Dimitrov si libera di Murray, domani attacca Djokovic (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Di qui la tradizione, i mille trionfi, gli artigli dei vecchi leoni. Di là l’esuberanza della giovinezza, la fragrante esplosione di fresco talento, lo scalpitante ingresso nel tempio di nuovi adepti. Wimbledon scherza con il tempo e la storia, accostando ai monumenti dell’ultima decade le icone delle star di un futuro assai prossimo. Di qui, ci sono Federer e Djokovic, 27 Slam in due, di là irrompono Dimitrov e Raonic, la nouvelle vague tanto attesa. E Roger, da padre nobilissimo, benedice gli eventi: «E’ bello vedere che altre facce bussano alla nostra porta». Basta ombra Sono le semifinali dello scontro generazionale, del possibile stravolgimento o della conservazione dello status quo, del consolidamento delle certezze o dell’apoteosi della novità. I Fab Four, se mai sono esistiti da un anno a questa parte, si aggrappano all’eleganza erbivora dello svizzero e alla ferocia agonistica del guerriero serbo, ma perdono il campione in carica, l’uomo che aveva riportato un suddito di Sua Maestà sul trono di Londra 77 anni dopo Fred Perry. Addio a Andy Murray sotto lo sguardo raggelato del principe William e della consorte Kate, questo è il giorno di Dimitrov, che in un pomeriggio si scrolla di dosso l’ombra dell’eterno parallelo con Federer e il ruolo scomodo di fidanzato della tennista più glamour, quella Sharapova che non era in tribuna ma prima del match lo ha guardato negli occhi: «Vai e vinci». La sorpresa non è nell’epilogo, ma nel modo in cui matura. Tre set, in cui Grigor comanda sempre lo scambio da fondo e non dà mai possibilità allo scozzese di trasformare la difesa in offesa, il marchio di fabbrica. «Muzza» di suo ci mette 37 gratuiti, ma i colpi del bulgaro, in cui molti in tribuna sono convinti di avvertire lo stesso schiocco delle frustate di Re Roger, disegnano traiettorie luccicanti.
Prima semifinale Slam, ed è solo l’inizio: «Perché dovrei essere sorpreso da un successo così largo — sbotta Dimitrov a una domanda non gradita — io sono qui per vincere: sono stato paziente, concentrato su ogni punto, è una bella sensazione. Ora c’è Djokovic? Sarà una battaglia, ma posso battere anche lui». Scarpe nuove Griga non ha ancora perso quest’anno sull’erba, nove successi iniziati con il primo turno del Queen’s, ma Nole non è certo il tipo da sottrarsi alla sfida: «E’ giusto che i più giovani pensino di sostituirci ed è bello per il nostro sport, ma noi siamo ancora qui». Il numero due del mondo d’improvviso si trova a dover rimontare dopo un primo set da 27 minuti in cui in pratica Cilic non la vede mai, frustrato dal 46% di prime. Ma non appena il pupillo di Ivanisevic mette a posto la battuta, il match cambia vento e il pupillo di Becker (che affascinante sfida tra coach) non trova più la forza di imporre il ritmo da fondo, fino al dritto spacca tiebreak che manda il croato sul 2-1. Scivola, Nole, e non solo metaforicamente: al decimo volo sul prato ormai liso del Campo Uno, cambia scarpe e pure marcia. Gli ultimi due set sono senza storia, Novak torna padrone rimanendo un metro dentro il campo: «Nei primi tre set ho giocato male, poi ho chiuso gli occhi e mi sono detto che l’emozione di un quarto a Wimbledon è qualcosa di impagabile. E’ stata la scossa».
