Nadal, profondo rosso, Rafa scivola sulla sua amata terra (Martucci); Il Nadal che non ti aspetti, Montecarlo perde il favorito (Clerici); La fionda di David Ferrer non ha più il complesso Nadal (Ferrero); Scherzi e insulti quando il gioco è affare da Freud (G. C.); «Fognini perde la testa se non è apprezzato» (Valesio); Giorgi, L'Italia di Fed Cup sbarca nel futuro (Volpe); Ritorno dalla Cina, Sergio Tacchini rivuole il suo marchio (Giordani)

Rassegna stampa

Nadal, profondo rosso, Rafa scivola sulla sua amata terra (Martucci); Il Nadal che non ti aspetti, Montecarlo perde il favorito (Clerici); La fionda di David Ferrer non ha più il complesso Nadal (Ferrero); Scherzi e insulti quando il gioco è affare da Freud (G. C.); «Fognini perde la testa se non è apprezzato» (Valesio); Giorgi, L’Italia di Fed Cup sbarca nel futuro (Volpe); Ritorno dalla Cina, Sergio Tacchini rivuole il suo marchio (Giordani)

Pubblicato

il

A cura di Davide Uccella

Nadal, profondo rosso Rafa scivola sulla sua amata terra (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 19-04-2014)

Gli dei vacillano. Roger Federer arriva a due punti dalla sconfitta con Tsonga sul 2-6 5-6 0-30, Novak Djokovic lo imita, fino al 4-6 3-3 15-40 contro Garcia Lopez. Ma, mentre il numero 5 e il 2 del mondo si salvano con tanta paura e qualche sbucciatura, cade il numero 1 della classifica e della terra rossa, Rafa Nadal, e crolla fragorosamente, dopo nove finali di fila giocate a Montecarlo, con otto titoli consecutivi interrotti solo dodici mesi fa e solo da Nole Djokovic.

Nel derby Cade, nel derby contro il numero 2 di Spagna, David Ferrer, dieci anni dopo l’unica volta che ci aveva perso sulla superficie preferita da entrambe: allora, a Stoccarda 2004, il mancino di Maiorca aveva 18 anni ed era 57 del mondo, stavolta è il più forte di sempre su rosso. Cade, dopo 17 schiaffi di fila, su questi campi, al piccolo, instancabile, maratoneta David, col quale era 21-5 nei testa a testa. Cade, il re di 8 Roland Garros, inciampando sul proprio terreno, prima della finale, come non gli accadeva dagli ottavi con Soderling a Parigi 2009 (il k.o. con Verdasco sulla terra blu-saponetta di Madrid 2012 non vale).

«Sconfitta giusta» Cade e non si sorprende: «Quando l’avversario fa le cose meglio di te, perdere è normale. Non ho giocato nel modo giusto, non ho avuto la giusta intensità col dritto, ho giocato troppo corto, gli ho dato la possibilità di avere sempre il controllo dei punti. Bravo lui». Così come non fa festa Ferrer: «La farei se avessi vinto la finale di Montecarlo, ma sono in semifinale. Per me è solo un match della carriera, non il più importante. Ho dovuto aspettare 10 anni per batterlo ancora sulla terra rossa, e con lui è difficile ovunque, ma non è una macchina: certe volte non gioca il miglior tennis e io invece ho giocato molto bene».

Segreto «Il primo set è stato la chiave. Così equilibrato, con lunghi scambi, ho fatto una tattica molto buona col mio dritto sul suo rovescio, e nei momenti importanti buoni vincenti spingendogli sul dritto», racconta il 32enne «Ferro», eterno secondo, cioè quinto, dopo i Fab Four, Federer, Nadal, Djokovic e Murray, anche se l’anno scorso è arrivato al n. 3 (oggi è 6). Quattro break consecutivi, dal 2-0 oFerru» al 2-3 Rafa, e 16 palle-break, con un game lunghissimo, il terzo, di addirittura 15’52”. Con David che spinge Rafa sempre più fuori dal campo anche se deve ricorrere al tie-break per abbattere quel muro invalicabile.

Quanti errori Ci riesce con uno sconcertante 7-1, con cinque errori gratuiti, decisivi, del favorito, che alla fine saranno addirittura 44. Una cifra assurda per l’allievo di zio Toni. Come l’attitudine sempre passiva e negativa del maiorchino che, cosí, non pub contrastare la cattiveria agonistica e l’abnegazione dell’avversario col dente incattivito dalle beffe dell’anno scorso: a Madrid, sul 6-4 6-5, con Nadal che si salva d’istinto a rete sul 1530 con una volée-lob miracolosa, e rovescia il match 7-6 6-0. E a Roma, con il 4-1 40-0 del secondo set che Ferrer dilapida, farcite a energie nervose.

Mentale «Non sono frustrato, ma non sono molto contento, sento che avrei dovuto fare molto di più, non ho trovato la soluzione del mio gioco nel momento giusto, arriverò al prossimo torneo senza buone sensazioni», fotografa Rafa dopo il secondo set-disastro che da 2-5 potrebbe addirittura rovesciare, sul 4-5 30-30. Quando però Ferrer abbandona la paura tirando un dritto imparabile, e poi incassa l’ennesimo rovescetto di un Nadal senz’anima, dopo 2 ore 13 minuti già nella storia. La forza mentale aiuta, invece, Federer, insieme al servizio — «sono felice di avere questo fondamento del mio gioco» —, quand’è con le spalle al muro, «frustrato per le 15 palle-break fallite» e per la tattica «o la va o la spacca» di Tsonga. «Che momento, soprattutto sul 15-30, ricordo una demi-volée di rovescio, non mi vedevo tanto bene, a quel punto». Come anche al tie-break, quando manca 3 set point sul 6-3 e, dopo altre gemme delle sue, sfoggia la bellissima volée di dritto dell’8-6, quindi piazza il fulmineo 6-1 decisivo dopo due ore di battaglia.

Questione di testa Chi altri se non la forza mentale aiuta il campione uscente, Djokovic (ancora con problemi di tendini all’avambraccio), che per un’ora e venti minuti non riesce a sfondare da fondo lo spagnolo atipico, con bellissimo rovescio a una mano? Batti e ribatti, picchia e ripicchia, da 3-3, nella fredda serata monegasca, Nole torna padrone, infila sette games di fila, chiude 6-3 6-1 e vola alla semifinale nobile, con Federer.

Il Nadal che non ti aspetti, Montecarlo perde il favorito (Gianni Clerici, La Repubblica, 19-04-2014)

Venerdì di Passione. Mi scuseranno gli addetti ai lavori di ben altro pregio, ma quello che stava per verificarsi a Montecarlo mi aveva quasi suggerito il titolo di Venerdì di passione, beninteso tennistica, della trinità dei Campioni, se posso permettermi di chiamarla così. Si è infatti dissolto il fu imbattibile Re del Rosso, Rafa Nadal, e ho avuto le mie perplessità prima di buttare nel cestino un altro pezzo in cui avevo già immaginato Fede-rer sconfitto, giunto com’era a due punti dalla caduta controJoWilfried Tsonga. Ma non era finita. Nel momento in cui i pullman ripartivano alla volta della Riviera italiana, portando con se più della metà del pubblico, non potevo nemmeno immaginare un Noie Djokovic sommerso, per un bel set , da un altro spagnolo, molto meno noto di quello che aveva malconciato Nadal, topolino Ferrer. Noie incontrava oggi, sotto le luci disagevoli dei riflettori, un altro dei 100 spagnoli che hanno consentito agli storici di collegare il cosiddetto lawn tennis alla pelota, specialità immortalata per primo, nel mondo delle immagini, da un bassorilievo di Pera Sangada, nel 1493, quando gli angeli ancora non immaginavano la racchetta. Si chiama, questo bel giovanotto, Guillermo Garcia Lopez, e già l’avevo visto e ammirato per l’eleganza dei suoi gesti del suo rovescio mono-mano, ma certo meno per la sua efficienza, che l’aveva al massimo sollevato al n. 33 nel 2010, anno del suo 27 compleanno. Sia pur vero che stiamo assistendo alla giovanile maturità di Federer e soprattutto di Wawrinka, ma questi tipi erano già piuttosto noti per imprese certo dissimili dal tran tran di Garcia Lopez. Ed invece, ancheachi, come me, aveva ammirato la disinvoltura di Djokovic nel conversare in semi-italiano, la sua sesta lingua, con [‘aficionado Fabio Fazio, appariva incredibile che quell’abituale peon, grazie al rovescio, dominasse la vicenda. Già ero trasecolato nel vedere topolino Ferrer accanirsi contro Rafa Nadal quasi fosse un ex-campione fuori forma. Non credevo alle statistiche, ormai generosamente offerte dai pc per il pensionamento di Tommasi, che mi informavano che Ferrer, negli ultimi 19 matchcontro Nadal, ne avesse persi 17, raccattando miracolosamente due successi sul duro. Ma non avrei mai immaginato di vedere Rafa con la schiena incollata ai teloni pubblicitari, ampliando così il campo quasi fosse una piazza. Un Nadal incapace di qualsiasi offesa, anche grazie al famoso diritto manciuncino, un Nadal che certo non attendeva una simile versione di chi era stato giudicato dai miei colleghi spagnoli Nadal dipendente. Detto dei quattro spagnoli, rimane l’inizio di partita terrificante di Tsonga capace di vanificare qualcosa come 17 delle prime palle break di un Roger in corso di rimonta. Ma i miracoli, anche da parte di chi conta su muscoli pugilistici, dovevano terminare di fronte alla corazza divina di un Federer senza età. Eravamo alfine giunti al termine di una storica giornata di un miracolo avvenuto, e due troncati a metà. Certo meglio di giorni deja-vu.

