Rafael Nadal, ovvero la cognizione del dolore

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Rafael Nadal, ovvero la cognizione del dolore

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TENNIS – La battaglia più difficile per Rafael Nadal è sempre stata quella da affrontare contro il suo stesso fisico, il suo livello di tolleranza al dolore. Una battaglia che è in corso fin dall’inizio della sua carriera.

“Bisogna soffrire a lungo, dopo poi le cose van bene” recita una vecchia canzone russa. Escludendo a livello psicopatologico qualsiasi forma di masochismo, forse per la comprensione del verso ci potrebbero venire in soccorso i greci che nella loro saggezza consideravano il dolore parte integrante della vita, esattamente come la gioia. Il dolore per un greco è inevitabile per la natura dell’uomo perché, semplificando, è mortale. Il dolore non è solo elemento costitutivo dell’esistenza ma sua parte connaturale e insieme mezzo del suo riscatto.

Resistere al dolore non è rassegnarsi e consegnarsi passivamente al ciclo della natura, non è neppure atto temerario che pretende di valicare il limite stesso. Il greco elabora risposte attive all’ineluttabilità della morte. Diventare più forte attraverso il dolore e mutare una condizione precaria in impresa conoscitiva. Non rassegnarsi, non illudersi ma conoscere. Traslando nel mondo tennistico, è proprio il numero uno al mondo, lo spagnolo Rafael Nadal, che si avvicina di più alla concezione greca. Nella sua carriera ha avuto diversi stop, più o meno lunghi, dovuti a infortuni associati a rientri sorprendenti. Nella personalità di Nadal, la lotta non s’ingaggia solo con l’avversario ma anche con lo stato di bisogno e con la sorte che può essere una minaccia.

Nadal ha di volta in volta impresso al destino una svolta positiva dimostrando che dal dolore possono nascere due forme di resistenza: il sapere inteso come conoscenza di una male evitabile e la virtù capace di dominare il dolore. Sa bene lo spagnolo che l’equilibrio si trova nella giusta misura e nel governo di se stessi senza i quali anche un uomo tracotante va incontro alla sconfitta. Avere un avversario può essere vitale non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro limite e superarlo. Il confronto rispetto un altro, preso come riferimento, può divenire motivo per valicare il proprio confine. Non è un caso che le sfide contro Federer, il più grande dei giocatori in circolazione, siano state epiche sotto il profilo tennistico e fisiche quelle con Djokovic.

Sin dai suoi esordi Nadal ha dovuto dominare il dolore. Nel 2004 a causa di una frattura da stress al piede sinistro salta tutta la stagione sul rosso e al suo rientro in agosto vince il suo primo titolo ATP a Sopot senza mai perdere un set in tutto il torneo. Sarà ancora il piede a creargli problemi l’anno successivo. Dopo essersi aggiudicato i tornei di Montecarlo, Roma, Barcellona e vincere il suo primo slam a Parigi, in estate al termine del circuito americano i dottori gli diagnosticano una malformazione congenita dell’osso costringendolo a rinunciare così a giocare il Master di Shanghai e a saltare gli Australian Open all’inizio di stagione.

Al suo rientro lo staff medico consiglia d’indossare una speciale suoletta nelle scarpe che avrà però impatti sulla tenuta del ginocchio. Nessun disagio per lo spagnolo e gli avversari saranno incapaci di fermarlo sulla terra; Montecarlo, Roma e Parigi sono ancora sue.

L’autunno del 2008 sarà fatalmente avverso. Durante il torneo di Bercy, ai quarti di finale contro Davydenko, Nadal si ritira per l’acutizzarsi di un dolore al ginocchio che lo costringe a saltare il Master a Shanghai e la finale di Coppa Davis contro l’Argentina. Responso medico: tendinite. A differenza della precedente situazione, Nadal vuole essere in Australia e tutta la preparazione verte sugli Australian Open. Non è favorito ma dopo una semifinale estenuante di oltre 5 ore con il suo amico Verdasco, spedisce negli spogliatoi dopo un’altra maratona un Federer in lacrime aggiudicandosi lo slam. Chiede troppo al suo fisico.

Durante il torneo di Miami, il riacutizzarsi del dolore al ginocchio condizionerà “in parte” la stagione sul rosso con la vittoria a Montecarlo, Barcellona e Roma, finale a Madrid e a sorpresa al quarto turno a Parigi esce perdendo da Soderling; Roland Garros vinto in seguito da Federer che si aggiudica così l’unico slam che mancava all’appello. Il dolore è lancinante e dopo le verifiche mediche, a causa del persistere della tendinite, lo spagnolo è costretto a non presentarsi a Wimbledon. Decisione sofferta per il detentore del titolo in carica che perde la prima posizione in classifica anche grazie alla vittoria di Federer nel suo giardino.

