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Le mille sconfitte di Roger Federer

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Roger Federer si assicura a tracolla la bisaccia contenente acqua e carne secca. Indossa il completo da tennis del giorno prima ed una spessa pelle di cervo per proteggersi dal freddo. “Ok, sono pronto” mormora tra sè e sè alzando la testa a scrutare il cielo grigio e minaccioso.
“Vengo con te.”
È Lopez 1998.
Federer lo guarda perplesso, senza sapere cosa dire.
“È più facile se sai dove andare. E io sono già stato lì. Ti faccio da guida.”
“Va bene. Fai strada allora.” Federer sorride al compagno di viaggio.
“Prendi questo.” Lopez 1998 porge a Federer un grosso coltello di pietra. “Non si sa mai.”
I due si incamminano risalendo il percorso del fiume mentre iniziano a scendere alcuni fiocchi di neve. Dopo circa due ore di cammino Lopez 1998 si ferma, osserva il paesaggio circostante che si sta lentamente imbiancando, poi indica il bosco che sale sulle pendici della montagna alla loro sinistra.
“Di qua. Da questo punto lasciamo il fiume ed iniziamo la salita vera e propria. Spero che tu sia in forma.”
“Sono allenato. Non preoccuparti. La schiena è quello che è ma posso camminare fino a domani senza stancarmi.”
È passata un’altra ora di cammino tra i boschi quando un rumore di rami spezzati richiama la loro attenzione.
“Sssh! Stai giù!” intima Lopez 1998 acquattandosi a terra. Federer si abbassa accanto a lui mentre Lopez estrae il coltello.
“Se è uno dei mostri questo coltello servirà a ben poco.”
Il rumore di passi e rami spezzati si fa più vicino finchè Lopez 1998 individua una figura tra gli alberi.
“Là!” sibila in un sussurro.
Una creatura nera, alta più di due metri, che nei movimenti ricorda un orango si sta avvicinando incurante dei rami che spezza mentre avanza. Ha un’andatura semieretta, gli occhi gialli ed il volto vagamente felino. Federer può vedere il vapore di condensa che esce dal naso della creatura mentre respira. Il mostro si ferma a pochi metri da loro e scruta nella loro direzione.
“Si mette male.” mormora Lopez 1998.
“Ci ha visti.” sussurra Federer.
“Se fa un altro passo in questa direzione preparati a correre.”
La creatura annusa l’aria per qualche secondo, poi si volta e si allontana incurante della foresta attorno a lei.
“L’abbiamo scampata bella.” sospira Lopez 1998.
“Cos’era?”
Non lo sappiamo. Ogni ipotesi è valida. Ti ho detto che ci sono dei predatori. È un mostro ed è pericoloso.”
A Federer sfugge una risata.
“Lo trovi buffo?”
Federer scuote la testa.
“È solo che… la bestia. Mi ricorda qualcuno. Ecco.”
Lopez 1998 lo guarda con aria interrogativa.
“Sei troppo giovane. Andiamo, va. Meglio non fermarsi qui.”

Il sole sta tramontando quando Federer e Lopez 1998 arrivano all’accampamento dei seguaci di Wimbledon 2008. Un manto di neve spesso alcuni centimetri ormai copre ogni cosa e dalle montagne spira un vento gelido. Un Roger Federer maturo e composto viene incontro ai due.
“Perchè siete venuti?”
“Tu non sei Wimbledon 2008. Sei più vecchio…”
“Sono Wimbledon 2014, sono io che mando avanti l’accampamento qui. Wimbledon 2008 se ne sta tutto il tempo lassù a contemplare le montagne.” Il nuovo arrivato indica uno spuntone di roccia poco distante. Sulla sommità si distingue una figura accovacciata.
“Che fa?”
“Scruta. Osserva. Sorveglia.”
“Cosa c’è da scrutare? Boschi? Montagne?”
“Boschi, montagne, ed orde di mostri. Pensavamo ce ne fosse uno solo tra i boschi. O pochi. Invece ce ne sono dozzine sulle montagne. E col freddo che avanza stanno scendendo a valle.”
Lopez 1998 guarda Federer con gli occhi sgranati.
“Non possiamo restare qui. Dobbiamo avvisare gli altri.”
Federer poggia una mano sulla spalla di Lopez 1998 e si rivolge a Wimbledon 2014.
“Ha ragione. Dobbiamo andarcene finchè siamo in tempo. Lasciare questo accampamento, lasciare Basilea. Andare a valle.”
“Ehi! Io non ho detto che dobbiamo lasciare Basilea. Che ne sarà dei nuovi?” protesta Lopez.
Federer guarda Lopez dritto negli occhi.
“Non ce ne saranno più. Io sono l’ultimo. Mi sono ritirato. Quello che mi ha portato qui era il mio ultimo match.” Poi a Wimbledon 2014. “Tu hai saputo metterti alle spalle una sconfitta dura. Dobbiamo andare avanti, lo sai.”
“Lo so. Ma Wimbledon 2008… Non è facile. Tu ricordi com’è stata. Sono venuto qui proprio per stargli vicino. Pensavo di essere il più adatto. Gli ho detto mille volte che cosa è successo dopo nella mia… nella nostra vita, ma lui è bloccato in quel momento, su quella sconfitta e non riesce a liberarsi. Ed io mi sento in dovere di stargli vicino.”
“Lascia che gli parli.”
Wimbledon 2014 annuisce e Federer, l’ultimo Federer a giocare un match ufficiale, si avvia verso lo spuntone di roccia per parlare con il Federer che ha perso una delle partite più famose della storia.

