Tennis americano, c'è luce in fondo al tunnel?

Roland Garros

Tennis americano, c’è luce in fondo al tunnel?

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TENNIS – Tre statunitensi al terzo turno del Roland Garros: non succedeva da quattro anni. Tra le donne, hanno tradito le Williams ma è spuntata la Townsend. Quale futuro per il tennis a stelle e strisce? Da Parigi, Alberto Giorni

Tre americani al terzo turno di uno Slam: una volta sarebbe stato un bilancio mediocre, adesso è uno spiraglio di luce nella crisi che sta vivendo il tennis a stelle e strisce. Sono finiti i tempi in cui gli statunitensi potevano vantare una quarantina di giocatori nei primi cento del mondo. Nel maggio 1984, ce n’erano 24 nei primi 50 e 6 nei top ten; nel maggio 1994, nei primi 50 ne erano rimasti 11, e 4 nei top ten. Adesso vanno cercati col lanternino: solo 7 nei primi 100 e se John Isner è il numero 11, per trovare il secondo (Steve Johnson) bisogna scendere fino al numero 64.

Per questo gli americani esultano per aver piazzato John Isner, Donald Young e Jack Sock al terzo turno a Parigi (e Isner si è assicurato poi gli ottavi battendo Robredo). A fare notizia è che a questo punto del torneo ci siano più uomini che donne: dopo l’uscita di scena delle sorelle Williams e di Taylor Townsend, è rimasta solo Sloane Stephens. Ma la Townsend, 18 anni, ha scritto una delle storie più belle di questo Roland Garros: ha conquistato spazi sui media di tutto il mondo, che si è accorto del suo grande talento. L’ha sottolineato anche Andy Murray: “Mi piace vedere giocare la Townsend – le parole dello scozzese –, inventa volée, palle corte e giocate che non si vedono spesso nel circuito, ha i mezzi per fare molta strada”.

Tornando agli uomini, è la prima volta da Wimbledon 2012 che almeno tre americani hanno raggiunto il terzo turno in uno Slam al di fuori degli US Open. L’ultima volta che è successo a Parigi risale al 2010, quando Isner era accompagnato da Roddick e Ginepri. E’ vero che quest’anno hanno avuto un aiuto dal tabellone (Sock si è giovato dell’infortunio di Almagro al primo turno e nello stesso quarto anche Haas si è dovuto ritirare), però un passo avanti c’è indubbiamente stato.

Il mancino Young, numero 79 del mondo, ha 24 anni ed è una grande promessa non mantenuta: a 16 anni era numero 1 Junior, ma a livello professionistico  ha sempre deluso le attese e fecero scalpore qualche anno fa gli insulti inviati via Twitter alla USTA, la Federazione americana, che non gli aveva concesso la wild card per il Roland Garros. Tra l’altro Young e la Townsend sono molto amici: sono cresciuti insieme a Chicago dato che le famiglie si conoscevano e sono stati proprio i genitori di Young (che sono anche i suoi allenatori) a introdurre al tennis la Townsend.

Sock, 21 anni e numero 75, viene dal Nebraska ed è stato il primo dopo Donald Young a vincere per due anni consecutivi il titolo di campione americano Under 18, vincendo anche gli US Open Juniores: “Non ho giocato molto sulla terra battuta, ma credo che il mio gioco si possa adattare bene a questa superficie: ho il tempo di girarmi sul dritto, la mia arma migliore. I miei primi ricordi del Roland Garros? Le vittorie di Kuerten”.

Una rondine però non fa primavera e la crisi americana resta profonda. Quali sono i motivi? “Abbiamo tanti talenti, che tuttavia non sfruttano a dovere le loro qualità – è l’opinione di Jim Courier, ex numero 1 statunitense e attuale capitano di Coppa Davis –. Ma la cosa migliore è parlare chiaro agli appassionati. Non dobbiamo pensare che gli americani meritino di avere i top players per diritto divino. Non ce lo meritiamo, dobbiamo guadagnarceli come tutti”.

La discussione è aperta. Sicuramente ci sono lacune tecniche, come sostiene Tim Mayotte, mentre altri ritengono che il progetto di far crescere i giovani abituandoli a giocare sulla terra battuta si sia afflosciato.

La Federazione non sta con le mani in mano e proprio questo mese ha annunciato il progetto di un nuovo centro tennistico a Orlando, destinato a diventare uno dei più grandi del mondo. Patrick McEnroe negli ultimi mesi ha girato gli Stati Uniti incontrando allenatori ed esperti per cercare nuove strade. Intanto sul campo qualcosa si muove: i messaggi parigini inviati da Young, Sock e Townsend sono promesse di futuro.

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