Vaidisova, Kvitova, Stephens e la passione per il tennis

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Vaidisova, Kvitova, Stephens e la passione per il tennis

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TENNIS AL FEMMINILE  –  Giocare a tennis professionalmente ad alti livelli è considerato un privilegio: successo, vittorie, ricchezza. Le vicende di Nicole Vaidisova, Petra Kvitova e Sloane Stephens dimostrano però che momenti di crisi o di rifiuto per il gioco possono ugualmente accadere durante la carriera.

Dopo Wimbledon il grande tennis si è fermato, ma ugualmente non sono mancate alcune notizie interessanti. Tre di queste mi hanno colpito perché, pur sembrando a prima vista del tutto autonome e separate, secondo me hanno un sottile ma significativo legame.

La prima notizia riguarda Nicole Vaidisova.
Da questo breve filmato apprendiamo che Vaidisova sembra sia tornata ad allenarsi. Dopo un passato di interventi chirurgici e riabilitazioni fallite, dichiara: “These last couple weeks I’m finally able to serve with less pain then I have in over 3 years, it makes me hopeful and happy to see progress after struggling the last couple years with repeated surgeries, rehabs and setbacks. It’s one step at a time but finally getting a step closer.
Il fatto che dica di servire con “meno dolore” e non senza dolore, mi rende pessimista, ma naturalmente le auguro di smentirmi.

Forse a chi segue il tennis da poco tempo il nome Vaidisova non dice molto. Ma Nicole non è stata una giocatrice qualsiasi, e la sua storia merita di essere brevemente ripercorsa perché è davvero eccezionale. Vaidisova è del 1989: quindi è nata nello stesso anno di Radwanska, Azarenka, Lisicki. Rispetto a loro, però, è stata molto più precoce. Ha vinto il primo torneo del circuito WTA a quindici anni, e a diciassette era già top ten. Sappiamo che nel tennis contemporaneo sfondare da giovanissime è diventato molto più difficile, tanto che negli ultimi dieci anni forse solo Sharapova (come lei proveniente dalla Academy di Bollettieri) era stata capace di affacciarsi ai vertici altrettanto rapidamente. Quando le sue coetanee ancora disputavano il torneo junior, Vaidisova raggiungeva quarti e semifinali Slam tra le adulte, sconfiggendo giocatrici come Venus e Mauresmo (allora numero uno del mondo).
Alle conquiste sportive si affiancavano quelle economiche: rappresentata dalla IMG, e messa sotto contratto da diverse grandi aziende tra cui la Yonex. Cito la Yonex perché forse a qualcuno sarà sfuggita la politica commerciale che attua. Ma se faccio qualche nome di giocatrici che utilizzano (o hanno utilizzato) la racchetta in questione, credo si possa capire che per suscitare l’interesse dei produttori giapponesi non basta solo il valore tecnico, ma occorre anche un potenziale da testimonial “glamour”: Sharapova, Hantuchova, Ivanovic, Kirilenko, Wozniacki, Lisicki…

Questo significa che Vaidisova era considerata una giocatrice in grado di diventare di prima fascia non solo per la sua bravura; aveva quindi prospettive di grandi successi e di guadagni ancora maggiori. Ma invece, così come rapidamente aveva scalato le classifiche (2004-2007), rapidamente è arrivato il declino. Numero 7 nel maggio 2007; numero 187 a fine 2009.
Fidanzata nel 2007 con Radek Stepanek, nel 2010 la sua carriera si conclude ufficialmente con l’annuncio del ritiro e il matrimonio. Fine di una giocatrice professionista ad appena vent’anni; la spiegazione data: “mancanza di motivazioni”.

Come dicevo, la storia di Vaidisova è eccezionale; ma non tanto per la trama, quanto per i tempi, perché tutto in lei è rapidissimo: straordinariamente veloce nell’affermarsi e altrettanto nel ritirarsi.
Senza arrivare agli estremi di Nicole, a molte giocatrici è però accaduto di arrivare presto ai piani alti della classifica e poi faticare a mantenerli. Accade che il periodo successivo al passaggio da junior al circuito maggiore diventi sorprendentemente favorevole: vittorie ottenute di slancio, senza troppe preoccupazioni mentali. Grande voglia di lavorare: l’entusiasmo ottenuto grazie ai primi successi alimenta l’applicazione negli allenamenti, stimolando la conquista di ulteriori traguardi. Un circolo virtuoso.

