Anche gli Open d’Australia si giocano sul cemento. Lì, a Melbourne, fra due settimane, Gianluigi sarà il numero uno juniores. I due che lo precedevano in classifica sono ormai fuori categoria, lui invece ha ancora un anno davanti a sé. Compirà 17 anni il primo febbraio. «Non temo le responsabilità, e nemmeno il confronto con il circuito dei grandi. Ci ho giocato e ho capito subito che la differenza è enorme. Fra noi juniores capita di buttare una palla, ma c’è tempo e modo per recuperare il punto. Fra i grandi, invece, non ti puoi permettere distrazioni». Negli ultimi dieci Futures giocati (il primo livello dei tornei professionali) ha ottenuto una finale, 5 semifinali, un quarto e un posto da numero 558 della classifica ATP. Non male, per un ragazzino. Insomma, c’è chi ha fatto peggio... Alla sua età, per dire, Federer e Djokovic erano parecchio più lontani. Non Nadal, il suo mito. «Tifo per lui, e per la Juventus. Nadal e Vidal, due esempi di grinta e abnegazione. Con Rafa ho palleggiato. Mi disse parole che non scorderò mai... “Ti conosco, spero un giorno di giocare con te in un torneo vero”... Mi dispiace tanto che sia infortunato. Speravo di ritrovarlo a Melbourne».

IL PROGRAMMA Mancino, ma solo nel tennis. Proprio come Rafa. Giocatore di eccezionale temperamento, già capace alla sua età di trasformare il campo in una santabarbara, o in un fortilizio, quand’è il caso. Deve probabilmente imparare a tirare di più i colpi, a trattenersi di meno, a vincere certi match nella metà del tempo che normalmente impiega. Ma i combattenti, si sa, indugiano talvolta nel piacere della rissa... «Intanto ho migliorato il servizio. Il lavoro con il mio coach, Edoardo Medica, sta dando frutti. Non ho fretta. In realtà sono un ragazzo tranquillo. Ho imparato però a dare tutto me stesso, è il tennis che mi tira fuori questa necessità. Poi, lo so da me, nello sport si vince e si perde, ma non mi piace risparmiarmi».
Il 2013 sarà un anno decisivo. Difficile ma determinante. «Da junior giocherò solo i tornei del Grand Slam. Il programma prevede molti Futures, e spero anche molti Challengers, se avrò la classifica per entrare. L’obiettivo è salire in classifica, magari fino al numero 300». Piccoli passi? In 14 mesi Gianluigi ha scalato 1.427 posti nel ranking. Piccolo non sembra più un aggettivo che fa per lui.

Quinzi, sognare si può leggerezza da numero 1

Enrico Sisti, la Repubblica del 4.1.2013

Non ha ancora 17 anni, li finirà il prossimo 1° febbraio, gioca con un bel rovescio bimane, efficace, spontaneo, deve migliorare dritto e gioco di volo, si allena in Argentina con Edo Infantino, a Tandil, dov’è nato Juan Martin Del Potro e dove transitano spesso anche Bolelli, Giannessi, Colella, Baldi, Micolani, è passato per l’accademia di Bollettieri grazie a una borsa di studio, è mancino come il suo idolo Nadal («che emozione palleggiare con lui a Roland Garros, lui non ha un tennis che si può copiare, quando mi ha detto che mi conosceva ho pensato: questo mi prende in giro. E invece diceva sul serio...»), è potente, sciolto, calcola ma non lesina. È abbastanza alto, è uno alla Del Potro o alla Berdych, non uno stampellone come Isner o Raonic. Predilige gli scambi corti. È salito al n. 1 fra gli juniores, Gianluigi Quinzi, marchigiano di Fermo. E adesso il ragazzo, probabilmente un predestinato, fa sognare. Sognare che prima o poi, si presume più prima che poi, un italiano possa tornare ad arrampicarsi fra i grandi. Nella Top Ten manca un azzurro dal 1978, l’ultimo fu il nostro attuale ct Corrado Barazzutti. Ma Gianluigi non sente alcun peso: «Non voglio pensare alla classifica, nella prossima stagione conto di giocare più nell’Atp (con l’avvicinamento ai challenger, ndr) che nei tornei dell’Itf». Progetta in grande ma senza scomporsi: «C’è stato un tempo in cui pensavo solo a vincere e un po’ dalla famiglia mi arrivava lo stesso messaggio. Poi ho scoperto che si può perdere e che non è tutto questo dramma». Nella classifica dell’Atp è ancora dietro. È appena, ma si fa per dire, il n.561. Ma sono solo numeri. Per come era partito, Aaron Krickstein, nei primi dieci a soli 17 anni e 11 giorni nel 1984, avrebbe dovuto fare di più. Gianluigi ha vinto il Bonfiglio come Lendl, Panatta, Courier, Ivanisevic. Buon segno. In questo momento sta viaggiando verso l’Australia dove si allenerà presso la federtennis australiana, con cui esiste una partnership. Poi un torneo under 18 e infine gli Australian Open fra gli junior. Ha qualcosa di carismatico in campo. Tifa Juventus, ama sciare. È un viaggiatore nato, che però conta i chilometri e s’interroga su quanto sia possibile durare: «Ne ho fatti più io di un pilota dell’American Airli- nes». Si è praticamente stabilito in Argentina. Fortuna ha voluto che per i suoi spostamenti garantisse la famiglia. Vecchia storia: non c’è tennis per chi non può permetterselo. Mamma Carlotta, un bel passato nella nazionale di pallamano, è lì dietro, né troppo vicino, come Gianluigi stesso riconosce, né troppo lontano. La prima rac- chetta nel circolo del papà Luca. L’ultima chissà.