La fionda di David Ferrer non ha più il complesso Nadal (Federico Ferrero, L’Unità, 19-04-2014)

Tanto gentile e onesto pare, David Ferrer, da non osar neppure festeggiare la presa storica dell’amico Nadal, suo cronico esecutore sulla terra. Nel superare un trauma di 17 sconfitte filate sul rosso, in dieci anni di inutili rantolii a rincorrere i pallettoni avvelenati di Rafa, il valenciano ha cornpiuto un’impresa clamorosa; eppure una folla tiepida, quasi indifferente al moto rivoluzionario in atto a Monte Carlo, se n’è accorta appena alla stretta di mano, con cui il piccolo quasi porgeva le scuse al grande decaduto. Qui il mostro di Manacor aveva addentato qualcosa come otto titoli e giocato nove finali in dieci tentativi, dalla pubertà al primo pomeriggio di ieri; peggio di cosa gli era andata solo nel 2003, quando un Rafa minorenne fu respinto all’uscio negli ottavi da un reuccio della terra come Coria.

Per scovare un evento rouge privo di Rafa in finale – ieri era giorno di quarti, al Principato – è necessario consultare le cronache del 2009, in una funesta domenica parigina: Rafa in maglietta rosa, Soderling a bastonarlo come Coppi con Bartali in una sconcertante inversione di ruoli. Trovare spiegazione dell’accaduto di ieri è complicato: “Ho giocato corto, specialmente col dritto – ha raccontato Nadal, responsabile di 44 errori gratuiti – e dopo aver perso il primo set ho continuato a giocare senza spingere. Non puoi vincere, così”. Non potrà neanche continuare a steccare su questa ottava: le cambiali del tennis, cioè punti e fiducia, scadono una in fila all’altra e Nadal è interpellato a offrire risposte ancora e ancora, nelle prossime settimane, da Barcellona e Madrid (vittorie nel 2013), da Roma a Parigi (idem). E così, davvero, non va. Se il vecchio Ferru è l’unico, degli undici spagnoli, sopravvissuto per il sabato di semifinali, il suo prossimo avversario Stan Rovescio Wawrinka, matador di cannone Raonic e serio candidato alla prima finale monegasca, ha portato la Svizzera a piazzare due pedine su due negli ultimi quattro del torneo. L’altra con croce bianca su sfondo rosso è firmata Federer: mosso dalle scadenze del parto di Mirka ad accettare in extremis la wild card per il Country Club, ancora ci si chiede in quale evento Roger vorrà marcare visita, se Roma, Madrid, Roland Garros. Altrettanto a lungo, gli appassionati si domanderanno perché il recordman di tornei Slam e settimane in vetta al ranking si sia confermato il peggior campione della storia nella pratica dello sfruttamento di palle break. In una partita (2-6 7-6 6-1) salvata ripetutamente dal precipizio contro Jo Tsonga, Roger avrebbe financo perso il controllo e spedito una palla a centrare una barca a vela di passaggio in fronte al pomposo Monte Carlo Beach, il resort da duemila euro a notte, ricevendo un rarissimo warning. L’altro lusso, cui volentieri rinuncerebbe, è racchiuso in quelle inconcepibili 15 palle break mancate prima di «convertirne una, come si suol dire inciampando in convening, un falso amico dell’italiano. In questo caso, però, efficace: dopo tanto sciupio, all’inizio del terzo set, convincere una palla break a obbedire agli ordini è rassomigliato a una conversione religiosa anche perché, in quello stesso istante, la fiducia del francese si sarebbe flessa, fino all’inginocchiata. Fe-derer in semifinale dopo sei anni innanzi ad Alberto di Monaco, quindi. Contro un Djokovic graziato da un mediano, Garcia Lopez, fattosi clone di Guga Kuerten per un’ora: non avesse, lo sventurato Guillermo, mancato d’un soffio un rovescio vincente sul 6-4 3-2 e doppia palla break, avremmo raccontato altro. Ma Noie s’è fatto il segno della croce e, come ogni timorato di Dio, oggi si sveglierà più forte.