E’ quello che è accaduto, ad esempio, a Ivanovic o Wozniacki. Ma questo schema si può applicare anche a chi ha raggiunto posizioni di minor prestigio; magari numero 20 o 30 del mondo: picco ottenuto da giovane, e poi crisi.
Arrivano alcune sconfitte impreviste, le avversarie che prendono le misure, a volte qualche infortunio; o i dissapori con l’allenatore, e la fatica di vivere la routine del circuito: ben ricompensata, ma comunque non facile da affrontare, sempre lontane da casa viaggiando insieme a colleghe che hanno come obiettivo quello di sconfiggerti.
Il circolo virtuoso si interrompe e comincia la fase opposta. C’è chi riesce a contenere il calo, e si assesta comunque su livelli alti; c’è chi perde più posizioni e mantiene una classifica accettabile, ma non più di vertice. E c’è chi crolla; Vaidisova era crollata.

Kvitova no, ma anche a lei era accaduto qualcosa di simile: dopo un 2011 straordinario (vittoria a Wimbledon, Masters, altri tornei e primato nel ranking sfiorato) si era come ripiegata su se stessa e i due anni successivi erano stati buoni ma non paragonabili a quanto ottenuto da ventunenne.
E qui arriviamo alla seconda notizia. Che secondo me la collega a Vaidisova, anche se non riguarda Stepanek (con cui Petra ha avuto un breve legame nei mesi passati). Come sempre accade per la vincitrice di Wimbledon, Kvitova ha rilasciato molte interviste, e in alcune ha rivelato un interessante retroscena.
Normalmente prima delle partite non è particolarmente nervosa, ma lo era però prima del match di terzo turno contro Venus; più che comprensibile, visto l’importanza dell’avversaria. E fin qui niente di sorprendente. La cosa interessante che però ha detto Kvitova, è che dopo quel successo la sua tensione non è calata, ma aumentata. Ha raccontato che nella seconda settimana del torneo ha fatto moltissima fatica a dormire: riusciva a prendere sonno solo più tardi del solito, e alle 5 di mattina era già sveglia, e si ritrovava a pensare alle partite.

Devo dire che questo ritratto (o meglio autoritratto, visto che lo ha dichiarato lei stessa) di una giocatrice quasi ossessionata dal tennis mi ha sorpreso. Una Petra “spiritata” che non riesce a pensare ad altro che al torneo, tanto da non essere quasi in grado di staccare, nemmeno di notte: non assomiglia alla giocatrice piuttosto tranquilla e misurata che abbiamo imparato a conoscere.
Eppure è stata proprio questa Kvitova, che ha dormito molto meno di quello che servirebbe ad un’atleta per essere al meglio, la giocatrice capace di esprimere un tennis di livello altissimo, vincendo tutti i match della seconda settimana senza concedere set. Chissà, forse sapeva di aver lavorato meglio degli anni passati in fase di preparazione e non si sarebbe perdonata (più o meno consapevolmente) un’altra occasione persa dopo quella del 2013, quando fu sconfitta da Flipkens.

Le storie di Vaidisova e Kvitova mi fanno pensare una volta di più che per eccellere in uno sport così competitivo e mentalmente tanto esigente come il tennis occorre un fuoco interiore che non sempre, e non tutte, riescono a tenere acceso. Voglio usare una parola un po’ superata e “ottocentesca”: forse occorre davvero la passione. Senza la passione diventa difficile stare ai vertici per lungo tempo.

Non basta il denaro, non bastano i primi successi, non basta la popolarità Se non si trovano dentro di sé motivazioni straordinarie, ci sarà qualcun’altra capace di fare meglio.
Riuscirà Kvitova a mantenersi sui livelli di Wimbledon con continuità? Da quanto ha raccontato, per raggiungerli ha chiesto a se stessa qualcosa di eccezionale, fisiologicamente impossibile da reggere per più di qualche giorno. Se per giocare così bene Petra ha bisogno di una tale intensità e applicazione dubito che la si possa rivedere così molte volte in futuro. Ma intanto ha dimostrato che opporsi al declino di una carriera è possibile. C’è chi riesce a riaccendere il fuoco: Kvitova ce l’ha fatta, Vaidisova ci prova.

