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Reading: Juan Martin del Potro, concentrazione a Miami
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Juan Martin del Potro, concentrazione a Miami

Juan Martin del Potro racconta nel suo blog il duro cammino verso il recupero a 5 mesi dall'ultima operazione al polso. Il gigante di Tandil è deciso a non arrendersi e per la prima volta dopo 7 mesi ha ripreso in mano la racchetta

Last updated: 06/11/2015 11:28
By Chiara Bracco Published 05/11/2015
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9 Min Read


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Qui l’articolo originale

Ho iniziato a preparare il borsone la notte precedente. Quando l’ho aperto mi sono reso conto che delle sei racchette che contiene, quattro non erano incordate. Solo due erano pronte: sufficiente per il primo giorno.

Sistemo il polsino, la fascia, e così inizio a ricordare il modo in cui sistemare le cose, le abitudini di armare il borsone delle racchette.. La memoria restituiva momenti che erano stati di routine per tutta la mia vita.

Il giorno successivo avrei giocato un po’ a tennis per la prima volta dopo sette mesi. Finalmente la racchetta fuori dal borsone e pronta per l’uso. Era un momento speciale della permanenza a Miami; non il principale, perché la riabilitazione al polso e la messa a punto fisica occupavano il primo piano, ma logicamente il giorno dei primi scambi è stato differente e toccante.

Quel giorno, l’unica cosa che è riuscita a fermarmi è stata una tempesta tropicale.

Il Crandon Parke era semivuoto. Un luogo che solitamente viene associato al rumore e all’energia dei tifosi ogni volta che giochiamo, era ora un club enorme e senza posti occupati, come succede durante il resto dell’anno. Le tribune tubolari erano smontate. C’erano alcuni giovani provenienti da altri paesi che si allenavano con i propri allenatori. A me tocca il campo 10, quello che ho usato per il resto della permanenza a Miami.

È stata una sensazione molto strana. Dopo più di metà anno senza giocare, all’improvviso, iniziavo di nuovo con il tennis. Non avevo programmato che in quella settimana specifica avrei ripreso a colpire. Vengo dal recupero del polso grazie al lavoro del mio fisioterapista Matías, fisicamente lavoravo già da tempo (appoggiandomi su una corretta alimentazione) e quel giorno mi sono sentito semplicemente in grado di poter fare qualche dritto, qualche servizio, delle volée. Durante i primi scambi mi sembrava di tenere in mano un martello piuttosto che una racchetta. I miei movimenti sembravano fatti a rallentatore. Nei primi 10, 15 minuti ho dovuto rimettere in moto tutto il mio corpo, e già verso la fine ho recuperato la coordinazione, mi sentivo più sciolto, gli scambi diventavano più lunghi, il braccio iniziava a stancarsi.

Per i mesi di inattività quei 45 minuti bastavano ma io non mi volevo fermare. La tipica pioggia di Miami ci obbligò a fermarci e da lì siamo poi andati a fare fisioterapia.
L’allenamento giornaliero era arrivato ad avere sei turni al giorno. Ad esempio: fisioterapia, palestra, fisioterapia, tennis, fisioterapia e allenamento. Quest’ultimo poteva basarsi sulla velocità o sulla resistenza in campo, uscire per una corsa, in esercizi di coordinazione e a volte anche nel nuoto.

Il carico di tennis si incrementava con il passare delle settimane, tuttavia, come vi raccontavo prima, questa fase occupava forse il secondo se non il terzo piano. Di fatto, non ho giocato a tennis tutti i giorni e nelle ultime settimane c’è stato un vento talmente forte che sarebbe stato impossibile tenere in campo la pallina. Questo però non ci ha fermato dall’uscire a correre o ad avanzare nel miglioramento della mia condizione fisica.

Nella prossima tappa di questo recupero, inizierò a colpire con il rovescio a due mani. Gli esercizi di rafforzamento e di mobilità del polso vanno di giorno in giorno migliorando, al punto che di comune accordo con il mio dottore Richard Berger, abbiamo deciso che finalmente non gli avrei fatto visita in questo viaggio. Siamo continuamente in contatto, gli invio dei video della mia giornata e degli allenamenti, parliamo tramite Whatsapp o Skype… La tecnologia aiuta e non ti costringe a viaggiare a Rochester a meno che non sia necessario.

A pochi metri da quello stadio meraviglioso del quale conservo incredibili ricordi e sul quale ho anche vissuto una delle sensazioni tennistiche più brutte nella mia ultima partita ufficiale, ho continuato il recupero con determinazione e dedizione. È come il lavoro di una formica. Oggi percorro questo cammino di riabilitazione e di allenmanto, un cammino che si conclude giocando a tennis e nella competizione. Tutti gli sforzi che faccio, da quando presi la decisione di operarmi l’ultima volta, sono volti al mio ritorno in campo, nel circuito. L’unico dubbio è la data del torneo.

Non ci sono dubbi sul fatto che ritornerò. I dubbi sono quando e dove.

Nonostante lo sforzo e la voglia che metto per il mio recupero e il mio ritorno, non posso dimenticare di ringraziare i miei amici, importanti come la mia famiglia e il mio team di lavoro. Prima di prendere la decisione di operarmi per l’ultima volta e di registrare quel video nel quale spiegavo come si era arrivati a quella decisione, ho passato del tempo a Tandil maturando quella scelta. La determinazione di riprovarci è stata una spinta che è venuta da parte della mia famiglia e dei miei amici. Sebbene sia io quello che si sforza, l’aiuto da parte loro è stato vitale.

Siamo un gruppo che si conosce da circa sei, sette anni. Parlare con loro è stata la migliore terapia alla quale mi potessi sottoporre. Quando si attraversano dei momenti difficili appaiono loro per aiutarmi a rialzarmi. Nel gruppo il problema del mio poso è sempre stato un assunto decisamente triste, ma ha la stessa importanza, come se a qualcun altro andasse male un esame o un debutto a teatro. È per questo che sono sempre al mio fianco, nei viaggi e nei tour. La maggior parte di loro ha posticipato degli impegni per starmi vicino. Uno di loro si è anche portato dietro la sua chitarra, e non mi ha solo accompagnato con questa portando allegria con la sua musica. Se questo non altera i piani, io stesso mi adatto a loro, come quando ho pianificato diversamente un tour per essere presente ad un compleanno, o come in questo caso, quando ho posticipato di alcuni giorni il viaggio a Miami perché potessero venire con me Kele e Gera. Era il primo viaggio che condividevamo.

Kele è stato fondamentale nell’approccio all’allenamento, con lui andiamo a correre. Gira è un po’ pigro (non arrabbiarti, Gira) me ugualmente importante. Ci alzavamo alle 7.30, se non si allenavano con me collaboravano. Kele mi accompagnava nel tragitto dallo stadio verso casa, 12 chilometri sotto i raggi del sole e l’umidità. Gira ci seguiva nel camion e si fermava ogni mille metri per darci dell’acqua. Nell’ultimo tratto, a mezzogiorno, con un gran caldo, avevamo già un buon ritmo e ci mancava solo attraversare un lungo ponte. Kele disse a Gira di aspettarci prima del ponte, e Gira ha invece capito di aspettare dopo. Siamo arrivati quasi disidratati. Lui, tranquillo con l’aria condizionata.

Di notte giocavamo a carte e chi perdeva lavava, cucinava o preparava la tavola.
Lì non sono stato bravo, e mi hanno dato del lavoro extra.

Di ritorno a Buenos Aires, non poteva mancare la Bombonera. Un divertimento che non dimenticherò mai e una pausa prima di proseguire con il recupero e gli allenamenti.

Come sempre continuerò a raccontare come proseguono le cose, non smettendo mai di dire grazie.


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