Ferrer veste da esorcista e fa fuori anche Nadal (Andrea De Pauli, Il Corriere dello Sport, 19-04-2014)

A 10 anni dall’ultimo successo su Rafa Nadal sulla terra rossa, il cocciuto David Ferrer si libera, finalmente, di tutti i complessi e caccia dal Master 1000 di Montecarlo il grande amico. E poco conta se il mancino artificiale di Manacor non si è presentato nel Principato al top della forma, perché la vittoria dell’alicantino è di quelle che da sole valgono un intero annodi sedute dallo psicanalista. Dal primo e unico trionfo sulla superfide più lenta, datato 16 luglio 2004, l’attuale numero 6 del ranking aveva inanellato un filotto di 17 sconfitte consecutive con il maiorchino, vedendosi soffiare, tra l’altro, ben otto finali, tra cui quella del Roland Garros 2013.

CATARSI- Proprio a Parigi, alla prima finale di uno Slam, David sembrava essersi rassegnato definitivamente all’idea di non potersi più concedere un’escursione rigenerante al di fuori dell’ombra imponente del connazionale, con cui spesso e volentieri condivide le tribune dei campi di caldo iberici e il divano del ritiro della Nazionale, per dar vita ad infuocati duelli alla PlayStation. «Rafa è il miglior tennista della storia sulla terra battuta», il refrain ripetuto all’infinito da Ferrer. «Per sconfiggerlo io devo essere in giornata di grazia, mentre lui deve avere un giorno storto». E’ più o meno quanto accaduto nel sorprendente quarto del torneo monegasco: David si è presentato nelle consuete vesti battagliare, mentre Rafa è apparso subito macchinoso e impacciato. Un primo momento cruciale si è vissuto nell’eterno terno game, che ha sfiorato i 16 minuti. Ferrer ha retto, foraggiando l’au-tostima. Arrivati al tie-break, poi, la catarsi. Regalato il primo scambio, l’eterno secondo ha infilato uno dietro l’altro sette punti, favorito dagli errori gratuiti del dirimpettaio.

IMPRESA- Nadal traballa e, nel secondo set, messo costantemente in difficoltà sul rovescio, si ritrova sul 3-1. E’ a questo punto che Ferrer sembra finalmente crederci davvero e inizia a gridare il suo mantra: «E’ora.E’orar». L’impresa è alla portata. E chi se ne importa se siamo a Montecarlo, dove il compagno è reduce da nove finali consecutive. Fino al giorno precedente David ha ripetuto la sua frustrata verità: «Magari raggiungere tutte le finali sulla terra per poi perderle contro Rafa». Ora, però, a due mesi scarsi dal compimento delle 32 primavere, è tempo di scacciare finalmente tutti i fantasmi. Adesso o mai più. Sul 5-2 gli ultimi dubbi esistenziali di Ferrer consentono a Nadal di riportarsi a 5-4, ma un ultimo rovescio tremolante lo costringe alla resa. «E’ stata una lunga attesati, il commento a caldo dell’alicantino. «Avevo chiara la strategia, ma contro Rafa è sempre difficile realizzarla. Non ti fa respirare». In semifinale l’attende il trionfatore dell’ultimo Open d’Australia, Stanislas Wawrinka.