Impossibile non vedere il suo talento

Gianni Clerici, la Repubblica del 4.1.2013

Nel mio abituale personaggio chiamato Vecchio Scriba, sono immodestamente solito affermare che un futuro campione non può sfuggirmi se solamente osservo, ancora lattante, come impugna il biberon.
Giunge la notizia che Gianluigi Squinzi è divenuto il n.1 mondiale under 18, addirittura con un anno di anticipo, considerata l’età, che lo ha visto vagire il I° febbraio 1996 a Cittadella (Padova), non lontano dal paese materno, Rubano.
Accadde che io divinassi, il 19 aprile del 2007, che l’allora bambino Quinzi sarebbe divenuto quel che è oggi. Alla pubblicazione della profezia si opposero, allora, altre notizie ritenute di importanza ineludibile, ma nel mio archivio ho ritrovato quel che scrissi, e mi auguro che ancora funzioni.
La sera di quel giorno fatidico, dopo aver visto il fenomenale bambino intento a sorprendenti palleggi con altri giovani italiani, mi ritrovai allo stesso tavolo con gli amici Professor Parra (Laser magico), Riccardo Piatti (mio allievo, coach) e con papà Quinzi. Papà Luigi mi informò di esser stato un onesto tennista, poi presidente del Club di Porto San Giorgio, come già era stato suo padre Gigi. Nel DNA del piccolo interferivano certo i cromosomi di mamma Carlotta, nazionale di sci ai tempi di Deborah Compagnoni, infortunata, rieducata con la pallamano sino a raggiungere le semifinali europee con il team di Cassano Magnago. Annotai simili connotazioni non solo sportive ma borghesi, sottolineando che il caso Quinzi era dissimile dalla maggior parte dei coetanei, soprattutto dell’est, ormai divenuti un ipotetico investimento economico delle famiglie.
Gli incontri che tracciavano il giovane destino di Gianluigi erano passati dall’iniziale non conformismo di un Maestro quale Antonio Di Paolo, al decisivo viaggio a Bradenton, l’Accademia di Nick Bollettieri, che pur di assisterlo avrebbe consentito presenze inframmezzate da frequenti ritorni alla scuola italiana: matrigna, all’inizio, tanto che si dovette cambiare sede, più lontana di 30 chilometri da Porto San Giorgio, per consentire le ingiustificate assenze tennistiche. Da queste lontane, si fa per dire, origini, è seguita una ri- lucente carriera, con una prima affermazione da dodicenne, nel Master Nike in Florida, su su sino all’attuale n.1 Under 18, categoria che Gian Luigi afferma, nelle dichiarazioni di Agenzia, di voler abbandonare dedicandosi in questo nuovo anno, al di là dei Grand Slam junior, all’attività professionistica dei tornei ATP.
Coppa Davis assicurata, dunque? Spero qualcosa di più, per Gianluigi, ricordando che nessuno dei nostri eroi di oggi appare nei Primi Venti del Mondo.

