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Editoriali del Direttore

Wimbledon – Verso una probabile finale Sinner-Alcaraz: ipotesi pro e contro. Djokovic agguerritissimo

Sinner-Djokovic non è meno “classico” di Sinner-Alcaraz. Contano più gli ultimi 5 match o i 2 sull’erba? Che meraviglia la ricomparsa della “stella” Anisimova. Ma Swiatek la spengerà?

Last updated: 11/07/2025 23:00
By Ubaldo Scanagatta Published 11/07/2025
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12 Min Read
Carlos Alcaraz e Jannik Sinner – ATP Roma 2025 (foto: Francesca Micheli)


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Che Wimbledon non abbia più l’erba di una volta lo diciamo da tempo. E che Iga Swiatek raggiunga per la prima volta una finale qui, dopo che al massimo era stata nel quarti nel 2023 (battuta da Elina Svitolina), è un’ulteriore dimostrazione. Ma quando è stata la sua trasformazione in… erba battuta? Beh, sono state comunque trasformazioni graduali. E del resto tutti i tornei, anche sulla terra rossa, anche sul cemento, le hanno fatte quando un certo tipo di trend sembrava stufare l’opinione pubblica perché dava sempre lo stesso tipo di risultati e di vincitori.

A Roma, ad esempio, dopo che i “terraioli” ispano-sudamericani e i pupilli di Bollettieri aut similia si erano impadroniti del torneo, a cavallo degli anni ottanta fino al ’93, (Vilas, Clerc, Gomez, Arias, Mancini, Muster, Sanchez, Courier e con finalisti Teltscher, Krickstein, Jaite, Perez Roldan e vi risparmio i semifinalisti) Franco Bartoni – direttore del torneo – decise di rendere velocissima la terra battuta e la finale del ’94 fu giocata su una superficie che pareva… ghiaccio e non a caso la finale fu vinta da Sampras contro Becker! Due giocatori che amavano di più il veloce che la terra, tant’è che Sampras ha vinto un solo altro torneo sulla terra rossa, e in altitudine, a Kitzbuhel, e Boris Becker nemmeno quello. In semifinale a Roma, se non ricordo male c’era Ivanisevic…

In Australia prima fu abbandonata l’erba di Kooyong nel 1988 per il sintetico Rebound Ace di Flinders Park e poi, dopo quasi 20 anni, nel 2007 si è lasciato anche quel cemento appiccicoso – dopo una lunga serie di infortuni e di distorsioni alla caviglia– per il Plexicushion. Che ha avuto anch’esso i suoi detrattori. Ma talvolta i cambi di superficie, come quelli delle palle, sono stati dettati da ragioni strettamente commerciali. In quest’edizione di Wimbledon, ad esempio, si è notato che le pubblicità delle palle Slazenger sono sparite.

Per l’erba di Wimbledon e la sua evoluzione forse sono state decisive le sette vittorie di Pete Sampras fra il 1993 e il 2000. Ma anche quella di Krajicek 1996 che interruppe il monopolio con merito. Con merito perché fu proprio il lungo olandese (un metro e 96 cm) a battere Sampras lungo il cammino. Fu molto più facile, per l’attuale direttore del torneo di Rotterdam, battere in finale Malivai Washington, il primo e ultimo afroamericano a spingersi così lontano dopo Arthur Ashe (1975). L’unico momento di suspence da ricordare fu quello della streaker Melissa Johnson che passeggiò nuda sul campo a metà match prima che un paio di bobbies la coprissero con degli asciugamani. Fu negli anni successivi che per scoraggiare gli spogliarellisti prezzolati e professionisti, invalse la regola di non mostrarli in tv e nelle foto dei giornali. Chiuso l’inciso… dico che anche il 2001 di Ivanisevic-Rafter, finale peraltro super emozionante, vinta dalla wild card croata e n. 125 ATP (dopo 3 finali perse) per 9-7 al quinto fu certo più caratterizzata dai servizi che dai palleggi. Troppo veloce. Troppi serve&volley. Troppi pochi scambi. L’anno dopo ecco il cambio drastico. Di tipologia di erba, ma anche di taglio.

Esagerano, però. Nel 2002 la finale la giocano Lletyon Hewitt e David Nalbandian. Non giocano una sola volée. Arrivano a rete solo per la stretta di mano finale. E l’erba che fino agli precedenti era tutta sgualcita, rovinata nei pressi della rete, ora è irriconoscibile nei pressi della riga di fondo già a fine prima settimana. E ciò sebbene per tutto un anno, dalla finale dell’anno precedente, sul Centre Court non si possa giocare mai. Dal 2003 in poi inizia l’era Federer. Si aggiusta il tiro. Né troppo veloce né troppo lenta. Chi attacca dietro al servizio torna a godere di qualche vantaggio. Ma anche i giocatori alla Nadal, riescono a difendersi anche se… non solo a difendersi.

Il match del 2008, vinto 9-7 al quinto da Nadal su Federer è uno di quelli che io ricordo fra i più belli di tanti. Come quello del 2001 appena ricordato (senza parlare delle finali Bog-McEnroe 1980 e 1981, ma prima anche Ashe Connors del ’75, Borg-Connors del ’77), quelli del 2009 Federer-Roddick, del 2019 Djokovic-Federer, del 2023 Alcaraz-Djokovic, più incerto e avvincente di quello di un anno fa. Per il match di finale di Wimbledon 2025, premesso che ora come ora la finale più probabile sembra Alcaraz-Sinner ma Djokovic e il popolo serbo non saranno certamente d’accordo, c’è un… fortissimo e quasi imbattibile avversario con cui confrontarsi: la finale del Roland Garros vinta da Alcaraz al tiebreak del quinto set e dopo che Sinner aveva avuto due matchpoint nel quarto set (ed era stato anche due volte a 2 punti dal match sul 6-5 del quinto set, 15-30 e 30-30).

Mentre la prima semifinale in programma, Alcaraz-Fritz sembra avere un favorito piuttosto netto, e cioè lo spagnolo campione delle ultime due edizioni e campione di tutti gli ultimi tornei da Roma in poi a dimostrazione di una continuità prima semisconosciuta – anche se ieri fra i colleghi italiani in sala stampa sembrava raccogliere adesioni anche Fritz che a invece non mi ha mai entusiasmato anche se riconosco che nei giorni in cui serve bene non è tipo facile da battere – la seconda semifinale riserva troppe incognite.

Prima di tutte quella della salute di entrambi. Sinner sembra aver superato il problema del gomito, anche se ha detto di aver sentito una fitta quando Shelton l’altro giorno gli ha sparato un servizio sopra i 220 km orari, mentre di Djokovic che era scivolato malamente a gambe larghe nel game finale contro Cobolli, una vera spaccata, non si sa nulla se non che ieri doveva allenarsi e non l’ha fatto. Non l’ha fatto a Aorangi Park, quantomeno.

I confronti diretti contano e non contano perché sono datati. 5-4 per Sinner che ha vinto gli ultimi quattro, ma 2-0 per Djokovic quelli giocati sull’erba, nel 2022 e nel 2023, in cinque set quello più vecchio, ma Djokovic dominò letteralmente gli ultimi tre, mentre nel match del 2023 pur perdendo in tre set Sinner fu molto più vicino al tennis e al rendimento di Novak. La mia sensazione è che un anno in più non abbia giovato a Djokovic quanto invece a Sinner, salvo il fatto che nel calore di una grande battaglia Jannik potrebbe accusare il trauma della sconfitta patita a Parigi con Alcaraz (qui l’intervista del direttore con Paolo Bertolucci). Ma mi sto arrampicando su mille supposizioni, di certezze non ce ne sono. L’orgoglio irriducibile di Djokovic, impegnato nella sua semifinale n. 14 a Wimbledon (ne ha vinte 10 su 13) potrebbe creare quella che, nonostante i 7 trionfi in Church Road, verrebbe probabilmente considerata una mezza sorpresa. Una cosa è sicura, come abbiamo avuto modo di concordare Steve Flink e io nel nostro quotidiano videocommento su YouTube, canale Ubitennis (al quali mi permetto di consigliarvi di iscrivervi, qui il link con tutti i video): Djokovic qui avrebbe dovuto meritare la testa di serie n.4, se non la n.3. Per l’ATP è n.6, ma è una fake seed!

Due parole infine sulla finale femminile, dopo che nel “comincio” di questo articolo ho ricordato che l’”erba battuta” contemporanea ha rilanciato le quotazioni di Iga Swiatek che – così come Djokovic testa di serie n.6 – non merita certò di essere considerata n.8, anche se qui non è mai andata oltre i quarti di finale… e una sola volta, nel 2023, battuta dalla Svitolina.

Amanda Anisimova, russa di genitori ma del New Jersey di nascita, a 17 anni era considerata un sicuro fenomeno perché raggiunse le semifinali, prima ragazza nata nel terzo millennio, a Parigi. Poi la morte del padre, e coach, l’ha sconvolta. Come è normale che sia. Oggi però è la prima finalista americana a Wimbledon dai tempi di Serena Williams, 2019. Un anno fa Amanda, oggi 23 anni, aveva ripreso a giocare dopo quasi un anno di stop dovuto a vari infortuni e a problemi di caratteri psicologico abbastanza simili a quelli accusati da Naomi Osaka. Aveva perso però all’ultimo turno delle qualificazioni. Fisicamente, nella pausa, si era anche notevolmente appesantita. L’eccesso di peso non l’aveva aiutata a sconfiggere problemi alla schiena e all’anca. Difficile allenarsi e competere in quelle condizioni. Ad aprile ha ingaggiato un fisioterapista, Shadi Soleymani, ad occuparsi della sua salute e del suo fisico e da allora il suo livello di gioco, e di condizione atletica, non ha fatto che crescere.

Confesso di aver fatto il tifo per lei, sebbene io di fatto non la conosca personalmente, perché era ed è un nome nuovo per la stragrande maggioranza della gente e, inoltre, un’ennesima finale Sabalenka-Swiatek non avrebbe suscitato uguale interesse e curiosità. Tuttavia si deve notare che Sabalenka non ha vinto nessuno dei tre Slam dacchè è diventata n. 1 del mondo. E dalla velocità, 30 secondi, con cui ha raccolto racchette e borsa per uscire dal campo, si è capito che ancora una volta – come a Parigi quando ha perso da Coco Gauff e ha detto di aver giocato in modo orribile e ha pure aggiunto che Iga Swiatek avrebbe certamente battuto la Gauff – che Aryna non è una buona perdente.

Riuscirà l’inesperta Anisimova a battere la polacca che ha vinto 5 finali Slam su 5 (4 Roland Garros e un US Open)? Anche se ora non è più la n. 1 del mondo Iga lo è stata ugualmente per 125 settimane e detiene la striscia più lunga di vittorie di questo secolo: 37. Swiatek, n. 2 nella Race, è la grande favorita. Ma Anisimova ha mostrato una grande personalità contro Sabalenka. Anche nel riprendersi dopo un paio di matchpoint sbagliati.


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