Scherzi e insulti quando il gioco è affare da Freud (Gianni Clerici, La Repubblica, 19-04-2014)

EsisroNo, tra quelli che raramente rispondono alle definizioni di giochi, e più spesso alle degenerazioni dello sport, prestazioni individuali e collettive. In entrambe possono affiorare gli istinti, ovviamente migliori e deteriori ma, nel caso di sport di gruppo, il comportamento anomalo è meno evidente, tosi come accadrebbe nel caso del membro de l coro nella tragedia o nell’opera lirica. Tra gli sport individuali il tennis èforse quello che dura più a lungo, una partita media va sull’ora e mezzo, e non fatica a superare lecinque ore nel caso del best of five set. Cinque set spesso disputati sotto il sole estivo, a volte dopo una precedente partita non meno lunga, e il conseguente accumulo di tossine, notti di sonno disagevoli, spesso interrotto da angosciosi ricordi, incubi.

Mi rendo conto di aver iniziato, nella mia presunta generosità, ad occuparmi di una excusatio non petite, prima ancora di una accusatio manifesta: come quella, ad esempio, rivolta ieri a Fabio Fognini da chi avesse ascoltatoi suoi insulti a bordo campo, rivolti a suo padre e ai precettori, per ragioni che certo non avevano a che vedere con la partita in corso, ma con rapporti umani capaci di conseguenze che starebbe allo psicoterapeuta, non certo al cronista, approfondire. Nella mia lunga vita dissipata ai bordi dei court, ricordo di aver assistito a vicende che si potrebbe definire estreme, o patologiche. La prima mi venne raccontata da papà, anche lui tennista. Scherzi e insulti quando il gioco è affare da Freud Fognini èsolo l’ultimo di una lunga serie di episodi Nastase fu squalificato, Tacchini mise ko il rivale Fabio Fognini nel match perso giovedì contro Tsonga.

Alla fine degli Anni Venti, gli italiani riuscirono ad accorpare una squadra di Coppa Davis rispettabile, formata dal barone triestino De Morpurgo, già membro dell’esercito austro-ungarico, e dall’italianissimo nobiluomo veronese De Stefani. De Morpurgo era capitano della nostra squadra di Davis, più vecchio di De Stefani di dieci anni e, alla prima inaccettabile sconfitta contro il suo delfino, invece di stringergli la mano, gli assestò sulle guance uno schiaffo, quasi a vendicarsi di un affronto, una mancanza di rispetto, insomma una trasgressione.

Non è facile assistere in campo a manifestazioni avverse all’ avversario, ma una ne ricordo, da me citata in tre biografie che ho sentimentalmente dedicato alla grande Suzanne Lenglen. Sui campi della Costa Azzurra, il tennista franco-svizzero Aeschlimann (o era il Barone Artens? ) era uso, nei giorni negativi, accendere ai cambi di campo, le corde e addiritt ura illegno delle racchettecheegli riteneva colpevoli dei più facili tiri mancati. Per rimanere più vicini nel tempo, val la pena di citare Na-stase, tennista romeno che per il suo carattere instabile vinse meno di quanto gli sarebbe stato possibile, e cioè soltanto- scusate – quattro Masters. In uno di questi disputato a Stoccolma, Nastase, denominato Nasty, e cioè Sgradevole, era opposto al nero Arthur Ashe, gran gentiluomo e non meno grande tennista. Per provocare, come sempre faceva, un avversario in vantaggio, Nasty prese a rivolgersi ad alta voce all’avversario, provocandolo, suggerendogli di mettersi un cappellino bianco perché il suo color nero non gli permetteva di vedere la palla. Simile suggerimento si fece sempre più frequente, sinchè Ashe, troppo educato per una reazione manesca, afferrò le sue racchette e usci dal campo. Un giudice arbitro di buon senso, Klosterkemper, decise prontamente di squalificare Nastase. Ma non era finita.