“E sulla palla break sono venuto a rete ed ho fatto una demi voleè che neanche Stefan riusciva a crederci” davanti al fuoco, mangiando un coniglio arrostito, Wimbledon 2014 sta raccontando i suoi ricordi a Lopez 1998.
“Ricordo le demi voleè di Edberg della finale di Wimbledon 1990 contro Becker. Come giocava bene.”
“Beh, quella che ho fatto io non so se lui sarebbe stato in grado. Ok, forse sì. Mi aveva suggerito di fare chip and charge sulla risposta, un’idea molto astuta, per mettere pressione a Novak. Peccato che di break neanche l’ombra. E ci ho provato in tutti i modi a vincerla quella partita, ma ero sempre sotto. Ma dentro di me, comunque stesse andando, mi stavo divertendo. Avevo come un pensiero non a fuoco da qualche parte nel cervello che mi diceva ‘non dovresti neanche essere qui, goditela’. E me la sono goduta.”
Gli occhi di Wimbledon 2014 si fanno lucidi.
“Anche se alla fine ho perso. Dopo il falco sul match point ho fatto fatica a non mettermi a ridere. E poi in un attimo è finita. Un secondo, un rovescio in rete. Neanche il tempo di realizzare che cosa sta succedendo, assaporare il campo centrale di quella che potrebbe essere l’ultima finale importante. Vuoi essere presente a te stesso il più possibile. Ed in quel momento, con l’adrenalina che cala e la consapevolezza della sconfitta che si fa strada nella mente, eccoti catapultato in un fiume gelato. Quando mi hanno tirato a riva non riuscivo a smettere di rider…”
“Eccoli.”
Due figure, uscite dall’oscurità sono davanti al falò. Lopez 1998 ha gli occhi fissati su Wimbledon 2008, il quale ha lo sguardo grave, serio. Nonostante sia più giovane di Wimbledon 2014 ha l’aria più consumata. Wimbledon 2008 si avvicina al suo collega, l’altro sconfitto nella finale del torneo più importante del mondo.
“Avvisa gli altri. Domattina ce ne andiamo.”

