14/01/2013 18:22 CEST - ATP

Djokovic, 10 anni da n.1

TENNIS - Il 6 gennaio 2003 Novak Djokovic diventava ufficialmente un tennista professionista. Ne approfittiamo per qualche riflessione sul suo personaggio. Federico Romagnoli

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Novak Djokovic (Photo by Julian Finney/Getty Images)
Novak Djokovic (Photo by Julian Finney/Getty Images)

Sappiamo che i nostri lettori si divertono a attribuirci schieramenti basandosi anche su frasi che servono solo a dare colore all'articolo. Per una volta, onde evitare che il sospetto covi a causa di un'uscita ambigua, voglio quindi essere chiaro: nel 2011 ho tifato Novak Djokovic a Wimbledon e a Flushing Meadows come se non dovesse esserci un domani. Sì, state leggendo Ubinole, almeno per questo articolo (non è vero, arriveranno anche le critiche, ma fatemi dare un po' di colore, per l'appunto). Quando in quelle finali Nadal ha vinto il terzo set, con Nole nel primo caso smarrito e nell'altro caso dolorante, mi si è gelato il sangue.

Mi piaceva tantissimo Nole in quel momento. Ho scritto di recente un articolo sul tennis al tempo della Seconda Guerra Mondiale, per un motivo ben preciso: amo il tennis prima di tutto per la sua mitologia, la sua epicità, le sue storie. Una partita sofferta è qualcosa che ha più magia di qualsiasi rovescio a una mano. Un episodio che possa scolpirsi nella memoria vale bene la diminuzione del serve&volley. Non sto ovviamente dicendo che se il cosiddetto “bel gioco” scomparisse del tutto ne sarei felice, anzi, ma quello che sorregge il tennis, quello che riesce a farmi immergere come fossi in un romanzo, non sono insomma i gesti tecnici (di cui sono un grande estimatore comunque, e ci mancherebbe).

Nole nel 2011 era il personaggio perfetto: nel 2008 aveva vinto uno Slam ma poi si era smarrito. Non riusciva a ritrovare la strada, un po' come Sampras dopo lo US Open 1990. E all'improvviso, reagendo col coraggio di un leone dopo tante difficoltà (dieci Slam di fila senza raggiungere una finale), eccolo che a fine 2010 torna in finale a New York, vince la coppa Davis, dopodiché avvia una stagione mostruosa: quella che nel 2008 è stata una fiammella sporadica dovuta all'enorme valore del giocatore, ma ancora incapace di gestirsi, divampava ora in un incendio.

Nole è cresciuto sotto le bombe ed è fiero di appartenere alla nazione uscita, almeno agli occhi dei media, con la faccia più sporca dalla guerra jugoslava: non perché avalli gli orrori perpetrati da quel regime ovviamente, ma semplicemente perché quella è la sua terra, la sua gente, lì ha vissuto la sua difficile infanzia, lì ha vissuto e è sopravvissuto.

Insomma, come si può ritenere costruito il suo personaggio? Anche se l'imitare e il fare il pagliaccio fosse frutto di una campagna di marketing, di una squadra che gli indichi cosa fare, non è comunque un fatto che lui quella faccia decida di mettercela, che quelle cose decida di farle, e che uno che ha un simile passato abbia tutto il diritto di sapere quando sia il caso di essere seri e quando invece si possa sdrammatizzare? A Nadal riuscirebbe? A Federer riuscirebbe?

Loro non ne hanno bisogno, è vero, fatto sta che è una peculiarità, è qualcosa di distintivo: se qualcuno deve farlo, nessuno è più adatto di lui. Pensi a Nole e pensi: 1. alle sue spaccate, 2. alle sue buffonate.
Se amo Nole e Muzza è perché non sembrano dei superman (nonostante a giudicare il loro atletismo si direbbe il contrario). Hanno mostrato quel tennis fallibile, grandissimo ma fallibile, facendo riemergere i fantasmi di sofferenza che già furono di menti come Lendl e Agassi, al tempo stesso guerrigliere e fragilissime, così incredibilmente umane nella loro dualità. Sono quei tennisti che ti fanno soffrire (e i fan di Nole ne sanno qualcosa, fra Monte-Carlo e New York ne hanno ingoiati di amari bocconi quest'anno), ma quando poi riescono a riscattarsi, ti fanno esplodere il cuore.

Una cosa nel 2012 mi ha fatto dubitare della mia simpatia verso Nole, questo sì: l'esultanza per la vittoria australiana. Sembrava invasato, i due Slam precedenti non li aveva affatto vinti in quel modo (ma erano partite durate la metà, mi direte voi, e questo è pur vero). Inoltre la convinzione che nel 2012 Murray potesse finalmente coronare il suo sogno mi ha un po' distolto dal campione serbo. C'è stato un momento preciso in cui ho ritrovato però il Nole che preferisco: avete presente il punto ormai storico contro Murray nella finale di Shanghai? Ecco, non è stato tanto il punto in sé (che è stato ottimo, ma forse un po' sopravvalutato, in quanto influenzato dall'errore tattico di Murray nel non salire a rete), è stata piuttosto la reazione di Nole dopo averlo realizzato: il pugno alzato e lo sguardo verso gli spalti con un sorriso stampato in faccia. Un sorriso incredibilmente umano e buono. In quel momento, penso che chiunque ami il tennis avrebbe voluto congratularsi con lui.

Vadano come vadano questi Australian Open (non tiferò necessariamente lui, anzi il sogno sarebbe un outsider, per quanto temo sia irrealizzabile al momento), l'augurio sentito è che Nole mostri ancora una volta il suo valore, non solo come giocatore.

Federico Romagnoli

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