La mattina seguente sentii bussare alla porta della mia camera. Era Nastase, che reggeva un mazzo di rose. «Gianni – mi disse – non sono per te. Accompagnami per favore alla camera di Ashe, perché voglio scusarmi. Ma il solo a mia memoria ad aver aggredito l’avversario in campo fu il mio amico Tacchini, fondatore delle famose magliette che, insultato più volte a Napoli dal sudamericano Alvarez, un vero provocatore, lo colpì con un pugno e lo stese, prima di essere squalificato. Accade a tutti, per ragioni note soltanto al Dottor Freud, di commettere errori. L’importante è scusarsene, come il nostro Fognini dopo le escandescenze del match contro Tsonga. Ma sarebbe ancor meglio capire che cosa ci ha spinti sin li, in modo da non esserne di nuovo vittime.

«Fognini perde la testa se non è apprezzato» (Piero Valesio, Tuttosport, 19-04-2014)

LE DOMANDE sono tutto sommato semplici: perché Fabio Fognini si comporta così? Di cosa è malato, ammesso che si possa utilizzare questo verbo? C’è speranza che possa non scivolare più nella furia incontrollata, come successo a Monte-carlo, per dar modo al suo talento di esprimersi al meglio? Per rispondere abbiamo chiesto aiuto al professor Gustavo Pietropolli Charmet. Che è psicologo, psichiatra e soprattutto si occupa dei problemi e delle patologie dei giovani. E’ docente alla Scuola di Psicoterapia dell’Adolescenza e, fra l’altro, è direttore scientifico della collana «Adolescenza, educazione, affetti».

Professor Pietropolli, Fabio Fognini è malato? «Non posso parlare direttamente di lui, ovvio. Non è un mio paziente. Ma dico che per quelli come lui non si può usare la parola malattia per il semplice fatto che non sono malati. La loro non è una patologia».

E allora cos’è? «Un disturbo narcisistico della personalità».

Spieghiamo. «Iniziamo dicendo che tutti i soggetti che ne sono affetti hanno caratteristiche comuni: sono genioidi, spesso carismatici, sensibili all’amore e alle relazioni».

Fabio, per l’appunto. «II problema è che sono costantemente alla ricerca di una visibilità sociale. In sostanza che il mondo riconosca sempre e accetti il loro valore e le loro qualità. I guai iniziano quando questo non succede».

Esempio. «Nel calcio un arbitro che non fischia un fallo a loro danno».

Nel tennis un giudice di linea che giudica fuori un servizio che era buono come l’altro ieri a Montecarlo. Che succede a quel punto? «Succede che il soggetto perde il contatto con la realtà. Ed entra in una fase di furia narcisistica che non riesce a controllare. Sono in genere personaggi tendenzialmente polemici, rissosi, riottosi ad accettare le regole: quando entrano in questa crisi per loro è come lanciarsi in una rissa. Perché il mondo non li accetta per quel tanto che loro sentono di essere. E c’è un’altra caratteristica che li accomuna tutti».

Quale? «Quando la furia si è estinta sono ragazzi pacati, dolci, in qualche caso perfino timidi».

Sicuro di non conoscere personalmente Fognini? Quello che lei sta tratteggiando è il suo ritratto. «Sicuro. Mi sono occupato di Balotelli tempo fa: un caso di diufficile soluzione, peraltro».

L’altro giorno Fabio ha inveito contro il padre in modo pesante, nel corso della sua furia narcististica. Cosa vuol dire? «I soggetti in questione, quando sono preda della furia, entrano automaticamente in conflitto con l’autorità. Probabilmente, per innescare la reazione, è stato sufficiente che il padre dalla tribuna gli abbia detto qualcosa. Che so: calmati, pensa a giocare. Istantaneanamente il ragazzo lo identifica come l’autorità, la regola, tutto quanto gli è avverso perché non risconosce il suo valore. e si scaglia contro di lui».

Ma come nasce un disturbo di questo genere? Cosa la provoca? «E’ diffusissimo, molto più di quanto si creda. Sono figli spesso unici ma non è detto. Crescono in famiglie spesso ottime che fanno il possibile per valorizzare i propri figli. Sono ragazzi finanziati, attesi, spinti a impegnarsi al massimo per il raggiungimento di un risultato. Però una cosa deve essere chiara».

Quale? «Questa loro fragilità narcisistica è parte del loro genio, della loro sensibilità. E’ uno degli elementi che fa loro degli artisti, dei campioni, dei fuoriclasse».