La mattina seguente un gruppo di una trentina di Roger Federer è pronto per partire. La neve scende ormai copiosamente da diverse ore. Tutti attendono Wimbledon 2008 che per un ultima volta sta scrutando l’orizzonte da una roccia poco distante. Quando finalmente Wimbledon 2008 si unisce al gruppo ha un’espressione contrita e preoccupata. Senza una parola prende la bisaccia e si incammina. Dietro di lui ci sono Wimbledon 2014 e l’ultimo Roger Federer. Dietro di loro tutti gli altri. Dopo un paio di chilometri di cammino in silenzio Wimbledon 2008 rallenta il passo e si lascia affiancare dagli altri due.
“Non va bene.” mormora.
“Cosa?” Domanda Wimbledon 2014.
“Le bestie. Il branco. Non c’erano. Non li ho visti. Si muovono veloci. Potrebbero essere già tra i boschi.”
“Che facciamo?”
“Prendi Lopez 1998 ed un paio di ragazzini e va avanti. Raggiungi l’accampamento ed avvisa gli altri. Che si preparino a partire. Io devo parlare con Karlovic 2008 e Blake 2008.”
“Va bene. Tu sii prudente.”
Wimbledon 2014 si allontana.
La marcia nel bosco innevato procede per diverse ore ancora. È pomeriggio inoltrato quando Wimbledon 2008 si avvicina all’ultimo Roger Federer.
“Sono vicini. Sento i fruscii. Percepisco il loro odore. Non arriveremo a Basilea in tempo.”
“Non possiamo fermarli?”
“No. Sono troppi, troppo forti e troppo veloci. Ma possiamo rallentarli. Io ed una dozzina di volontari. Abbiamo già deciso. Tu prendi gli altri, portali in salvo.”
“Cosa stai dicendo?”
“Hai capito benissimo.” Wimbledon 2008 si rivolge agli altri Federer che gli stanno a fianco. “Karlovic! Tu e Blake andate in avanscoperta. Voglio sapere quanto ci resta prima che ci siano addosso. Simon e Simon, radunate coltelli, mazze, pietre e qualsiasi altra cosa possa fungere da arma. Davydenko e Soderling, preparate due gruppi di difesa uno lì ed uno lì.”
Una dozzina di Roger Federer si raduna attorno Wimbledon 2008 ascoltando le istruzioni e preparando la difesa.
L’ultimo Federer non si muove. Gli altri nel gruppo, smarriti e sconcertati, guardano Wimbledon 2008 senza sapere che fare.
“Che fai ancora qui?” domanda Wimbledon 2008, “Andate!”
“Non ce ne andiamo senza di voi.”
Wimbledon 2008 si volta di scatto verso gli alberi, come se avesse sentito un rumore improvviso. Poi si calma e si avvicina all’ultimo Roger Federer.
“Wimbledon 2014, lo invidio. Lui ha vissuto quella parte di vita che a me manca. Lui è risolto. Io no. Non riesco a perdonare. Non riesco ad accettare. Non riesco a lasciare andare. Ma va bene così. Io sono questo e non posso essere altro, ma tu no. E loro no.” Indica i ragazzini. “E Wimbledon 2014 ha ragione, lo so. Sai cosa mi ha detto?”
“Cosa ha detto?”
“A volte è una sconfitta a diventare il fondamento della grandezza.”
In quel momento arriva Blake 2008, trafelato, col fiato corto.
Stanno arrivando, ne ho contati una dozzina, si muovono veloci. Saranno a meno di cinquecento metri in quella direzione.”
Wimbledon 2008 si volta verso l’ultimo Roger Federer.
“La mia grandezza. Va. Portali in salvo.”
Federer si volta verso gli altri, fa cenno di proseguire.
“Via via! Veloci! Non vi voltate, non vi fermate. Andiamo!”
Il gruppo si mette in moto mentre in lontananza si odono fruscii e rami spezzati.
Federer guarda il suo sosia per un momento prima di allontanarsi dietro agli altri.
“Aspetta.” lo ferma Wimbledon 2008.
Federer si volta nuovamente.
“Chi è stato?” domanda Wimbledon 2008. “Chi ti ha battuto?”
Federer si avvicina al suo gemello, gli poggia una mano sulla spalla e sussurra qualcosa all’orecchio. Il rumore delle bestie che si avvicinano si fa sempre più forte. Wimbledon 2008 sorride all’ultimo Roger Federer.
“Lo sapevo.” dice.
Federer lascia andare il compagno, si volta e si lancia di corsa in coda al gruppo in fuga. Dietro di lui si odono ruggiti, grida.

FINE

Disclaimer: l’idea alla base del raconto è ovviamente ispirata dal romanzo ‘Il fiume della vita’ (‘To your scattered bodies go’, 1971) di Philip Josè Farmer, lettura imprescindibile per qualsiasi appassionato di fantascienza.

Disclaimer n.2: l’idea per questo racconto risale a settimane fa. Se Federer avesse perso al primo turno il racconto sarebbe stato diverso ma sarebbe comunque qui, oggi, con questo titolo. Il fatto che invece lo svizzero sia arrivato in finale ed abbia perso come ha perso ha creato la circostanza per cui questo racconto si è aggiunto ad una già copiosa schiera di articoli su Federer.

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