Molina: "Tutti i tennisti possono finire sulla lista nera"

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Molina: “Tutti i tennisti possono finire sulla lista nera”

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TENNS – In un Roland Garros segnato dalla polemiche arbitrali, l’ex arbitro spagnolo ha accettato di sottoporsi alle domande di un ex tennista transalpino: si è parlato di liste nere, giocatori difficili, warning e tifosi serbi… Traduzione a cura di Christian Turba.

 

A priori, i due stanno su due pianeti totalmente diversi. Da un lato Enric Molina, 40enne di Barcellona, primo spagnolo della storia ad aver arbitrato una finale di Slam nel singolare maschile (Federer-Agassi, Us Open 2005), nonché 4 finali di Coppa Davis e 4 edizioni delle Olimpiadi; dall’altro Jonathan Dasnieres De Veigy, 27enne nato a Nimes, modesto pro con un best ranking di numero 146 e due Slam disputati in carriera (Us Open 2011 e Roland Garros 2012, sconfitto al primo turno rispettivamente da Haas e Ferrero).

Allora, cosa li accomuna? Entrambi sono freschi di ritiro. Molina è sceso dalla sedia in questa stagione, per creare con l’amico Alex Corretja Big Match Player, agenzia di management e sponsoring per tennisti: il transalpino, dal canto suo, ha appeso le scarpe al chiodo l’anno scorso, sostanzialmente per mancanza di stimoli. Sfruttando l’appuntamento del Roland Garros, l’Equipe ha pensato bene di metterli a confronto, De Veigy nel ruolo del giornalista e Molina in quello della “star”. Il tema? Il rapporto tra tennisti e arbitri, soggetto quanto mai “caldo” (vedasi l’episodio del punto rubato alla Hantuchova e lo screzio tra Verdasco e Pascal Maria..) e mai veramente approfondito dagli addetti ai lavori. Ne è uscita fuori una chiaccherata interessante e per nulla banale, che riportiamo integralmente.

 

Adesso che entrambi abbiamo smesso possiamo discutere apertamente, senza frasi fatte. Credi che esista una certa rivalità tra un giocatore e un arbitro?

Sì e no. Sì perché in ogni match ci sono discussioni, è la natura del nostro lavoro; no perché quel che succede in campo rimane in campo, esiste una barriera tra il rapporto professionale e quello personale, anche se alcuni giocatori tengono in mente certi incidenti che hanno avuto con gli arbitri. A volte non è facile iniziare un match da zero, mettendo da parte tutto il passato..

Puoi parlarci della famosa lista nera sulla quale si trovano i giocatori difficili da gestire?

E’ vero esiste una lista, ma non riguarda solo i giocatori turbolenti. Se un giocatore che di solito è calmo va fuori di testa durante un march può finire sulla lista per due settimane, o due mesi, su decisione del supervisor. In questo modo, per l’incontro successivo, l’arbitro saprà che è successo qualcosa l’ultima volta..

E se il giocatore in quel periodo si comporta bene esce automaticamente dalla lista nera?

Sì, e inversamente, quando noi veniamo da un match complicato, il supervisor fa in modo di attribuircene uno teoricamente più facile, ad esempio un doppio, per farci riprendere fiducia.

Uno dei miei migliori amici sul circuito, Marc Gicquel, è conosciuto per avere un rapporto difficile con gli arbitri. Negli Slam e nei Challenger ci divertivamo a pronosticare quale grande arbitro gli sarebbe toccato, perché eravamo sicuri che fosse in questa famosa lista. Toccava o a te, o a Carlos Bernardes, o a Lars Graff..

Lo conosco bene Marc. Tutto dipende dalla personalità del giocatore e dell’arbitro… io, che sono spagnolo, riesco a capire meglio le emozioni e il comportamento di un giocatore “latino” di quanto possa fare un arbitro australiano..

Molti dicono che il tennis è meno spettacolare di prima, dell’epoca dei Mc Enroe… ma allo stesso tempo, appena lanciamo  una palla fuori dal campo, ci becchiamo il famoso warning, e al secondo warning un punto di penalità! Non è un paradosso?

Hai ragione. E’ grazie ai Connors e ai Mc Enroe che l’arbitraggio è divenuto davvero professionistico. Oggi c’è più rispetto di prima, ma esistono comunque giocatori di personalità, come Gulbis, Fognini, Monfils, Paire… e ciò è un bene per il pubblico. Io adoro arbitrare questo tipo di giocatore, è una vera sfida..

Dunque pensi che bisognerebbe lasciare più liberta di esprimersi ai giocatori, senza rischi di warning o multe?

Durante la mia carriera arbitrale ho cercato di essere un po’ più flessibile, di adattarmi alla situazione, perché penso che sia una buona cosa percepire e vedere le emozioni dei giocatori. Ma, dall’altra parte della rete, c’è un altro giocatore che si aspetta che il regolamento venga rispettato.. a volte è difficile  trovare l’equilibrio

Qual è il match che ti ha posto il maggior numero di problemi?

Mi ricordo certi incontri di Davis in Serbia, la finale del 2010 con la Francia in primis ma anche uno spareggio con l’Australia per risalire nel World Group. I serbi non capivano nulla di tennis, non sapevano quando applaudire e facevano macello tra i servizi. Nel 2002, poi, ho avuto una semifinale difficile a Wimbledon, tra Henman e Hewitt: ero giovane e all’epoca pensavo che quel match avrebbe deciso la mia carriera! Con tutto il pubblico inglese che attendeva che un britannico vincesse il torneo. Ed Henman, per quanto fosse un gentleman, era difficile da arbitrare perché conosceva il regolamento meglio di me..e Hewitt non era da meno..Quel giorno sentii davvero la pressione..

Non è stato troppo difficile per te smettere giovane?

Ho arbitrato per 20 anni (dal 1997 al 2014, ndr) e avto la fortuna di essere tra i migliori, sulla sedia ma anche come formatore di arbitri. Avrei potuto continuare ancora 10 anni, ma Alex Corretja mi ha contattato ed ho sentito che era il momento giusto per lanciarmi in un progetto interessante..

Anch’io ho sentito che era arrivato il momento di smettere, che non serviva a niente continuare senza investirsi al 100%. Per la prima volta torno al Roland Garros senza essere giocatore: l’anno scorso ero negli ottavi del doppio e tu stavi sulla sedia. Ritrovando l’atmosfera del torneo, mi son detto che mi piacerebbe fare un salto in campo..a te piacerebbe risalire sulla sedia?

Certo e credo che lo vorrò fino alla fine dei miei giorni: l’adrenalina che si ha prima e dopo la partita non la sentirò mai più. Ho ancora qualche tic da arbitro: ad esempio guardo sempre il ribattitore prima del servizio, per verificare che sia pronto, mentre tutti guardano il giocatore alla battuta! Ma la cosa più strana, per me, è applaudire: non l’avevo mai fatto in vita mia, neanche davanti alla tele, abituato com’ero a restare neutrale. Ho scoperto di potermi servire delle mani!

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