Trema la terra sotto le saette a duecento e passa all’ora dei giovani giganti Raonic e Kyrgios, ma non è soltanto un’esibizione di potenza fine a se stessa. Il canadese, sotto le cure di Piatti e Ljubicic, ha imparato ad usare il rovescio tagliato ed è molto più reattivo con i piedi. Certo, poi ci aggiunge 39 ace che dopo un primo set di pura adrenalina spengono gli ardori di Kyrgios, l’eroe greco d’Australia che ha fermato Nadal. Nick è stanco, di testa e di gambe, ma il suo torneo è l’illustrazione di una stella luminosissima: «Sono state le 24 ore più eccitanti della mia vita, anche il Primo Ministro mi ha fatto i complimenti sulla sua pagina Facebook». Milos, il montenegrino del Canada, altro notevole esempio di melting pot vincente, ora incrocerà le spade con Federer, il padrone del giardino, e qualcuno ci vede la replica di quella sfida del 2001 che segnò lo spartiacque tra l’epopea di Sampras e il sorgere dell’astro svizzero. Roger si impone nel derby con Wawrinka, che certo è appesantito dalla terza partita in tre giorni eppure si rende capace, nel primo set, di compilare 11 punti su 11 con la prima e di punire con il rovescio da fondo ogni tentativo di accelerazione del sette volte vincitore all’All England Club. Poi però è solo Federer (…)
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Murray si arrende a Dimitrov, la rivoluzione avanza (Marco Imarisio, Corriere della Sera)
Le rivoluzioni sono come i temporali d’estate. Non le vedi arrivare, non sono annunciate da nessun segno premonitore. Semplicemente appaiono. Il primo set giocato da Grigor Dimitrov contro Andy Murray è stato proprio questo, una epifania. Quel preciso momento in cui gli astri si allineano, e la combinazione di talento, fisico e testa trova una sintesi perfetta. Al cambio di campo dopo il 6-1 iniziale non c’è stato il consueto ruggito del Centre Court a favore del beniamino scozzese, campione uscente e ultima speranza locale di una estate sportivamente decente dopo i disastri del Mondiale di calcio. L’applauso di incoraggiamento è risultato timido, quasi spaesato. Non tirava aria di restaurazione, non questa volta. Si vedeva, e si sentiva. Troppo umilianti quei 25 minuti iniziali, troppo marcata la superiorità di «Grisha». Dopo molta vana attesa e altrettante prove di immaturità, il momento del piccolo Federer bulgaro, 23 anni, ormai più noto alle cronache per il fidanzamento con Maria Sharapova che per la sua classe sopraffina, era questo. Murray ha tentato di remare dal fondo nel secondo set, ma a ogni scambio, anche sulla sua prediletta diagonale di rovescio, perdeva terreno. L’ultima trincea è stata un tie-break perso di nervi. C’era ancora un set da giocare, ma la partita era ormai finita. Cambio della guardia, da lunedì lo scozzese retrocede allo posto della classifica mondiale. Se si ferma qui Dimitrov sarà numero 9, ma il futuro gli appartiene. La sconfitta di Rafa Nadal contro Nick Kyrgios non è stata il solito tributo pagato dallo spagnolo alle fatiche della terra rossa. Nel 2012 fu il bombardiere Lucas Rosol, nel 2013 addirittura Steve Darcis, un belga di retroguardia
Nel 2014 la beneficiata è andata in sorte al 19enne australiano di padre greco e madre malese, 9 mesi appena in meno di Gianluigi Quinzi, che esattamente un anno fa, come passa veloce il tempo e come cambiano le cose, lo aveva eliminato nei quarti di Wimbledon juniores lasciandogli solo 4 game. La sorpresa di lunedì sarà ricordata come la prima crepa nel muro dei Fab Four del tennis, che hanno rappresentato la più lunga dittatura del tennis moderno. Dal Roland Garros 2005 fino a oggi, Roger Federer, Nadal, Nole Djokovic e Murray, il Ringo Starr del quartetto, si sono spartiti 35 titoli del Grande Slam su 37, riducendo i loro coetanei al ruolo di vassalli. Poco importa se ieri l’estroverso Kyrgios non ha concesso la replica, perdendo in 4 set di tennis robotico contro Milos Raonic. Il canadese, classe 1990, alla prima semifinale Slam, sembra il più pronto del nuovo che avanza. Quel che conta davvero è la sua convinzione. E il modo in cui Nick e Grisha hanno preso a pallate i due mostri sacri. Con l’arroganza di chi sa che è giunto il tempo. Non hanno più paura. Non scendono in campo già battuti, come accadeva alla generazione precedente. Wimbledon 2014 rappresenta uno spartiacque. Anche a prescindere dal vincitore, che potrebbe ancora essere Federer, uscito bene dallo scontro fratricida con uno Stan Wawrinka durato solo un set, il primo, dove è stato reso migliore del suo attuale stato di forma dalla consueta e misteriosa pervicacia con la quale Sua Maestà gli ha giocato sul rovescio, il colpo migliore dell’altro svizzero. Oppure Djokovic, che ci ha messo 5 set per venire a capo del croato Marin Cilic, ex promessa del 1988 (…)
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Dimitrov manda a casa Murray, a Federer il derby con Wawrinka (Stefano Semeraro, La Stampa)
E’ proprio un’estate amara per i british, che dopo le umiliazioni nel calcio, nel rugby e nel cricket da ieri soffrono anche di Mal di Murray nel tennis: lo scozzese, campione uscente a Wimbledon, sotto gli occhi del principe William e della sua sposa Kate è stato superato nei quarti da Grigor Dimitrov (6-1 7-6 6-2), il fidanzato di Maria Sharapova che da lunedì diventerà il primo bulgaro ad entrare fra i top-10. In semifinale incontrerà Novak Djokovic, il numero 2 del mondo che ha rischiato di scivolare (anche per colpa delle scarpe) contro il croato Marin Cilic ma è uscito alla distanza (6-1 3-6 6-7 6-2 6-2) e se vincerà il torneo sorpasserà Nadal in vetta alla classifica. Torna in semifinale, la sua nona a Wimbledon, la 36esima nello Slam, anche Roger Federer che l’anno scorso era stato eliminato malamente al 2 turno dall’ucraino Stakhovsky: nel derby svizzero ha superato un esausto Wawrinka (3-6 7-6 6-4 6-4) e domani tenterà di domare il bombardiere canadese Milos Raonic, che ha avuto ragione (6-7 6-2 6-4 7-6) del killer di Nadal, il 19 enne australiano Kyrgios. Sara Errani e Roberta Vinci sono nei quarti in doppio, oggi dalle 14 le semifinali donne: Bouchard-Halep e Kvitova-Safarova.
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Finalmente arrivano i giorni dei ragazzi degli anni Novanta (Claudio Giua, repubblica.it)
Cambio della guardia. Due ragazzi degli anni ’90 venerdì in campo a Wimbledon nelle semifinali degli Championships: sono Grigor Dimitrov, classe 1991, e Milos Raonic, 1990. Tenteranno di fermare la loro corsa al titolo i fratelli maggiori Novak Djokovic, 1987, che affronterà il bulgaro, e Roger Federer, 1981, opposto al canadese. Se i Fab Four fossero i quattro amici al bar di Gino Paoli, potremmo cantare con lui che ai quarti di finale di Wimbledon erano rimasti in tre (fuori Nadal), alle semifinali in due (fuori Murray) e alla finale chissà. Non metto nemmeno in conto che né lo svizzero né il serbo venerdì passino il turno: sarebbe la prima volta dal 2003 che la prima domenica di luglio nella Centre Court non c’è uno del quartetto di protagonisti del tennis d’inizio Millennio. Non sono ancora pronto a tanto.
Non sapremo mai se i quotisti londinesi che 24 ore su 24 “valorizzano” i risultati sportivi (e non solo) siano tutti al pub a festeggiare o a casa loro, depressi. Dipende da quanti scommettitori alla vigilia dei quarti di finale avevano preferito non rischiare: i maggiori bookmaker quotavano alla pari o quasi i successi di oggi di Novak Djokovic su Marin Cilic e di Andy Murray su Grigor Dimitrov. Per ogni sterlina puntata, si sarebbero riscossi una sterlina e pochi penny. La davvero inimmaginabile eventualità che il croato, numero 29 al mondo, eliminasse il numero 2 avrebbe fruttato più di sei volte la posta. La vittoria del bulgaro, ATP 13, era quotata poco meno di 4 e, poiché si scommette su tutto, un suo successo addirittura in tre set era considerato ipotesi talmente peregrina da essere dato a 12. Invece Grigor, il più atteso e finora non pervenuto campione della generazione post-Djokovic e pre-Kyrgios, il ragazzo cresciuto nella Bulgaria meridionale che fa strage dei cuori più ambiti del circuito femminile e il cui gioco tanto somiglia a quello di Federer, è riuscito con un match perfetto a raggiungere per la prima volta in carriera la semifinale di uno Slam. Ha dominato fisicamente e tatticamente Murray, incapace di reagire nonostante la rassicurante presenza in tribuna del nuovo coach Amelie Mauresmo, infliggendogli una sconfitta memorabile: 6-1 7-6 6-2 in due ore precise.
