Vasek Pospisil si è ufficialmente ritirato dal tennis professionistico lo scorso luglio, nel suo amato Masters 1000 del Canada, il torneo di casa: ha perso la sua ultima partita con Facundo Bagnis, dopo quasi due decenni – da protagonista – nel circuito mondale. Una carriera che lo ha visto raggiungere la seconda settimana nei tornei dello Slam, entrare in top 40 e conquistare la Coppa Davis. Adesso, in ogni caso, il suo orizzonte rimane fortemente legato al tennis, ma da un’altra prospettiva: quella che lo vede come uno dei principali leader della PTPA, un’organizzazione che si prende cura del benessere dei giocatori e che mira a colmare le lacune che l’ATP non riesce a coprire. Pospisil, attraverso il blog Behind the Racquet, ha raccontato i momenti di svolta nel proprio percorso e la nuova vita dopo il ritiro.
GLI INIZI- “I miei genitori fuggirono dal regime comunista dell’ex Cecoslovacchia. Io sono nato un anno dopo il loro arrivo in Canada, in un piccolo paese chiamato Vernon, nella Columbia Britannica. Non avevamo molte risorse, ma la passione di mio padre per il tennis era enorme. Fin da giovane, il tennis è sempre stato tutto ciò che volevo fare, così ho dedicato tutta la mia vita a questo sport. I sacrifici sono stati immensi. Mio padre lasciò il lavoro, risparmiò denaro per investirlo nella mia carriera. Quando ero giovane, non capivo veramente tutto quello che mi circondava, ma quando arrivò l’adolescenza iniziai a sentire quel tipo di pressione. Non da parte dei miei genitori o della mia famiglia, ma da me stesso. Sentivo di dover restituire alla mia famiglia tutto ciò che avevano investito in me. Nel corso della mia carriera da giocatore, è difficile identificare un momento preciso in cui mi sono reso conto di avercela fatta, perché speri sempre di non essere un tennista “di un solo momento”. Ho avuto dei buoni risultati lungo il percorso, ma se dovessi sceglierne uno, direi la semifinale del Masters 1000 di Montréal. Avevo costruito abbastanza fiducia da sentire di poter vincere partite nel circuito con continuità”.
L’ESPERIENZA NELLA PTPA- “La prima volta che mi sono reso conto che avevamo bisogno di un’associazione dei giocatori è stata dopo una riunione congiunta che abbiamo avuto nel 2016 con l’ATP. È stato allora che è diventato chiaro che il tennis avesse bisogno di un cambiamento, che i giocatori avessero bisogno di una voce reale che li rappresentasse. Poco dopo ho deciso che dovevo essere io a fare quel passo. Non so bene perché sia arrivato a quella conclusione, ma ero convinto di poterlo portare avanti. La cosa più importante che ho imparato in questi ultimi cinque anni riguarda il sistema del tennis: ho scoperto che è molto più disorganizzato di quanto pensassi. Oggi, per la prima volta, vedo che siamo molto vicini a realizzare un cambiamento importante, il cambiamento necessario affinché i giocatori abbiano una vera voce e un contesto ideale per crescere. Il tennis è rimasto indietro rispetto ad altri sport, ed è per questo che in tutti questi anni abbiamo cercato di collaborare con alcuni organi di governo. Volevamo dare loro l’opportunità di lavorare con noi, ma per andare avanti non abbiamo avuto altra scelta che procedere attraverso un’azione legale. L’obiettivo finale è creare una voce indipendente per i giocatori: questo è il nostro scopo principale, affinché si possa poi preparare il terreno per tutto il resto: aumentare i montepremi e avere una maggiore partecipazione agli introiti. Avere voce in capitolo in qualsiasi questione che influisca sul nostro lavoro – come viaggi, orari, palle da gioco o prize money – per noi sarebbe estremamente importante.”