Ed ecco la terza notizia, o meglio coppia di notizie.

Sloane Stephens ha “divorziato” da Paul Annacone (prima parte di notizia) e ha iniziato una collaborazione con Thomas Högstedt (seconda parte di notizia).
Credo che ormai abbiate capito cosa voglio dire. Temo che per la giovane Stephens, dopo i grandi progressi, forse sia essere arrivata la fase in cui il tennis professionistico può cominciare a diventare indigesto.

Non voglio entrare nel merito del divorzio da Annacone, addossando responsabilità o colpe ad una delle parti, perché da fuori è sempre molto difficile sapere le autentiche ragioni per cui il legame tra coach e giocatore si interrompe.
In ogni caso la mia impressione è che Sloane stia vivendo il momento in cui si conosce il rovescio della medaglia del circuito WTA. La parte sgradevole e difficile da sopportare. Il circolo vizioso dopo quello virtuoso. L’ho scritto più volte e non ho cambiato idea: per me sul piano fisico-tecnico Stephens è la più interessante giocatrice tra quelle che hanno poco più di vent’anni. Lo dico adesso che è in difficoltà e so quindi che mi prenderò molte critiche: secondo me i suoi picchi di gioco sono superiori a quelli di Halep, Bouchard e Muguruza.
Ha un fisico reattivo ed elastico, e una completezza tecnica che altre non hanno. Colpi da fondo e, a differenza di quasi tutte le coetanee, anche di volo. Ha un ottimo servizio e nel dritto un’arma con cui fare la differenza. Sa giocare in attacco come in difesa.
Ma stanno emergendo tutte le difficoltà che, secondo me, derivano da una applicazione al tennis che mi pare inferiore a quella che stanno mettendo le giocatrici che ho appena citato. A sprazzi Stephens continua a far vedere grandi cose, ma la consistenza non c’è.

Ecco un esempio recente: non si tratta tanto di vincere uno scambio spettacolare; il fatto è che molte giocatrici non hanno proprio nel loro repertorio i colpi che qui utilizza Sloane. Il mio rammarico deriva dal timore che diventi un’altra promessa che non ha dentro di sé la forza di volontà necessaria per esprimere completamente il suo talento.
Mi lascia perplesso l’atteggiamento con cui prende le sconfitte; a volte sembra che le viva come una liberazione da una attività che le pesa: nella conferenza stampa dopo l’eliminazione al primo turno di WImbledon (che pareva bruciante per come è avvenuta) ha dichiarato che finalmente poteva prendersi una bella vacanza. E che l’aver interrotto la striscia di risultati positivi negli Slam era più un problema per i giornalisti che per lei. In questi giorni ha avuto la possibilità di incontrarsi con Michelle Obama: la sconfitta non le ha per il momento fatto perdere i privilegi sociali che si è conquistata con i risultati del passato. Forse a lei basta quanto sta avendo dal tennis, e non ha motivazioni sufficienti per aumentare l’impegno, visto che le gratificazioni della popolarità sembrano poter arrivare lo stesso.

Cosa aspettarsi per il futuro? Declino oppure ritorno immediato ad alti livelli?
Al momento temo che la fase di crisi potrebbe diventare un passaggio obbligato della sua carriera. Dovesse accadere, spero che possa essere una crisi reversibile e che sappia ritrovare la necessaria voglia di applicarsi.
E visto che il nuovo allenatore di Stephens è Thomas Högstedt, l’ex coach di Sharapova, c’è da augurarsi che sappia trasmettere a Sloane anche solo una piccola parte della speciale forza di carattere di Maria. Sul piano del “fuoco interiore” Sharapova rimane un esempio straordinario, e per come ha vinto il Roland Garros anche quest’anno, ha mostrato a tutti a quali successi può portare la passione e la costante voglia di dare il massimo su un campo da tennis.

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