La sfida alla Gran Bretagna è un esame di maturità (Valenti). Murray: “Attenta Italia, sono tornato” (Giordano). Attenzione, non c’è solo Murray (Valesio). Zugarelli e la Davis nel sacro tempio di Wimbledon (Clerici)

Rassegna stampa

La sfida alla Gran Bretagna è un esame di maturità (Valenti). Murray: “Attenta Italia, sono tornato” (Giordano). Attenzione, non c’è solo Murray (Valesio). Zugarelli e la Davis nel sacro tempio di Wimbledon (Clerici)

Pubblicato

il

 

La sfida alla Gran Bretagna è un esame di maturità (Gianni Valenti, Gazzetta dello Sport)

Un esame di maturità. Questo è il succo della sfida che da domani a Napoli vedrà opposta la squadra azzurra alla Gran Bretagna. Il tennis maschile italiano, di nuovo in auge grazie alla crescita importante di Fabio Fognini, ha l’occasione per consacrarsi a livello internazionale raggiungendo dopo sedici anni la semifinale di Coppa Davis. Un risultato alla nostra portata anche se l’avversario non è certo dei più comodi. La presenza di Andy Murray, infatti, rende tutto complicato ma anche estremamente stimolante.

E’ vero giochiamo in casa e sulla nostra terra rossa, come è innegabile che storicamente i confronti diretti tra le due Nazionali sono abbondantemente dalla nostra parte (11-4). Ma quel che conta è il presente e lo scozzese, vincitore di Wimbledon e di una Olimpiade, è un giocatore che può fare la differenza, anche in doppio. Inoltre ha il carisma per galvanizzare e portare oltre i loro limiti due comprimari come i suoi compagni di squadra Evans e Ward. Se a ciò aggiungiamo che le condizioni fisiche del nostro numero uno non saranno perfette, ecco spiegato perché il match è in equilibrio. Dobbiamo portarlo a casa senza fare troppi calcoli. Sperando in una prestazione da Davis di Andreas Seppi da tempo sotto tono quasi avesse sofferto oltremisura il sorpasso nel ranking da parte di Fognini. E’ la sua occasione, non la deve sprecare.

———————————————–

Murray: “Attenta Italia, sono tornato” (Antonio Giordano, Corriere dello Sport)

Life is now: in quel mare che pare riflettere i suoi occhi, in quella scenografia mozzafiato, in una «normalità (magari apparente) ritrovata. La vita è adesso: perché Wimbledon, naturalmente, la cambiò, rovistando .dentro. Murray, sottraendolo per un po’ a se stesso, turbandolo – com’era giusto, magari inevitabile, che fosse – e comunque alterandola. «1 primi mesi non fu semplice o comunque non fu la stessa cosa. Qualcosa venne modificata, chiaramente. Però adesso mi sembra che io sia tornato quello d’un tempo». 7 luglio 2013, è l’epicentro d’una esistenza fantastica, già baciata dagli dei del tennis, infiocchettata persino con l’oro Olimpico: ma quando l’erba di Wimbledon diviene verdissima, Andy Murray avverte dentro di sé sensazioni sconosciute, una dimensione favolistica da domare e l’ebrezza d’una immensità che può concedere soltanto la magia d’un trionfo del torneo più fashion dell’universo. «E per due mesi è stato diverso, sono stati momenti frenetici».

Si scrive Murray ma per rileggerne la biografia, mentre Italia-Gran Bretagna sta per cominciare, conviene partire dagli ultimi capitoli, dal divorzio da Lendl, da una separazione netta e però anche in attesa, racchiusa forse in quel messaggio mica tanto subliminale diffuso a mezzo stampa mentre Napoli è Li a lasciarsi ammirare: «Con un allenatore, talvolta, hai l’impressione di essere in sintonia e di poterti trovare; poi, invece, scopri che non sempre sei d’acconto, soprattutto quando analizzi le partite, che lasciano emergere differenze nelle vedute e sotto-lineari che forse quello non è l’abbinamento giusto. Ma è nella natura delle cose, tutto ciò. Tecnici ce ne sono in giro e però la scelta non è semplice, va trovata la persona con la quale scatenare la chimica giusta. E una valutazione che va fatta con attenzione».

Paradosso con un po’ di humor, per un «gunners» che stima Mourinho e che s’è appena affacciato nella città di Benitez: quale dei due, Andy? «Ho conosciuto personalmente Mou, mentre non ho avuto il piacere di incontrare Benitez. Però ho visto il Napoli in tv, quando ha giocato contro l’Arsenal, e posso dire che qui sta facendo grandi cose. Ma devo dire che i personaggi sono diversi tra loro. E comunque sono qui e dunque preferisco Benitez» (…)

————————————

Attenzione, non c’è solo Murray (Piero Valesio, Tuttosport)

GLI INGLESI chi? La squadra che l’Italia affronterà a Napoli da domani è identificata dai più con un nome e un cognome: quello di Andy Murray. Che è scozzese, fra l’altro. E se si arriverà, da quelle parti, ad un referendum popolare sull’indipendenza della Scozia sarà carino assai scoprire da che parte si schiererà quello stesso Andy osannato da Londra quando è riuscito a vincere Wimbledon. Ma questo è un altro discorso: la formazione britannica potrebbe essere composta da tre sagome di cartone oltre a Murray, almeno sotto il profilo della popolarità. Ma dato che di tre sagome di cartone non si tratta sarà meglio per tutti che nell’imminenza del via (anche se chissà quando avverrà dart che per venerdì le previsioni si Napoli riferiscono di pioggia certa) non si ceda alle seduzioni dell’entusiasmo e si guardi con estrema attenzione a quelli che Murray non sono.

