US Open, lo Slam dove il tennis si è fatto commerciale

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US Open, lo Slam dove il tennis si è fatto commerciale

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TENNIS US OPEN – Da Newport a Forest Hills, poi a Flushing Meadows passando prima per Philadelphia: il tennis americano come parte della società in evoluzione nel XX secolo.

Guarda la preview degli US Open di Ubaldo Scanagatta.

Qualcuno di voi ricorderà il Bruce Willis che attraversa New York insanguinato per 130 minuti di fila a caccia di un terrorista che lo tiene impegnato con indovinelli e giochi di logica, di cui uno era “quanto fa 21 su 42?”. La risposta si riferiva a chi fosse il 21° Presidente degli Stati Uniti sugli allora 42 e la risposta datagli da un camionista fu Chester Arthur. Quest’ultimo, appartenente ad un partito repubblicano totalmente differente a quello odierno, entrò in carica nel 1881, anno della nascita dello United States National Men’s Singles Championship, il primo campionato americano di tennis che si disputava al Newport Casino di Rhode Island. Questo era riservato soltanto agli uomini, mentre le donne iniziarono a disputare un torneo analogo nel 1887 presso il Philadelphia Cricket Club, in Pennsylvania. Gli Stati Uniti escono dagli anni turbolenti della seconda metà dell’800, quando si assistette ad una guerra civile che sacrificò 600 mila persone con lo scopo di mantenere l’unità del paese, che aprì la discussione sulla condizione schiavista, dove prevalse la politica moderata di Lincoln, ma la questione determinò un problema raziale, politico e sociale ancora oggi irrisolto.
La posizione più debole è stata quella di cercare il cambiamento” scriveva il New York Times il 4 febbraio 1911 quando, come ogni anno, si riproponeva una battaglia estenuante all’interno della United States Lawn Tennis Association per il trasferimento del torneo in un’altra località diversa da Rhode Island.
Il 23 gennaio 1915 il New York Times pubblica un articolo in cui lo scrittore riprende le parole dell’allora Vice Presidente della USNLTA (antenata dell’attuale USTA) A.L. Hoskins:

Newport deve poter ospitare l’appuntamento almeno per un altro anno. Dobbiamo così tanto alla città per l’eccezionale successo che il torneo ha avuto in questi trentaquattro anni. Probabilmente New York lo desidera per commercializzare il tennis così come fa per tutti gli altri sport. Manca di servizi, i suoi club sono inadeguati e il trasferimento dell’evento sarebbe una farsa. […] Newport ha sempre reso l’evento un successo. E’ un luogo dove la società si riunisce ed è ben attrezzato per fare da palcoscenico all’evento. Abbiamo un obbligo nei confronti di Newport e contrasteremo ogni tendenza a spostarsi a New York

Newport perde il torneo di tennis – 129 voti a 119 per spostarlo al West Side Club, Forest Hills” era il titolo di un pezzo sul New York Times del 6 Febbraio 1915.

Che l’ormai caratteristica attrazione verso il tennis dilettantistico mondiale fosse l’affare più importante della convention annuale(dell’USNLTA) era evidente dalla presenza numerosa dei delegati e dall’assenza degli usuali voti di delega”.

I discorsi di molti membri dell’associazione tesi ad appoggiare il ruolo preminente di Newport nel panorama tennistico americano non poterono nulla contro i più che immaginavano un futuro in cui il tennis potesse diventare un’attrazione per migliaia di persone. Uno sport nato come passatempo di famiglie facoltose inizia ad evolversi rapidamente in termini di pubblico e di giocatori in campo: prende avvio una sorta di democratizzazione del tennis, al vertice del quale possono arrivare anche personalità meno abbienti, meglio se con un mecenate alle spalle. Il processo ha un’accelerazione nel dopoguerra, quando i giocatori non passati al circuito professionista erano ormai pochi e l’americano Jack Kramer, professionista dall’ottobre del 1947, non solo rende moderno il gioco in senso stretto, non più colpendo la palla, ma spingendola sempre più vicina alla linea di fondo campo, ma trasforma il tennis in uno spettacolo: promosse l’idea per la creazione di una serie di tornei che culminassero in Master Championship, la possibilità di avere un prize money per il vincitore di un appuntamento ed introdusse l’attività sindacale mediante l’Associazione Giocatori, di cui l’attuale ATP è l’erede.
La commercializzazione del tennis tanto temuta negli anni ’20 si stava realizzando quarant’anni dopo in un’America in cui il consumo economico si trasforma in consumismo a livello sociale, le tecniche pubblicitarie non sono più soltanto informative ma persuasive, per instillare nell’individuo il bisogno di qualcosa anche se spesso non necessario o prioritario. Un fenomeno di questa portata fa nascere nuove professionalità, nuovi settori di sviluppo in aree della società prima impensabili come lo sport. Ovviamente una tale evoluzione dei modelli di pensiero e comportamento necessitano di decine di anni per portarsi a compimento, ma in questo gli Stati Uniti sono stati una locomotiva insostituibile ed è grazie a personalità come Kramer che si è realizzato l’impulso al cambiamento.

Wimbledon vuol trasmettere un’idea di tennis d’elite nel rigido rispetto della tradizione, il Roland Garros tiene alta la tradizione europea del “mattone tritato” rosso, gli US Open sono il torneo dell’innovazione (il primo ad introdurre hawk eye nell’edizione del 2007), del marketing, delle statistiche, dei colori sgargianti blu e verde del DecoTurf e delle altrettanto variopinte tenute dei tennisti, di una minore formalità del protocollo, che spazia dai lanci delle palline tra i raccattapalle simili al baseball, al rumoreggiare del pubblico sugli spalti prima e durante il gioco. D’altra parte, zittire nello stesso momento le 23.500 persone che può ospitare l’Arthur Ashe, il più grande stadio del tennis al mondo, non è impresa da poco, ma come Rino Tommasi insegna, questo è il prezzo che il tennis deve pagare per la sua popolarità.

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