Djokovic, Murray, Federer, Wawrinka e Tsonga dallo psicologo (pt.2)

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Djokovic, Murray, Federer, Wawrinka e Tsonga dallo psicologo (pt.2)

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TENNIS – Seconda puntata dell’analisi dei top 10 del 2013 sul lettino dello psicologo. Ora tocca a ai numeri 2,3,6,8,10 del 2013, ovvero Djokovic, Murray, Federer, Wawrinka e Tsonga. Qui la prima parte con le analisi di Nadal, Ferrer, Del Potro, Berdych, e Gasquet.

2) Djokovic Novak
È il più determinato. Aveva deciso di diventare numero uno sin da bambino. Una specie di ossessione ma agita con lungimiranza. Ha saputo aspettare, e a un certo livello è quello più disposto a migliorarsi, cioè a cambiare. La testardaggine e l’orgoglio che lo caratterizzano non sono mai andati in conflitto con l’intelligenza. E’ consapevole che il tennis di Federer è superiore al suo ma sa che può batterlo. Ha aspettato di poterlo fare e adesso lo fa con un orgoglio pari solo al rispetto. Tennisticamente non ha paura di nessuno. Sa che può vincere con chiunque e questo gli basta.

Scavando in profondità ha quello che si potrebbe chiamare il “complesso di Salieri”. Come il grande musicista coetaneo di Mozart è consapevole di vivere da protagonista un’era che comunque sarà ricordata per la rivalità Federer-Nadal. Anche se è stato proprio lui a superare il duopolio, come Salieri, è quello che intimamente capisce più degli altri quanto questo sia fatalmente ingiusto ma vero. A differenza di Salieri non ne prova invidia ma ne è grato. Può sembrare un paradosso ma in fondo si accontenta di essere il numero uno. Risolto.

4) Murray Andrew
Dei Fantastici Quattro rischia di diventare la donna invisibile. Dotato di una grande intelligenza naturale sul campo è sorprendentemente incapace di imparare qualcosa dalle sconfitte. Come spesso capita agli anglofoni abituati a parlare la propria lingua in qualsiasi parte del mondo non sente la necessità di impararne un’altra.

Il suo gioco è come la sua testa che è come la sua lingua. Capace di assorbire, e di imporsi, su ogni cultura ma incapace di comprendere perché non è più in cima al mondo per diritto divino. Sotto sotto Rafa teme Nole, che teme Roger, che teme Rafa. Lui è l’unico a non temere nessuno. Mentre gli altri vincono. Le sue paure non sono di natura tennistica ma esistenziale. Figlio involontario di Judy, dell’Inghilterra e della Scozia è il più Edipico tra i campioni. Oggetto di contesa tra tre madri carnivore in eterno conflitto tra loro non è nella condizione di scegliere. Preferirne una vuol dire tradire le altre. Si è sposato con se stesso ed è probabilmente destinato a rimanere figlio per sempre. Viziato ma senza intenzione. Autistico incolpevole.

6) Federer Roger
registrazione di alcune sedute: “…eppure lo so che cosa dovrei fare. Io so di essere più forte. So che mi basta respirare e colpire tranquillo. Bum. E se lui la piglia, un altro respiro e un altro Bum dall’altra parte. E via così. La palla è una mia amica. E’ sempre andata dove voglio. Ma con lui non va così. Non va mai così….

…Fino a Roma non avevo paura. Ci perdevo ma sentivo che per batterlo mi sarebbe bastato giocare bene. Dicevano tutti che ero il Più Grande e io ci ho creduto. Se lo dicevano tutti perché avrei dovuto dubitare proprio io? Poi quel giorno a Roma è arrivata la paura per la prima volta. All’improvviso. Dopo cinque ore. Mi è esplosa in quei due maledetti dritti finali. Eppure quella volta avevo giocato bene. Cristo se avevo giocato bene. Mirka mi ha consolato così: “maledetta terra”. E buonanotte. E le ho creduto. Ho capito che la questione non era così semplice a Wimbledon. La seconda volta che l’ho battuto intendo. Quella volta ho vinto di nuovo, ma di puro panico. In quel quinto set ho capito che poteva battermi anche sui prati. Non appena nel quinto è andato a due punti dal break sono letteralmente scappato verso il traguardo e ho vinto. Mi sono sentito come quelli che corrono sui carboni. Tutti mi hanno applaudito ma io so che è stato solo il terrore a farmi vincere. Il terrore di perdere nel Tempio mi ha anestetizzato i piedi e non mi ha fatto sentire la brace. Quel terrore che da ragazzo chiamavo rabbia e che credevo se ne fosse andato per sempre. Quando mi sono sdraiato su quel prato, incredibilmente fresco, avrei voluto rimanere lì per sempre…

…In fondo non lo odio. Con lui ho vissuto i momenti migliori di tutta la mia vita. Quando eravamo uno di fronte all’altro sentivamo che stava succedendo qualcosa di speciale. Non solo a noi. Un silenzio così non l’ho mai più respirato. Né prima né dopo. Anche lui lo sa. Non credo che nessun altro tra i miei contemporanei respirerà un silenzio così. Da ragazzo non potevo saperlo ma giocare a tennis non vuol dire colpire una palla vuol dire respirare quel silenzio.

… dottore, non è vero che penso sempre a lui

 8) Wawrinka Stanislas
Gli antropologi direbbero che è vittima di una cronica malattia territoriale. Quell’irriducibile facoltà umana che attribuisce a un uomo le caratteristiche del luogo da cui proviene. Il forestiero è l’uomo della foresta, lo straniero è quello strano e la Svizzera è… Federer. E’ una roba antropologica non si può fare nulla. Fosse nato cento chilometri più a Sud sarebbe un eroe nazionale e i poeti ne canterebbero le gesta per i secoli a venire. Ma è nato cento chilometri più su. Incolpevole.

10) Tsonga Jo-Wilfried
Ha classe, carisma e gioia. È bello. È grosso. È felice. È francese. Vorrei essere lui. Quasi. Ha il problema di Wawrinka capovolto. Sa di essere il numero uno in Francia e questo gli basta. Sa che i Fantastici Quatto sono più forti ma loro appartengono a un altro pianeta, a un’altra nazione. Nella sua è il più forte. Chi si accontenta gode. Pochi lo fanno più di lui. Rivincita esistenziale.

Pier Paolo Zampieri

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