Stessa sorte tre anni dopo al torneo a Key Biscayne. il dolore al ginocchio si ripresenta prima della semifinale contro Murray, e deve rinunciare persino a scendere n campo. Uno stop che viene subito recuperato, tanto da permettergli di dominare per l’ennesima volta sulla terra. Dopo aver perso al secondo turno a Wimbledon da Rosol, in estate annuncia di non giocare per tutto l’anno a causa della rottura parziale del tendine rotuleo e infiammazione dei tessuti del ginocchio ( denominata Sindrome di Hoffa ).

E’ la prima volta che Nadal sarà lontano tanti mesi. E’ atteso da tutti, si crede che non sarà possibile rivedere il suo tennis degli anni d’oro; le ipotesi decretano quasi la fine. Il suo rientro è solo nel Febbraio dell’anno scorso a Viña del Mar dove perde in finale contro Zeballos mentre batte a San Paolo Nalbadian. Sarà però dopo la trasferta argentina che inizia la rinascita di Nadal, vincendo di seguito ad Acapulco e Indian Wells. Sul rosso perde solo in finale contro Djokovic a Montecarlo mentre Barcellona, Madrid, Roma e Roland Garros ritornano al legittimo proprietario. Dopo la parentesi sfortunata a Wimbledon, uscito al primo turno per mano di Steve Darcis, torna sul cemento inanellando Rogers Cup, Cincinnati e US Open. Chiude l’anno facendo finale a  Pechino e raggiungendo la semifinale a Shanghai e al Master di Londra. Finisce la stagione al numero uno, tra i clamori di tutti i giocatori ed esperti di tennis.

Lo spagnolo è stato capace di evolvere se stesso e di andare oltre alle difficoltà. E’ il giocatore che ha ridisegnato il professionismo nel tennis spingendolo nella tecnica più evoluta. Totale dedizione, resistenza alla fatica, determinazione hanno portato Nadal in vetta alla classifica. Ma il corpo ha il suo perimetro e la mente può sovrastarlo.

Durante l’ultimo torneo di Miami, Francisco Roig, preparatore tecnico del maiorchino, non banalmente giustificò la sua sconfitta contro Dolgopolov per l’ansia. Il dolore alla spalla aveva spostato il centro di attenzione condizionando il gioco. Si è ripresentato un caso analogo al recente torneo di Montecarlo.

Questa volta però l’imputato è stato il nuovo pantaloncino con le tasche troppo grandi; la pallina poteva cadere fuori in fase di gioco e ogni tanto impedirgli la libertà negli spostamenti. Fattori forse ritenuti destabilizzanti nei suoi meccanismi di gioco. Sebbene il numero uno avesse confermato la sua buona condizione atletica, contro Ferrer è comunque apparso sottotono. La prudenza nell’evitare un nuovo infortunio ha contratto i movimenti risultando poco incisivo nei momenti chiave.

Sebbene molti infortuni sono di natura fisica (struttura corporea, condizione di gioco, etc.) anche i fattori psicologici non sono meno importanti. La più stretta correlazione è ascrivibile allo stress. Atleti con un trascorso difficile o poca attitudine alla gestione dello stress sono soggetti a maggior rischio. Le cause principali sono imputabili a una contrazione muscolare non richiesta a livello celebrale, con conseguente affaticamento, perdita di flessibilità articolare, aumento della tensione muscolare, diminuzione del campo visivo (sensibilità percettiva, distrazione) o deficienza nella coordinazione.

Da un’analisi del modello stress-infortunio è stato notato che tratti psicologici comuni come depressione, stato di malessere, apatia o ansia aumentano le percentuali di un infortunio. Atleti che presentano tali caratteristiche esauriscono più facilmente le proprie risorse fisiche e mentali e non rispondono adeguatamente allo stress fisico e mentale richiesto in un particolare momento della competizione. E’ stato anche notato che persone che hanno un carattere più dominante si fanno male con maggiore frequenza poiché con la tendenza al dominio e al controllo si tende a giocare un ruolo più centrale e più intenso e ad assumere più rischi per raggiungere i propri obiettivi.

Diventa quanto mai importante per un tennista o per un atleta professionista in genere imparare in maniera adeguata la gestione dello stress per controllare l’ansia che può compromettere la performance sportiva. Un’atleta deve non solo imparare la tattica per vincere nel pratico una partita ma soprattutto mettere in atto una strategia comportamentale e cognitiva per far fronte le difficoltà in campo.

Uno psicologo nello staff dei top ten è diventato figura cruciale al pari dell’allenatore e indispensabile durante il recupero da un infortunio che a livello emotivo può instaurare un’alterazione dell’immagine di Sé (con ricadute sull’autostima), sensazioni di perdita e di angoscia (impotenza riguardante il recupero) e minaccia al proprio livello di agonistico (ossesso sul ritorno in attività). Diventa così uno stop un elemento destabilizzante rendendo necessario intraprendere un percorso (mental training) volto all’accettazione del trauma, con la ridefinizione delle priorità e una cognizione del dolore che squilibra anche la psiche.

In fondo il verso della canzone russa “bisogna soffrire a lungo, dopo poi le cose van bene” un senso forse ce l’ha, almeno per un uomo chiamato Rafael Nadal.

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