SPESSORE Prendete James Ward, ad esempio. A San Diego contro gli Stati Uniti (dove si giocava sulla terra, giova ricordarlo) ha malmenato Sam Querrey che non sarà certo nel miglior momento della carriera però è pur sempre un giocatore di livello. Lo ha portato sul terreno della lunga durata e lo ha battuto. Ward non ha mai spiccato il volo verso l’Olimpo della classifica mondiale però è il vero davisman di quella squadra. E dato che nalla Davis permangono ruoli d’antan (tipo quello dell’outsider che batte il campione) sarà il caso che Fognini e Seppi guardino a lui con una certa attenzione. Non foss’altro perché per trovare un po’ di spessore qualche anno fa si è allenato a lungo in Spagna, prima all’Accademia di Ferrero poi con l’entourage di Nadal.

BONTA’ E poi c’è il doppio. A San Diego l’hanno giocato Colin Fleming e Dominik Inglot il quale avrebbe portato in dote la storia più bella di questo confronto se fosse stato convocato. A Napoli Inglot non ci sarà e non è escluso che Murray possa cimentarsi anche in una disciplina (il doppio, per l’appunto) che frequenta tanto quanto la camminata in equilibrio su un precipizio per l’appunto al fianco di Fleming. E poi c’è Evans che in classifica è quello messo meglio dopo Murray e che è una specie di Gulbis buono nel senso che con l’estone ha in comune la passione per le serate trascorse non a dormire per preparare i match dell’indomani ma bensì a divertirsi in giro per locali. Ma lui, dice, di aver messo la testa a posto: e dato che il talento c’è, anche se un po’ on-divago, ecco che è un altro da tenere d’occhio. E mica poco. Ma il capo del gruppo è Andy Murray, ovvio. Lui che la terra non la ama, figuriamoci quella umida di mare e di pioggia (…)

————————————————

Zugarelli e la Davis nel sacro tempio di Wimbledon (Gianni Clerici, Repubblica)

Esco dalla conferenza stampa pomeridiana dei miei amici inglesi, e uno di loro, Neil Harman, del Times, mi domanda se abbia per caso assistito ad un match tra Gran Bretagna e Italia, nel 1922. Mi alliscio la barba bianca, e lo informo che fui respinto, come raccattapalle, al primo degli incontri, quello di Roehampton del 1922, nel quale furono massacrati il mio prozio Cesare Colombo, e il Conte Balbi di Robecco, un nobile genovese conosciuto per il suo talento nel distruggere racchette, altro che il ligure Fognini. Ma ero già un vecchio Scriba all’incontro giocato allo All England and Croquet Club, quello del 1976, e me lo ha ricordato l’annuncio della prossima uscita della biografia di Tonino Zugarelli, per i tipi di Ultra Sport. T

onino Zugarelli, soprannominato Zuga, fu infatti l’eroe di quel match, in un periodo in cui non era facile, in Italia, inserirsi in uno squadrone del quale facevano parte Panatta e Barazzutti, due dei cinque italiani capaci di raggiungere i First Ten, con Pietrangeli e gli avi De Morpurgo e De Stefani. Zugarelli, del quale sarà interessante leggere, sarebbe probabilmente divenuto campione del mondo o quasi, non fosse stato privo della metà del pollice della destra, indispensabile nello spingere il manico sul rovescio, ma non meno utile nel rinserrarlo, insieme all’indice, sul diritto. Giunto al tennis attraverso gli umili sentieri dei raccattapalle, Zuga si segnali tra l’altro raggiungendo la Finale degli Internazionali romani del ’77, battendovi tra l’altro Pecci, vincitore di Parigi, e Dent, finalista dello Australian Open. E perse di un filo da Gerulaitis, altro creativo due volte vincitore a Roma. Nel famoso match contro la Gran Bretagna Zuga fini in campo casualmente, in seguito ai pianti di Barazzutti e di Panatta, vittime l’uno di lombaggine e l’altro di un male al braccio. Nuovo all’attività di capitano, Pietrangeli riuscl a convincere almeno Adriano, per preferire Zuga al doppista Bertolucci. E, con sorpresa, confesso, di chi l’aveva visto fin lì a disagio sui prati, Zugarelli adattò perfettamente il suo rovescio monco alla riarsa erba di Wimbledon, e attaccando senza sosta, sottomise Taylor, un mancinaccio allora celebre per la velocità del servizio. Non pago di questa, per molti inattesa, affermazione, nella terza giornata Zuga, indietro di due set, riuscì nella prodezza di tre successivi 6 a 1 contro John Lloyd, quello che sarebbe diventato Mr. Evert, marito cioè di Chris. Ma certo Zugarelli non sarà avaro di aneddoti, su su fino alla vittoria contro il Cile, nella quale non fu schierato se non a risultato per noi vittorioso, e giocò tanto controcuore da buttare il match (…)

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement