Taylor Fritz dopo la sconfitta di Washington, arriva in Canada, con il carico di energia per lo swing americano. “Mi sento bene, motivato, pronto a giocare,” esordisce il numero uno statunitense nella conferenza stampa che precede il suo debutto sul cemento canadese. In un’estate nordamericana che ama particolarmente, Fritz arriva con le idee chiare, il bagaglio pieno di convinzioni e qualche rimpianto residuo da Wimbledon, dove ha assaporato il gusto dell’impresa con Carlos Alcaraz.
Lezione da Wimbledon: “Contro Alcaraz non basta restare lì, bisogna prendersi i punti”
Il match dei quarti di finale contro Carlos, finito in quattro set ma combattuto fino all’ultimo, è ancora vivido nella mente di Fritz. E non solo perché il livello espresso, in certi momenti, è stato molto vicino a quello del campione spagnolo. “Il secondo e il quarto set li ho giocati davvero bene,” racconta Taylor. “Nel primo e nel terzo, invece, credo ci fosse spazio per fare meglio.”
Il rammarico più grande? “Sul set point del quarto, sono stato un filo troppo conservativo. Avevo una palla comoda, l’ho attaccata, ma avrei potuto affondare di più. Avevo paura di regalare un punto, ma alla fine ho capito che in quei momenti bisogna rischiare. Non puoi aspettarti che l’altro sbagli, devi andare a prendertelo il punto.”
Poi analizza con lucidità chirurgica anche il servizio sul 6-4, quando una prima sulla riga si è rivelata troppo centrale. “La palla è rientrata un po’ su di lui, se avessi spostato il lancio un filo più sopra la testa, forse sarebbe stato un ace, ma sono dettagli. E comunque, non mi porto dietro quella partita come un peso. Ho avuto le mie chance, non le ho prese. È lì la differenza tra i migliori e il resto del circuito.”
“Sinner e Alcaraz sono sopra tutti, ma non invincibili”
Alla domanda se davvero Alcaraz e Sinner abbiano staccato il resto del gruppo, come sostenuto dallo spagnolo stesso dopo Wimbledon, Fritz non si tira indietro. “Non si può negare: stanno ottenendo risultati migliori di tutti. È un dato di fatto, ma in determinate condizioni, ad esempio su un campo veloce, sono battibili.” Il condizionale però è d’obbligo: “Servono le condizioni giuste e magari una giornata in cui non giocano al massimo, e un tuo picco di rendimento. Le partite si decidono su pochi punti. Se uno serve alla grande o gioca il suo miglior tennis, tutto può succedere.” L’analisi è lucida: non è questione di talento assoluto, ma di continuità e di cogliere le occasioni. “Sulla carta, sono avanti, ma questo non significa che siano imprendibili. Solo che, nei momenti chiave, spesso loro fanno la cosa giusta. Ecco dove dobbiamo arrivare anche noi.”
Il tour americano: “Giocare qui è un dovere, ma anche un piacere”
Nonostante l’estate fitta e il rischio burnout dietro l’angolo, Fritz ha deciso di giocare Washington, Toronto e poi Cincinnati, prima dello US Open. Una scelta non solo di cuore, ma anche dettata da esigenze regolamentari. “Con il nuovo regolamento ATP devi giocare un certo numero di ATP 500 o ti ritrovi con uno zero in classifica. Io sono stato infortunato a inizio anno, ho saltato due 500 e quindi dovevo giocare a Washington per forza.”
Non nasconde però una certa perplessità: “Non credo sia una gran regola. Se sei stato fermo per infortunio, dovresti poter gestire meglio il tuo calendario. A Washington ero ancora stanco dal periodo sull’erba. Ma Toronto è un’altra cosa: ho avuto il tempo di rifiatare e sono felice di essere qui.” Per lui, nordamericano doc, questo swing è speciale. “È il mio periodo preferito. Mi sento a casa, conosco le condizioni, gioco davanti a un pubblico che mi sostiene. Capisco che per i giocatori europei possa essere un momento complicato, ma per me è il cuore della stagione.”
Il segreto per reggere fino alla fine? Avere fame
La parola “burnout” ricorre spesso nei discorsi dei giocatori in questo periodo dell’anno. Fritz ammette che può succedere: “Arrivi a un torneo e ti senti vuoto. È così, non ci puoi fare molto, ma quest’anno io mi sento fresco. Ho saltato tanti allenamenti per via degli acciacchi, mi sono riposato più del solito. Forse anche per questo, ora ho energia.” Un’energia che vuole sfruttare non solo per fare bene a Toronto, ma per arrivare pronto allo US Open. E magari, chissà, provare a colmare quel piccolo gap che ancora separa i top player dal resto della concorrenza. “Mi sento vicino. Sto migliorando. Non mi interessa avere qualche anno in più rispetto a Carlos o Jannik. Io vado avanti a lavorare, convinto che la mia occasione arriverà.”