Djokovic e la furia contro il manager italiano durante la finale di Adelaide: un comportamento evitabile

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Djokovic e la furia contro il manager italiano durante la finale di Adelaide: un comportamento evitabile

Un commento sul nervosismo palesato da Djokovic durante la finale vinta contro Korda: una star dovrebbe comportarsi in modo da essere un modello da seguire

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Novak Djokovic - ATP Adelaide 2023 (foto Twitter @ATPTour_ES)
 

Novak Djokovic si è reso protagonista di un nuovo episodio “controverso” nella finale vinta su Sebastian Korda ad Adelaide. Una sfida tiratissima, con Sebi che aveva vinto il primo set al tie-break e avuto un match point in risposta al dodicesimo game del secondo. Nel terzo parziale, sulla palla del 5 pari, Korda ha commesso un doppio fallo a cui ha fatto seguire uno smash sotto il gancio e la questione si è risolta senza ulteriori patemi.

E l’episodio in questione? Perso appunto il primo set, Djokovic è comprensibilmente nervoso; d’altronde, ha vinto 29 degli ultimi 30 incontri, non può certo raddoppiare in un attimo il numero delle sconfitte e mancare il prezioso titolo (è un ATP 250, però il trofeo a forma di biscia è carino e ci sarebbe l’aggancio a Nadal a quota 92 titoli). Il nervosismo è ovviamente insito nel tennis, dove sei da solo su un campo e non su un ring o, almeno, su un rettangolo con altra gente in pantaloncini dove più o meno puoi sfogare su un avversario la tua frustrazione – frustrazione che in quel caso è condivisa con i compagni di squadra, mica solo tua. Succede così che, invece di scagliare racchette o pallate a caso come lui stesso e diversi altri colleghi fanno più o meno abitualmente incuranti delle conseguenze per gli altri, se la prende con il proprio manager, l’italiano Edoardo Artaldi, gridandogli rabbioso ripetuti “fuori” mentre gli punta platealmente contro il dito. Inquadrato dalle telecamere, Artaldi esce a testa bassa insieme al fratello di Nole.

Le virgolette che nell’incipit mettono in risalto quell’aggettivo, “controverso”, stanno a significare che in realtà non c’è oggettivamente molto da discutere riguardo a quel comportamento di Novak. Certo, qualcuno può pensare che dare sfogo al proprio lato oscuro sia positivo; però, se l’umiliazione in pubblico di una persona è cosa positiva, viene da domandarsi dove quel qualcuno ponga un limite. Va bene farlo con un proprio dipendente, convinto che, se lo paghi, tutto ti è permesso? Ci si deve fermare prima della violenza fisica o magari solo un po’ è accettabile? Forse, tuttavia, il limite dipende più che altro da chi sono i due soggetti coinvolti, perché essere quello passivo probabilmente fornirebbe una prospettiva diversa della questione.

Collegato a questo c’è, ça va sans dire, l’apprezzamento – tanto di moda in certi circoli da essere stantio – per ciò che non è politically correct, una locuzione il cui uso in questi contesti altro non fa che nascondere l’insofferenza per non poter spargere odio e discriminazione, maltrattare e insultare gli altri a proprio piacimento (dove gli altri sono quasi sempre minoranze e persone che non si possono difendere). Qualcosa di cui non a caso si lamenta Tennys Sandgren, secondo il quale vivere è difficile se non puoi offendere nessuno perché gli sponsor poi ti bacchettano.

Chi ha milioni di follower sui social, chi è un personaggio pubblico, una star dello sport non può ignorare il fatto di essere più che potenzialmente un modello da seguire per qualcuno e ciò implica delle responsabilità. A maggio saranno trentasei i compleanni, sembra giunto il momento di iniziare a capirlo.

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