“Dimmi cos’è quella stella grande, grande in fondo al cielo che brilla dentro di te” canta uno degli inni della sua Roma. E chissà se Flavio Cobolli – che ultimamente abbiamo visto con la maglia del Genoa – avrà fatto di questo verso il suo mantra per approdare a una dimensione tennistica superiore.
Il 23enne nato a Firenze ma romano in tutto è diventato grande. Dopo un inizio di 2025 zoppicante, in cui si è trascinato alcune problematiche fisiche dall’anno precedente, ha definitivamente abbandonato le posizioni di mezzo, quel limbo in cui si attende di essere smistati tra il tennis che conta e le zone dell’incompiutezza. Sono arrivati in ordine il primo ATP 250 a Bucarest, presagio del più importante successo ad Amburgo, torneo della categoria 500, e, soprattutto, i quarti di finale a Wimbledon, dove si è arreso solamente a Novak Djokovic, dopo avergli strappato di forza il primo set. I risultati si traducono sempre in un numero, nella fattispecie la posizione in classifica. E per l’azzurro è arrivata anche l’irruzione in top 20, firmando il best ranking al 17esimo posto alla fine di luglio.
La crescita del 2025 e la voglia di non fermarsi: la mentalità di Sinner, la manualità di Alcaraz e… l’eredità di Djokovic
“È stata una stagione lunga iniziata malissimo per problemi fisici e risultati che non arrivavano però non ho mai mollato, ho sempre provato a lottare per ritrovarmi e ce l’ho fatta con Bucarest, poi con Amburgo e infine con Wimbledon, che mi ha dato una spinta enorme a credere in me stesso e che è stata la ciliegina sulla torta” commenta Cobolli in un’intervista a “Il Giornale“.
Flavio si è raccontato con sincerità, con lo spirito di chi sa di dover ancora esplorare vette inedite e di chi vuole migliorarsi passo dopo passo per avvicinare l’élite della sua generazione. Inevitabile citare Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, con le tre finali Slam ancora negli occhi. “Ho visto un dualismo spettacolare e dei cambi tattici incredibili. Sinner e Alcaraz provano a migliorarsi ogni giorno e mi danno lo stimolo per crescere, sembra impossibile raggiungerli ma lavoro per questo”.
Non vuole nascondersi il numero 25 ATP, l’ambizione deve essere tanta per superare i propri limiti. E se del connazionale ruberebbe la mentalità, del nuovo numero 1 del mondo prenderebbe “sicuramente la mano, il suo tocco, la usa in modo differente rispetto agli altri giocatori del circuito”. Lui che, anagraficamente, si trova a metà strada tra Jannik e Carlos guarda, però, anche a fonti di ispirazione più longeve. Riportandogli la frase di Djokovic, che ha dichiarato che c’è un erede di Federer e uno di Nadal, ma ancora non esiste il suo, Cobolli si candida: “Io… No, scherzo. Sogno di esserlo io, però ovviamente ci sono tanti altri giocatori molto forti che proveranno a esserlo, però lui è il mio idolo sin da quando sono bambino, quindi sarebbe un onore poter avvicinarmi a lui anche se è il miglior giocatore della storia e il suo erede sarà quasi impossibile trovarlo”.
Il padre allenatore e gli obiettivi per il finale di stagione
L’asticella dei sogni che si alza, i paletti che si spostano sempre oltre. Con un denominatore comune: il lavoro sul campo. “Il servizio, su cui già sto lavorando tanto, e i colpi di taglio” sono due aspetti su cui il tennista romano sta intervenendo, per aggiungere al suo bagaglio tennistico ulteriori espedienti per velocizzare i punti. Al suo fianco da sempre c’è papà Stefano “il miglior coach del mondo e quindi è giusto averlo con me”. Un binomio familiare che pare funzionare, in un mondo, quello del tennis, dove spesso il doppio ruolo allenatore-padre ha creato problemi. “Ovviamente ci sono degli screzi perché comunque è mio padre” aggiunge, ma dalle sue parole si evince che si tratta di un rapporto sano che crea un ambiente sereno. Anche la vicinanza del fratello Guglielmo lo aiuta nei momenti difficili e ne accompagna la gioia nei trionfi più belli. “Lui non è bravo nello sport e avrebbe potuto nutrire un sentimento di invidia, sicuramente non deve essere facile per lui, ma siamo molto legati”. Le pressioni familiari non risiedono in casa Cobolli, insomma. E lui stesso ci tiene molto a dare un consiglio a tutti i giovani e alle loro famiglie: “Divertirsi, ma più che a loro vorrei darlo ai genitori: lasciate liberi i vostri figli di divertirsi. Sono un giovane privilegiato perché un divertimento e una passione sono diventate anche un mestiere”.
Per Flavio adesso c’è da pensare a chiudere al meglio la stagione, per poi lanciarsi verso il 2026 con grande convinzione. Ripresosi dal problemino che lo ha costretto al ritiro contro Lorenzo Musetti allo US Open, l’azzurro guarda già oltre. “Mi dispiace ancora per Lorenzo che meritava di vincere la partita con un punteggio pieno e spero non se la sia presa con me per questo brutto gesto, però non ce la facevo più e ho dovuto fare una scelta per la mia salute” precisa, però è essenziale non compromettere il prosieguo dell’annata. Il suo personale scopo è centrare la qualificazione alla prossima Coppa Davis, le cui Final Eight avranno luogo a Bologna: “È il primo obiettivo sin dall’inizio della stagione, spero di far parte della squadra, siamo un bel gruppo, ovviamente c’è un giocatore come Sinner che comanda questa truppa e che ci sta dando una forte spinta per lavorare sempre di più però siamo tutti amici, ci sfidiamo sul campo e lottiamo ogni giorno per metterci in difficoltà”.
La scaramanzia tra il tennis e la Roma e quella paura dell’incompiutezza
Infine, c’è spazio per alcune confessioni, tra il privato e l’aneddotico. “Scelgo sempre la stessa doccia e vado sempre in quella, però sono più scaramantico quando guardo la Roma che quando gioco a tennis” se la ride Cobolli, che se dovesse scegliere tra un titolo per la sua squadra del cuore e la top 10 non avrebbe dubbi. “Ho tanti anni per aspettare uno scudetto della Roma quando finirà la mia carriera e sono sicuro che prima o poi arriverà, quindi scelgo sicuramente di entrare tra i primi dieci al mondo”.
Non si pone più limiti il 22enne romano. Lo ha fatto in passato, ma ha già dimostrato a sé stesso che è controproducente. Infatti, dopo aver creduto di poter essere competitivo solo sulla terra battuta, ha finalmente capito che il suo tennis può adattarsi a tutte le superfici. I quarti di finale di Wimbledon glielo hanno confermato. Alla domanda su cosa gli abbia lasciato cavalcata dei Championships, Flavio risponde: “La voglia di provarci ancora”. Anche se non nasconde la sua paura più grande: “Pensare di aver dato tutto quando alla fine magari avrei potuto dare ancora. Ho paura del rammarico e del rimorso. Io voglio dare sempre tutto anche se poi magari non è abbastanza”.