Ma esistono terapie per far si che i soggetti così combinati caschino meno frequentemente nelle loro crisi di furia? «Esistono, in qualche caso ci si riesce. Dipende dal ruolo che prendono i vice-padri cioè i coach o gli allenatori: dagli amori e dal-l’invecchiamento….».

Ma il padre di Fabio cosa avrebbe dovuto fare mentre il figlio lo insultava dal campo? «Ciò che fanno tutti quelli che si ritrovano loro malgrado in una nasa: prenderle».

Giorgi, L’Italia di Fed Cup sbarca nel futuro (Francesco Volpe, Il Corriere dello Sport, 19-04-2014)

Camila Giorgi si prende l’Italia Corrado Barazzutti ha scelto l’italo-argentina per affiancare Sara Errani e sfidare la Repubblica Ceca su! veloce di Ostrava, nelle semifinali della Fed Cup. Nel sorrido timido della bella Camila il senso dell’ennesimo ricambio generazionale di una Nazionale capace di restare al vertice mondiale dal 2006. Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Mara Santangelo e Roberta Vinci le interpreti di quel primo, storico trionfo contro il Belgio, a Charleroi. Oggi la Santangelo s’è ritirata ed è entrata nel Consiglio Nazionale del Coni, la Schiavone sta vivendo un sereno tramonto, la Permetta è infortunata. E la Vinci è finita in panchina, quantomeno in singolare, dopo un avvio di stagione da incubo (2 vittorie e 9 sconfitte nei tornei Wta). Giocherà soltanto il doppio, in tandem con la Knapp.

GHIACCIO. In fondo non si può parlare di sorpresa. Ca-mila Giorgi è il nome nuovo dell’Italtennis femminile ed è fresca di best ranking (lunedì scorso è salita al numero 54). Sarà lei a sfidare oggi Petra Kvitova, la campionessa di Wimbledon 2011, nata a pochi chilometri da Ostra-va, nel secondo singolare della prima giornata Il compito di sollevare il sipario spetterà alla numero uno azzurra Sara Errani, che affronterà Lucie Safarova. «Ho deciso di lanciare la Giorgi perché nelle ultime settimane sta giocando bene – spiega Barazzutti – Camila è reduce dalla finale a Katowice e le sue qualità tecniche si adattano a questa superficieindoor molto veloce». Il tappeto della Cez Arena, infatti, è steso su un campo da hockey ghiaccio, che ne esalta le caratteristiche di velocità. Del resto la marchigiana, 22 anni, che dal luglio scorso si è trasferita e si allena a Tirrenia presso il Centro federale, è già stata protagonista in Fed Cup a febbraio quando, all’esordio, ha sconfitto con un secco 6-2 6-1 la statunitense Madison Keys, spianando la strada al successo azzurro. E’ importante che in questo gruppo ci siano delle giocatrici giovani da inserire quando cenè bisogno. Parlo di Camila e anche di Karin Knapp. Sono state loro le protagoniste della vittoria a Cleveland Questo ci consente di avere una rosa ampia e di scegliere anche in base alla superficie su cui si gioca sottolinea soddisfatto Barazzutti. Camila, come nell’Ohio un paio di mesi fa, non mossa alcuna emozione. E poco importa che di fronte troverà la Kvitova, n.6 del mondo e due anni fa anche n.2. «So che è mancina – dice la Gior gi – ma io penso solo a giocare il mio tennis migliore, non guardo l’avversaria. Vestire la maglia della Nazionale è una bellissima sensazione In Polonia ho giocato molto bene, raggiungere la finale è stato importante mi ha datofiducia. La superficie sulla quale giochiamo a Ostrava è simile quella che ho trovato a Katowice, forse ancor più veloce».