Roger Federer e Novak Djokovic hanno sì faticato ad aver ragione di Stan Wawrinka e Marin Cilic, seppure meno di quanto i rispettivi risultati lasciano intuire. Ho seguito con molta attenzione il match di Roger, che venerdì giocherà la nona semifinale a Wimbledon in carriera. Mi sono un po’ allarmato quando ha lasciato il primo set (3-6) all’amico e compagno di Davis e nel secondo set non è riuscito fino al tie break ad averne ragione. Per 23 game Stan ha espresso un tennis al livello di quello che gli ha consentito di vincere lo Slam australiano in gennaio e di eliminare proprio Federer a Monte Carlo in aprile. Rovesci a tutto braccio. Servizi piazzati e potenti. Cross di diritto imprendibili. Roger si è limitato a contenere i danni. Poi lo svizzero numero 3 al mondo (il sette volte campione a Wimbledon è numero 4) s’è afflosciato, probabilmente per un malessere, pur continuando a ribattere palla su palla. Federer è invece andato via via rinfrancandosi, fino al 3-6 7-6 6-4 6-4 arrivato dopo due ore e 32 minuti.
Sul Court no. 1 Djokovic ha sofferto per due set – il secondo (3-6) e il terzo (6-7) – la buona forma del croato allenato da Goran Ivanisevic e le suole inadatte alla terra con poche tracce di erba a ridosso della linea di fondo. Con le scarpe nuove, ha lasciato le briciole a Cilic negli altri tre set, il primo (6-1) e gli ultimi due (6-2 6-2). Anche a Parigi un mese fa aveva impiegato 3 ore e 11 minuti per chiudere il match, a riprova che Marin è per lui un osso durissimo. Il serbo resta il mio favorito degli Championships 2014 per quanto ho visto sinora in campo, ma l’andamento peristaltico della prestazione di oggi sarà studiato nei particolari dal team di Dimitrov, che al contrario appare molto costante.
Inopinatamente “giocata” e tattica la partita tra Raonic e Kyrgios, l’altra che ho seguito tutt’intera. Come tutti, dall’australiano e dal montenegrino naturalizzato canadese mi aspettavo soprattutto servizi devastanti – la carta migliore di entrambi (e non sono mancati: 39 gli ace di Milos, 15 quelli di Nick) – e game brevissimi. Invece è stato un match con frequenti scambi prolungati e qualche tocco prezioso. Per esempio Raonic ha usato con costanza lo slice di rovescio, mentre Kyrgios ha spesso tentato – con meno fortuna di ieri con Nadal – di piazzare la palla di fino sia lungolinea sia incrociandola. Più volte il canadese ha chiuso sotto rete con deliziosi stop volley frutto del lavoro certosino di Ivan Ljubicic e Riccardo Piatti.
Il ragazzo di Canberra m’è sembrato a tratti più nervoso e meno convinto di ieri di potercela fare. Come dice Rod Laver, la pressione mediatica ha effetti anche sui più coriacei, se poco abituati ad attenzioni e richieste. Il montenegrino trapiantato in Canada ha invece la maturità necessaria per scalare il ranking e entrare nei primi cinque (di fatto, da stasera è già il numero 6). Ha giocato con grande sicurezza il tie break decisivo, una sorta di bigino del match. E’ finita 6-7 6-2 6-4 7-6. Per Federer non sarà facile trovare le contromisure.