Personaggi
Aleksandra Krunic, una serba atipica

TENNIS US OPEN – Aleksandra Krunic ha eliminato una delle favorite del torneo, Petra Kvitova, conquistando il più importante risultato della carriera finora. Storia di una serba che ha poco e nulla da spartire con le connazionali Ivanovic e Jankovic
Dalle qualificazioni agli ottavi di finale degli US Open: non solo Mirjana Lucic-Baroni, ma anche Aleksandra Krunic. La giovane tennista serba (classe 1993) nella giornata di ieri ha sconfitto la testa di serie n°3 nonché principale candidata al ruolo di antagonista di Serena Williams, Petra Kvitova, con il punteggio di due set a zero ( 6-4 6-4).
Verrebbe da gridare all’ennesimo miracolo del tennis serbo, capace di sfornare negli ultimi anni una trafila di talenti da un territorio disastrato e non attrezzato, che ha il suo unico faro nella capitale di Belgrado. Djokovic in primis, ma anche Ivanovic e Jankovic, che da anni sono al vertice del tennis mondiale, senza citare alcune seconde linee davvero interessanti. Eppure, Aleksandra della tipica tennista serba conserva ben poco. In primis, non è nata, come quasi tutti, in Serbia, ma a Mosca, perché i genitori vi si erano trasferiti al momento in cui il padre doveva terminare gli studi universitari. Non solo è nata in Russia, ma vi ci è anche cresciuta. I genitori infatti tutt’ora lavorano in una grande compagnia elettrica della capitale ed hanno lì la loro residenza, mentre sua sorella è appena entrata in una prestigiosa scuola di British Design della città. E così anche Aleks, che ha iniziato a giocare a tennis fin dalla tenera età per poi frequentare a 7 anni i corsi dello Spartak Tennis Club, un circolo tennistico molto famoso in Russia, anche solo per aver avuto tra i suoi iscritti tenniste del calibro di Safina, Kournikova, Dementieva e Myskina.
Una volta finito il liceo, a 17 anni, ha poi deciso di allontanarsi dalla gelida città del Cremlino per andarsi ad allenare altrove. Non era ancora la volta di tornare nella terra d’origine. Bensì scelse la Slovacchia come meta di formazione, dove fu allenata da Mojmir Mihal, che tra le altre è stato il coach di Rybarikova, fino all’anno scorso, quando poi decise finalmente di tornare in Serbia. Ora risiede regolarmente in Serbia (<<Tutto il mio team è serbo, mi è sembrata una buona idea spostare la mia base lì!>>), lontano dai genitori ‘confinati’ a Mosca, ma vicino ai nonni, che Belgrado non l’hanno mai lasciata.
E così Aleks si è destreggiata tra Russia, Slovacchia e Serbia, non dimenticando di impararne le lingue, anche perché il poliglottismo è assai comune tra le etnie di origine slava.
Ma non è di certo solo per questo che può essere considerata ‘una serba atipica’. Un dato che risalta all’occhio riguarda il suo fisico: è una delle poche tenniste ad alti livelli della sua nazione che non arriva al metro e settanta. Per la precisione è alta 1,67cm, mentre Ivanovic (1,84), Jankovic(1,77), Jovanoski(1,77), Jaksic(1,80), Dolonc(1,70), la superano tutte. E di qui la conseguenza che di più interessa: il suo tennis non sarà mai come quello delle sue colleghe! Non avendo le loro lunghe leve, il gioco di Aleksandra non potrà (e non è, di fatto) mai essere un gioco di potenza da classica baseliner. E’ così che, guardando un suo match, si capisce immediatamente che non fa dei colpi da fondo la sua arma vincente. Ma facendo di necessità virtù, la Krunic è riuscita ad attrezzarsi puntando su altri fattori: l’agilità e l’intelligenza. Raramente la vedrai sferrare il servizio ai 190km/h, anche se ha una discreta potenza ed una buona variazione, o un dritto fulminante; ma in compenso non è raro che sfrecci in campo per recuperare palle impossibili per un’atleta normale. Davvero la rapidità di questa piccola tennista è una dote che non ritroverete facilmente nel circuito. E non è altrettanto strano vederla esibirsi in spaccate, simbolo emblematico della sua elasticità, che farebbe invidia ad una mestierante da circo. Ma non potendo affidarsi solo alla sua forma fisica, Aleksandra punta anche sul fattore tattico-tecnico. Cambi di ritmo, variazioni, topspin e traiettorie variabili in lunghezza ed altezza, oltre che una discreta manualità a rete: queste le armi con le quali ha mandato in confusione prima Madison Keys, poi Petra Kvitova. Un’altra piccola sottigliezza che la differenzia enormemente da tutte le altre serbe in circolazione: se le chiedi quale superficie preferisce, lei risponderà candidamente <<La terra rossa!”>>; una serba terraiola (una serbaiola) è merce rara, ma quale miglior terreno per livellare il divario di potenza con le avversarie?