CARE AMICHE. Se la Giorgi è la novità, la Errani rappresenta la continuità con i trionfi del recente passato. Sarà la romagnola, 26 anni, la prima a scendere in campo contro la Safarova, n.26 della Wta. Il bilancio è di parità (1-1). «Lo scorso anno l’ho battuta in Fed Cupa Palermo – ricorda la romagnola – ma si giocava sulla terra rossa, la superficrieche preferiva Qui, invece, il tappeto è velocissimo, sotto c’è il ghiaccio e c’è una bella differenza. Sono pronta a dare il meglio come tutte le mie compagne Sappiamo che affrontiamo avversarie molto competitive. La nostra forza è lottare su ogni palla, su ogni punto senza arrenderci mai. Lo testimoniano le vittorie che abbiamo conquistato negli ultimi anni». Le azzurre puntano a conquistare la sesta finale nelle ultime nove stagioni: quattro i titoli in bacheca, l’ultimo lo scorso anno a Cagliari, a spese della Russia E’ la quarta volta negli ultimi cinque anni.

Ritorno dalla Cina, Sergio Tacchini rivuole il suo marchio (Marcello Giordani, La Stampa, 19-04-2014)

Sergio Tacchini vuole ricomprarsi l’azienda venduta ai cinesi di Hembly sette anni fa. L’ex campione di tennis, protagonista di sei Davis negli anni ’60, attraverso la società di famiglia (Sandys), ha formalizzato un’offerta per la Sergio Tacchini International. Si chiama cosi oggi l’azienda che il tennista fondò a Caltignaga, Novara, nel 1966. Quella sede non c’è più, ma ora rischia di chiudere i battenti lo stabilimento di Bellinzago, ultimo baluardo novarese della Tacchini.

Per evitarlo Tacchini ha fatto un’offerta che è emersa nell’ultimo incontro di questa settimana a Novara tra sindacato, azienda e commissario liquidatore. «Non può accettare lo smantellamento di quello che ha creato e portato al successo – dicono gli operai, che ora sono in cassa integrazione e ricordano con nostalgia quando da Caltignaga e Bellinzago si vendevano un milione e 800 mila capi l’anno di t-shirt -, cosi si è fatto avanti. E’ l’unica speranza per evitare la chiusura definitiva anche di Bellinzago». Dalla Sandys confermano che l’offerta è stata presentata, e che la trattativa è in fase avanzata: potrebbe concludersi entro la prima decade di maggio.

A prendere la testa dell’azienda sarebbe il figlio di Tacchini, Alessandro, ma il padre tornerebbe in campo, per rilanciare il marchio in quello che è stato il settore per eccellenza della società: il tennis. Bellinzago è finita nei guai perché l’esperienza cinese, guidata da Janny Tang, ha visto in sette anni un bilancio poco lusinghiero: la rete dei negozi è stata smantellata, mentre a Bellinzago si è passati da 250 a 13 persone, che si occupano del settore commerciale.

L’anno scorso la decisione di cedere il ramo d’azienda che detiene il marchio a Wintex Italia, che a sua volta fa capo alla Wintex di Honk Kong. Wintex Italia ha aperto una sede a Milano e il futuro di Bellinzago s’è fatto più incerto che mai. Nel frattempo la società cinese proprietaria della Tacchini è finita in debito d’ossigeno finanziario, e deve presentare da mesi un piano per il concordato preventivo.

Di qui la volontà di Tacchini di salvare quel che resta della linea di abbigliamento sportivo made in Italy che fece il giro del mondo. Merito del fondato che, forte delle conoscenze nell’ambiente, anticipò la strategia dei campioni dello sport al servizio del marketing. Dopo un’estenuante trattativa col padre di John McEnroe in un pub di Londra, Tacchini ingaggiò il campione americano come testimonial. Fu un successo senza precedenti. Magliette, pantaloncini e calzettoni griffati Tacchini imposero un genere mentre l’azienda macinava fatturato e arrivava a 280 dipendenti. A McEnroe seguirono Connors e Djokovic. La ditta novarese vinse le forniture alle Olimpiadi di Montreal e Atlanta, il marchio era su occhiali e profumi.

La svolta a fine anni ’90. La concorrenza da Europa dell’Est e Asia diventa serrata e Tacchini ha un’altra idea: è il primo imprenditore italiano a scegliere apertamente di far produrre capi nei Paesi emergenti. Nel 1997 crea la Sandys e delocalizza la produzione in Estremo Oriente, Grecia e Portogallo. In Italia apre una rete di negozi monomarca. Non basta per vincere la concorrenza e nel 2007 cede a Hembly, colosso della moda cinese. Ma ora Tacchini è pronto a tornare in campo.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement