15/01/2014 16:34 CEST - Australian Open - Lavagna tattica

Australian Open, day 3: (s)punti tecnici del giorno

TENNIS AUSTRALIAN OPEN - Terzo appuntamento con la nostra "lavagna tattica" in cui analizzeremo i lungolinea di Na Li, il dritto della Niculescu e il serve&volley di un redivivo Pat Rafter. lucabaldi

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Na Li
Na Li

I lungolinea di Na Li
Ero curioso di vedere all'opera Belinda Bencic, che pur sconfitta ha fatto vedere ottime potenzialità. Mi sono invece ritrovato ad ammirare, in particolare all'inizio del match, una lezione di geometria regalata da Na Li. Certamente la campionessa asiatica è stata facilitata nel set d'apertura dal fatto che la giovanissima elvetica fosse contratta ed emozionata: ma quello che ha esibito nei primi due game della partita è stato assolutamente straordinario. In una decina di punti giocati, sei vincenti diretti (SEI), dei quali cinque lungolinea. Esecuzioni difficilissime, imprendibili, realizzate sia con il dritto che con il rovescio. Stance semifrontale con entrambi i fondamentali, sensibilità e spinta insieme, impatti ritardati con finta delle spalle, margine quasi nullo, pulizia e fluidità dei gesti, trasferimento del peso perfetto. Na Li non è una delle favorite di primissima fascia, e va in difficoltà fronteggiando la pesantezza di palla delle prime tre del ranking WTA, ma è quarta in classifica per un motivo: probabilmente, è quella che vede, e trova efficacemente gli spazi del campo meglio di tutte. La sua avversaria di oggi era svizzera: però chi mi ha fatto tornare alla mente la “leggenda del lungolinea” Martina Hingis è stata la cinese. Che è in grado di produrre le stesse traiettorie, precisissime e ficcanti, della 5 volte campionessa Slam, ma con potenza ed esplosività molto maggiori. Splendida.

Il dritto di Monica
Si è capito chi avrebbe vinto all'inizio del secondo set: Sabine Lisicki, sull'ennesima palla tagliata e bassissima verso la sua destra, pur arrivandoci comoda ha giocato per la prima volta uno slice di dritto invece della consueta frustata in top-spin. Aveva vinto il primo 6-2, la tedesca, ma nel momento in cui un giocatore comincia ad andare fuori palla, soffrendo variazioni di ritmo e rotazione, e si rassegna a snaturare il proprio gioco adattandolo all'avversario, che ovviamente quel gioco lo sa fare meglio, è durissima uscirne vincitori. Il dritto di Monica Niculescu, un incubo oggi per Sabine, è uno dei colpi più originali e anacronistici del circuito femminile: quasi sempre lo gioca con il taglio sotto la palla, impugnando continentale, e producendo slice estremamente efficaci, così come chop difensivi e palle corte, quasi illeggibili perchè il movimento cambia appena appena nell'accompagnamento finale. C'è anche un vantaggio in termini di posizione in campo derivata dai “tagli destri” di Monica: colpire in back, rispetto al classico dritto coperto, consente maggiore allungo, e la possibilità di anticipare il cross-step di rientro verso il centro del campo facendolo contemporaneamente al movimento a colpire, non essendo necessario grande trasferimento del peso in avanti. Infine, la preparazione è molto breve, adatta a contenere anche le “bombe” più cariche. Insomma, non ti fa i vincenti diretti da quel lato, ma sfondarla da quella parte è difficilissimo, la palla torna sempre. Inoltre, curiosamente, nei rari casi in cui la rumena sceglie di spingere il dritto, è in grado di farlo sia a una che a due mani. Indecifrabile, e fastidiosissimo, per le picchiatrici “standard” bisognose di velocità e ritmo per esprimere il loro power-tennis. Certo, la palla della Nicolescu viaggia poco, e il suo best ranking è stata la posizione n°28 non per caso: quando riesce a evitare di essere presa a pallate, però, e comincia a sgretolare le certezze delle avversarie a forza di affettare come un salumiere, è divertentissima da vedere. Quando la povera Sabine, nel terzo parziale, ha regalato il doppio break decisivo tirandosi una seconda palla sulle scarpe, era chiaro che non ci stesse capendo più nulla. Monica versione masterchef: avversaria prima ammorbidita, lasciata decantare, poi rosolata, cotta e servita. Ottimo anche l'impiattamento.

Il serve&volley di Pat
Il quarto match giocato sulla Hisense Arena è stato un doppio senza grande importanza, ma la coppia australiana (sconfitta 6-4 7-5) opposta agli onesti mestieranti della specialità Butorac e Klaasen era composta da Lleyton Hewitt e da un certo Patrick Rafter, detto Pat, quarantunenne due volte campione degli US Open (1997 e 1998), nonché due volte finalista a Wimbledon (2000 e 2001, sconfitte con Sampras e Ivanisevic). Ovvero, l'interprete del serve&volley più efficace, specializzato, talentuoso e perfetto tecnicamente che si sia mai visto insieme magari al connazionale Cash. Edberg, Becker e Sampras erano superiori soprattutto per le qualità tennistiche complessive, campioni che attaccavano seguendo il servizio quasi sempre ma che erano grandi in ogni zona del campo. Se andiamo a vedere esclusivamente l'esecuzione del serve&volley, però, e ci limitiamo strettamente all'analisi tecnica di tale fase di gioco, Rafter ne ha rappresentato il punto forse più alto, oltre che – purtroppo – uno degli ultimi in ordine di tempo. Una macchina da attacco costruita e allenata per un unico scopo: l'aggressione alla rete il prima possibile. Nei turni di battuta, se Pat faceva toccare terra alla palla nel suo campo una volta su cento era tanto. Tutto era progettato e perfezionato in funzione della proiezione verticale, a partire dal movimento del servizio, uno dei primi a implementare la tecnica di caricamento frontale (trophy position) al posto del canonico mulinello dietro le spalle, tecnica poi portata alla massima efficienza da Andy Roddick. Rafter, da tale servizio, otteneva traiettorie ottimali per la successiva copertura della rete, slice, kick, botte piatte, tutto. Copertura della rete che poi gestiva con colpi al volo ineccepibili sia di dritto che di rovescio, e schemi impeccabili: la prima piazzata, la seconda chiusa. Sempre. Negli anni migliori, se Pat arrivava a toccare la volée, era una sentenza per gli avversari. Nella partita di oggi, mattina ora italiana, l'australiano - ancora in forma fisica accettabile - sebbene palesemente disabituato alla competizione ufficiale ha comunque regalato alcune discese dietro il servizio, seguite da volée magnifiche, che hanno fatto “venire giù lo stadio” (e quasi ribaltare il caffè a me). Come minimo, andava ringraziato per questo. Nostalgia.

One-handed backhand appreciation corner
Signori, un disastro. Perdiamo oggi con sommo rammarico Kenny De Schepper, Dominic Thiem,  Guillermo Garcia-Lopez , Mikhail Youzhny e Leonardo Mayer, salvando solo i vittoriosi  Stanislas Wawrinka, Tommy Robredo e Richard Gasquet (ultimi due che saranno purtroppo avversari al terzo turno). Bilancio della One-Handed Band, 5 sconfitte e 3 vittorie. Gli Eroi sono rimasti in undici, dieci uomini e una donna.

Ma come disse uno dei più grandi filosofi del '900, John “Bluto” Blutarsky, “Was it over when the Germans bombed Pearl Harbor? Hell no! And it ain't over now. 'Cause when the goin' gets tough . . . the tough get goin'!”. Con queste immortali parole nella mente, noi continueremo a resistere. Perchè come sempre, domani è un altro giorno.

 

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(S)punti tecnici del giorno - day 1

(S)punti tecnici del giorno - day 2

lucabaldi

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