Difficilmente potrà dare sempre fastidio alle migliori cannoniere del circuito Wta, però è sicuramente confortante sapere che esiste un altro genere di tennis oltre al solito modello femminile, e che questo ottiene risultati! Aleksandra Krunic si è messa in luce in Fed Cup, vincendo tra l’altro il doppio decisivo della sfida tra Serbia e Slovacchia nel 2011, in coppia con Jelena Jankovic, sua amica e modello, contro Hantuchova e Rybarikova; allora mancava Bojana Jovanoski, ma Aleksandra dimostrò subito di poter dare il suo contributo. Quest’anno era alla prima partecipazione in un torneo del Grande Slam (la seconda in carriera), avendo fallito sempre le qualificazioni negli altri 3, e magicamente si ritrova alla seconda settimana, in ottavi di finale, senza l’obbligo di porsi limiti, giocando un tennis diverso, diversamente-serbo.
Flash
Hantuchova: “Alcaraz di un altro pianeta, attacca come Federer e difende come Nadal”. Cervara: “È il Tyson del tennis”
Tra l’urgenza di paragoni sempre più arditi e statistiche strambe, la sintesi di Roger e Rafa, al secolo Carlos Alcaraz, non ha la risposta di Djokovic, di più: “Lui è la risposta”. Ma a quale domanda?

Il problema fondamentale è rappresentato da quei tre – Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – e da quell’entità divoratrice di tutto a cui hanno dato vita nota come Big 3. Avercene di problemi del genere, si potrebbe obiettare, solo limitandosi a pensare a quanto hanno fatto per il tennis, aumentandone straordinariamente la popolarità.
Anche non considerando le generazioni di tennisti che prima tecnicamente, poi anche mentalmente, si sono ritrovate quasi senza possibilità di iscrivere il proprio nome sui trofei più importanti (quelli Slam, il cui peso è ancor più aumentato soprattutto nella considerazione dei tifosi proprio per “colpa” loro), pare che ormai nessuno possa tentare di emergere senza che “sì, ma alla sua età Roger serviva meglio, Nole aveva già vinto uno Slam mangiando pizze e Rafa non ne parliamo”.
Insomma, il problema è che quei tre non solo ti senti obbligato a citarli in ogni articolo (arrendendoti agli anacoluti), ma li devi battere sul campo, nei record di precocità, superare in classifica e spesso neanche questo basta perché l’avventato e inopportuno sfidante avrà senza dubbio avuto dalla sua una quantità industriale di circostanze favorevoli. E, come se non bastasse la pressione derivante dall’essere definito il nuovo Nadal/Djokovic/Federer a causa della disperata ricerca di un nuovo campione, allo stesso tempo lo sventurato in questione si sentirà dire con altrettanta veemenza che non vale metà della peggior versione di uno di quei tre. L’importante è che si facciano paragoni, poi tutto è permesso.
Tuttavia, c’è anche chi impara dai propri errori: in Spagna dicevano Munar el nuevo Rafa, dopo di che hanno imparato e quindi, quando Carlos Alcaraz (che entri, finalmente) aveva iniziato a farsi notare, c’era chi lo descriveva come il nuovo Roger. Così va molto meglio, bravi. Arriva però Daniela Hantuchova al alzare l’asticella. Al quotidiano francese l’Équipe, Daniela ha detto che “Carlos viene da un altro pianeta. Ha tutto. Mi sembra che abbia l’aggressività di Roger e la difesa di Rafa. Con la sua velocità e il modo di muoversi, riesce a giocare colpi che non credevamo possibili”.