Rafa, Flavia & C. esausti i forzati del tennis estremo

Enrico Sisti, la Repubblica del 4.1.2013

Le parole chiave del tennis? Non più soltanto slam, smash, davis, dritto, rovescio, servizio, let, spin, falco, break, ranking. Bisogna allargare il vocabolario alle urgenze, ai sentimenti dovremo affiancare i guai con le loro molteplici nature: parole chiave sono anche stress, overuse, tendiniti che quando diventano croniche si chiamano tendinosi, fatica mentale, polsi che scricchiolano perché quella correzione finale nel rovescio bimane per indirizzare il colpo può essere fatale. «Sono finiti i tempi della vecchia epicondilite, del leggendario gomito del tennista che ormai è una patologia “riservata” ai tennisti anziani, da circolo», esclama preoccupato Pier Francesco Parra, il “guru” che salva o allunga le carriere dei tennisti professionisti, logorati da un calendario sempre più improponibile perché ormai troppo violento è il gioco, troppo concitata la rivalità ai vertici, esasperate certe soluzioni tecniche («come quando si pretende di scivolare sul cemento, lo possono fare Djokovic e Nadal, ma a che prezzo?»). Per non parlare delle superfici, che cambiano colore e consistenza, per non dire delle palle, sempre più simili a bombette gialle, per non discutere delle racchette, capaci di mantenere in vita scambi già persi, per non commentare la raggelante corsa all’accordatura più estrema. Fisici ancora giovani si rivelano fatalmente già stremati: «Di gran lunga è il tennis», prosegue Parra, «lo sport più traumatico e invalidante, parlo naturalmente dei livelli di eccellenza, più dell’atletica leggera, del calcio e dello sci. E i problemi sono in netta crescita, la stagione è massacrante, ne parlavo con Ba- razzutti, ma non è tanto il calendario in sé, che è sempre stato intenso, la vera differenza in questo momento la sta facendo l’approccio all’agonismo, che soprattutto fra gli uomini, è estremo, nessuno lascia niente per strada. Direi quasi che il tennis dei primi cinquanta del mondo si stia uniformando allo stile di vita contemporaneo: è tutto velocissimo». La rapidità d’esecuzione è il mezzo ma anche il fine ultimo: «È il tennis di twitter».
La stagione 2013 è già iniziata con l’Atp di Doha e il Wta di Brisbane, con esposizioni televisive sempre più consistenti (i tornei maschili su Sky e Eurosport, da quest’anno quelli femminili su Supertennis). Accanto a chi sogna di migliorarsi c’è chi non riesce a guarire, da Rafael Nadal (che riapparirà se non vi saranno ulteriori ostacoli ad Acapulco) a Flavia Pennetta, alla tedesca Andrea Petkovic. «Neppure i più dotati fisicamente riescono a tenere certi ritmi. Sono esposti a micro e macrotraumi. Quelli da sovraccarico e quelli da movimenti errati. Le lesioni più frequenti? Direi il mal di spalla». Ovvio il motivo: si cerca di sparare servizi a 300 km/h. «La patologia investe il tendine sovraspinoso, perché soprattutto gli uomini, ma anche la Sharapova (che alla spalla si è operata, ndr), hanno una potenza spesso devastante. Fra le donne è più a rischio il polso (vedi Pennetta ma anche Del Potro, ndr). A seguire ginocchia (vedi Nadal, ndr) e a seconda delle superfici l’anca (per cui si ritirò Kuerten, ndr)». Capita così che un anno di tornei, con migliaia di chilometri da percorrere e decine di stanze d’albergo, non tutte comode, in cui soggiornare, più che come un’esaltante avventura venga visualizzato come un incubo (da cui quel senso di libera- zione ostentato da Roddick e Clijsters al momento del ritiro). Nulla è deciso perché molto, se non tutto, dipende dalle condizioni fisiche e mentali. Sarà durissima per Sara Errani difendere la posizione n.6 nel ranking. Federer è già corso ai ripari tagliando persino Miami dal suo calendario. Lo stesso, anche se storcendo il naso, anche se più giova- ni di Re Roger, dovranno fare gli altri: «Meglio lasciare qualche punto che accorciarsi la carriera», avverte Parra. Un consiglio da amico.

 

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