Martedì 27 maggio Marin Cilic tornerà a giocare un match nel tabellone principale del Roland Garros dopo tre anni: nel 2022, a sorpresa, aveva raggiunto – a quasi 34 anni – la semifinale dello slam francese e, in particolare, aveva completato la collezione delle semi Major dopo aver eliminato il numero 2 Medvedev e il numero 7 Rublev, dominando per un set anche Casper Ruud, prima che finisse la benzina. Nel corso degli ultimi anni il croato, classe 1988, ha prima perso inevitabilmente terreno in classifica per poi rischiare seriamente la chiusura anticipata della carriera, per via di un grave problema al ginocchio, che l’ha costretto all’operazione, nel marzo del 2024, dopo un anno abbondante di sofferenza e di ritiri.
Tra un acciacco e l’altro ha trovato la forza di ripartire da zero, dal purgatorio del tornei challenger e dalla lotta polverosa delle qualificazioni: dopo aver perso con Lloyd Harris nel turno decisivo domani se la vedrà con Flavio Cobolli, sul campo numero 8, e stiamo parlando di un numero troppo alto per un ex campione slam. Il tempo passa, i ricordi sbiadiscono, i tifosi diventano più vecchi di te: ma la tenacia no, quella sopravvive. E allora Cilic ha deciso di riprovarci, perchè l’adrenalina della lotta è autorizzata a sfidare il tempo: nel settembre del 2024 è entrato nel tabellone dell’ATP 250 di Hangzhou da numero 777 del ranking mondiale e, alla fine, ha alzato il trofeo, disegnando il record più curioso di una carriera monumentale (21 titoli totali, il numero 3 del mondo, tre finali slam, quattro partecipazioni alle Finals di Londra).
Sta provando a regalarsi una “last dance” fatta come si deve, masticando l’amaro dei tornei minori e di sconfitte teoricamente inaccettabili: ha recuperato un pezzetto del terreno perso, si è riavvicinato alla top 100 (attualmente è 104) e ha ricominciato a sognare, una settimana alla volta, in attesa, magari, di un grande Wimbledon. Già Wimbledon: e quella maledetta finale del 2017, quando indossò i panni sbagliati e perdenti del guastafeste del trionfo di un altro, e ovviamente ci riferiamo a Roger Federer, e ovviamente andò come doveva andare. Non riuscì quasi a giocarla, quella partita, un po’ per la tensione, un po’ perchè come si fa a battere Federer, un po’ per un infortunio al piede.
Marin Cilic ha rappresentato il meglio della seconda fila dell’epoca dei Fab Four: un tennista completo e imperfetto, potente ma fragile, che trovò la pace interiore grazie a Goran Ivanisevic. Con l’aiuto e il carisma del coach-idolo Marin indovinò la settimana della vita, a New York, nel 2014, dominando il torneo dai quarti di finale in poi: il dritto, improvvisamente, non tremava più, infischiandosene dei limiti delle righe e della rete, il servizio era diventato ingiocabile, da un giorno all’altro e, soprattutto, la testa del gigante fragile aveva fatto il clic giusto, questione di vocali, diventando la testa autorevole di un campione.
Cilic adesso si trova nella fase dell’ultimo sfizio ma non ancora in quella della passerella: non sappiamo se riuscirà, davvero, a riavvicinarsi alle posizioni che contano, al tennis vero, al guizzo finale. Sappiamo solamente che ci proverà, un punto alla volta, prendendo la rincorsa come al solito, inarcando la schiena verso la riga di fondo, pronto a caricare un’altra prima di servizio. Ace.