L’ormai ex Carlitos (nel senso che è cresciuto, che adesso è Carlos o Charlie), avendo ancora un mese e mezzo da passare come teenager, non può evitare che, oltre ai paragoni, gli si cuciano addosso statistiche di precocità anche bizzarre, per esempio quella che lo nomina come più giovane realizzatore della tripletta IW, Miami, Flushing Meadows, impresa peraltro compiuta prima di lui dai soli Sampras, Federer, Djokovic e Agassi. Fantastico. Non è chiarissimo l’accostamento del Double allo US Open, però bello.
Di poco bizzarro c’è la sua vittoria a Indian Wells, dove colui che lo ha messo più in difficoltà è stato Jannik Sinner. Anche Griekspoor, restando aggrappato al proprio servizio, lo aveva trascinato al tie-break nel primo set, ma l’azzurro è riuscito a recuperare il break piazzando un parziale di 11 punti consecutivi e sembrava in grado di effettuare il sorpasso definitivo, anche perché il classe 2003 aveva perso confidenza con i colpi. Con la grafica in sovrimpressione che ratificava l’evidente differenza tra i dritti dei due contendenti (valutazione di 9,1 contro 6,4 a favore di Sinner), Alcaraz ha affrontato il set point contro dopo aver sbagliato proprio due dritti e pure comodi, annullandolo grazie alla smorzata di… dritto. Anche altri avrebbero forse provato il drop shot, probabilmente più alla ricerca di un timoroso asilo conseguente a quegli errori, ma non è il caso di Carlos che padroneggia quella soluzione, fa parte del suo vasto repertorio. Pur rifuggendo (invero senza difficoltà) la tentazione di suggerire chi alla sua età già possedeva un ampio baglio tecnico, resta il fatto che lo spagnolo è riuscito a vincere anche quel primo parziale e, alla fine, il suo percorso nel deserto è rimasto immacolato. Chi era stato l’ultimo a trionafre senza cedere set? Federer nel 2017, anche approfittando di un walkover. Per trovare chi aveva centrato quel risultato disputando almeno sei match, bisogna tornare indietro fino a Nadal nel 2007.
C’è per fortuna chi rimane fuori dal coro. È Gilles Cervara, l’allenatore di Daniil Medvedev, che lascia da parte i mostri sacri, ma solo quelli del nostro sport. “Alcaraz è il Tyson del tennis” ha… tracimato all’Équipe. “In alcuni momenti è capace di tirare dei ‘diretti’ con la racchetta. Ci sono stati colpi che hanno lasciato Daniil a dieci metri dalla palla, sferrati con potenza e velocità folli”
Difficile dire quanto ci abbia messo Medvedev del suo, ma nelle statistiche relative alla finale appare un numero enorme a dispetto di ciò che rappresenta: 0, come in “zero ace”. Pare che l’insieme “servizi neanche sfiorati dall’avversario” di Daniil non rimanesse privo di elementi dalla sfida contro Gilles Simon a Marsiglia nel febbraio 2020. Dopo una decina di giorni, (non solo) il Tour si sarebbe fermato – così, per dire. Di sicuro c’è che, in ventitré confronti, mai il Big 3 è riuscito in tale impresa contro Daniil, che ha chiuso così il contatore con un turno di anticipo, sfoderando contro Tiafoe l’ace numero 3.299 della carriera.
A proposito di contatori, durante la trasferta californiana Alcaraz ha messo a segno e superato la vittoria ATP numero 100, con un saldo positivo su tutte le superfici: 47-12 sulla terra battuta, 53-18 sul duro e – mettiamoci anche quella nonostante l’abbia appena respirata – 4-2 sull’erba. Con meno di due stagioni complete alle spalle sul Tour, vanta un bilancio indoor di 16-6 (mai aveva giocato al coperto a livello Challenger e ITF), mentre all’aperto si bea di un eloquente 88-26: se tutti sanno giocare bene a tennis in condizioni “asettiche”, Carlos dimostra con i numeri (oltre che con la finale del BNP Paribas Open) di saper gestire meglio di diversi colleghi il vento e le altre condizioni che si presentano nella maggior parte degli eventi del circuito. Ci affidiamo alla versione spagnola del sito atptour.com per aggiungere che, fra i tennisti in attività con almeno 20 incontri giocati, oltre al nostro protagonista solo in tre hanno un bilancio positivo contro avversari top 10. Ricorrendo a una finta preterizione, diciamo che non c’è bisogno di fare nomi: Djokovic, Nadal, Murray.
Carlos non ha (tecnicamente ancora) vinto il Sunshine Double, ma il trofeo di Indian Wells e quello di Miami sono già nel suo palmares. E – notizia inaspettata? – è il primo a vincerli entrambi da teenager. Per quanto riguarda specificatamente il titolo appena conquistato, è il secondo più giovane dell’albo d’oro, preceduto da Boris Becker. E, proprio quando si faceva ingenua strada l’illusione di poter completare un paragrafo senza essere costretti a evocare il mostro tricefalo, Alcaraz è il secondo teenager a vincere più di due Masters 1000. Il primo è stato…
… Rafa Nadal.
Non possiamo però non tornare a Daniela Hantuchova, che può continuare a lanciarsi nelle più spericolate iperboli, tanto ci aveva già convinti al “ciao”. L’ex numero 5 del mondo ha pochi dubbi su Carlos: “Porta il tennis a un altro livello, il che è pazzesco da vedere. Poco tempo fa, tutti di domandavano cosa sarebbe successo in futuro dopo Federer, Nadal e Djokovic. Credo che lui sia la risposta. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.
ATP
Fratelli & Sorelle del tennis: non solo Berrettini. Da McEnroe a Williams, passando per Safin e… Monfils
Mentre ad Acapulco Matteo avanza e Jacopo si è fatto valere, riviviamo le parentele di maggior successo. Tra fratelli ritirati o troppo indietro in classifica come i Djokovic o gli Tsitsipas, in ATP ora comanda la famiglia Cerundolo, mentre in WTA…

Ci aveva provato quattro volte, ma era sempre stato eliminato al primo turno del tabellone cadetto. Ad Acapulco, finalmente, Jacopo Berrettini ha superato le qualificazioni battendo i ben più quotati Blancaneaux (n. 155) e Darderi (n. 184). A quel punto, la wild card ricevuta era già ampiamente onorata, ma Jacopo non si è certo accontentato e ha battuto anche Oscar Otte, complice un ginocchio tedesco, mettendo così a segno la sua prima vittoria ne Tour al primo tentativo. In singolare, perché in doppio con il fratello Matteo (qui subito battuti), aveva già preso parte all’ATP di Cagliari nel 2021, dove hanno raggiunto le semifinali, e all’ATP di Firenze l’anno scorso con sconfitta all’esordio. Il best ranking di Jacopo, n. 388, risale all’estate 2019, mentre ora la classifica lo vede alla posizione 842, che in ogni caso migliorerà di parecchio lunedì prossimo, assestandosi attorno al 475° posto dopo la sconfitta contro de Minaur.

Di due anni e mezzo più giovane di Matteo, il classe 1998 romano è al momento decisamente lontano dalle vette raggiunte dal fratello, ma la sua impresa in Messico ci offre lo spunto per una carrellata (inevitabilmente non esaustiva) su fratelli e sorelle del tennis, campioni o meno che siano (stati) o saranno. Jacopo e Matteo, anch’egli vittorioso all’esordio, sono però stati sconfitti in doppio e dunque, almeno per quest’anno, non aggiungeranno nell’albo d’oro di Acapulco i propri nomi a quelli dei Bryan, degli Zverev e degli Skupski.
Top Bros: i fratelli migliori
Tra i tennisti in attività, Francisco (classe 1998) e Juan Manuel Cerundolo (2001) sono quelli che attualmente vantano il miglior ranking combinato, rispettivamente numero 32 (best n. 24) e 108 (79). Dei due di Buenos Aires, Fran è quello che tira e Juanma quello che rema; non a caso, la classifica di quest’ultimo è nettamente migliorata da quando ha deciso di rinunciare alla racchetta usata dal fratello per passare a un modello che perdona di più. Per quanto riguarda i testa a testa ufficiali, al Challenger di Campinas nel 2021 vinse Fran in due set ma, se entrambi vantano un titolo ATP, il primo a metterlo in bacheca è stato il più giovane. Come duo, hanno preso parte solo a eventi dei circuiti minori.
Se gli argentini sono i migliori in questo periodo, Alexander (classe 1997) e Mischa Zverev (1987) vincono a mani basse quando si prendono in considerazione i best ranking. Il fratellone, ora sprofondato dalle parti del 1500° posto, è stato n. 25 nel 2017, mentre Sascha ha occupato la seconda piazza. Due titoli vinti in coppia. Il più giovane ha vinto l’unica sfida a livello ATP, vendicando le due sconfitte “minori”, tra cui quella nelle qualificazioni del Challenger di Dallas 2 addirittura nel 2012. In quell’occasione texana, Mischa gli rifilò un 6-0 6-1. Un game lasciato al fratellino ancora quattordicenne, bravo.
Il classe 1998 Mikael Ymer, n. 59, ha perso le due sfide con il maggiore di due anni Elias (n. 170, best 105), ma pare ormai avviato verso una carriera più fortunata. In coppia hanno preso parte a una decina di eventi, ma non sono mai riusciti a replicare il successo del 2016 con il titolo ATP di Stoccolma. C’è anche un fratello del 2007, attivo nel circuito junior e dal nome promettente che compare come coach nell’apposito spazio della pagina ATP di Elias. Vedremo se Rafael saprà superare i fratelli.
Stefanos Tsitsipas dà il suo abbondante contributo alla classifica di fratellanza, ma il n. 3 del mondo non è aiutato da Petros, n. 1396 (best 727). Una sola partecipazione nel Tour (con netta sconfitta) per il classe 2000, grazie alla wild card di due anni fa a Marsiglia nella classica situazione win-win e ancora win: Stef si specchia nei generosi panni del fratello maggiore, il torneo ottiene la partecipazione di chi altrimenti non potrebbe permettersi, Petros gioca con i grandi. Insomma, vincono tutti. Magari non sul campo: Petros racimola due game con Davidovich Fokina e perde il doppio con il fratello che in singolare viene battuto al secondo incontro. Una ventina di apparizioni in doppio per i due, tra cui quattro nei Major con la ciliegina di un secondo turno. Stef ha anche un altro fratello, il diciassettenne Pavlos, e una sorella, la quattordicenne Elisavet (Tsitsipa), ancora impegnati nel circuito junior dell’ITF.
A pagina 2 – Sono sempre i peggiori ad andarsene
evidenza
L’ultimo match di Sania Mirza, la regina del tennis indiano che ha superato pregiudizi e convenzioni
Dopo 6 Slam e 43 titoli conquistati, l’ex numero uno del mondo in doppio ha concluso la sua carriera al fianco di Madison Keys a Dubai

Dopo essere andata vicina ad arricchire la sua collezione di titoli dello Slam poche settimane fa a Melbourne, Sania Mirza ha disputato l’ultimo incontro ufficiale della sua carriera. Lo ha fatto a Dubai che per lei è diventata casa da più di dieci anni e dove ha fondato due accademie di tennis, alle quali ne va aggiunta un’altra aperta nella sua terra natìa a Hyderabad. Qui ha iniziato a prendere confidenza con la racchetta all’età di 6 anni, dopo aver visto i cuginetti divertirsi sui campi da tennis durante una vacanza di famiglia negli Stati Uniti. A casa in India, invece, i campi per giocare erano una rarità assoluta e Sania ha raccontato che la superficie su cui ha mosso i primi passi non era nessuna di quelle su cui si giocano i tornei internazionali: niente terra, niente erba e nemmeno cemento, ma sterco di vacca. Da lì è partito il viaggio di una bambina che, vincendo e rompendo schemi consolidati, è diventata l’indiscussa regina del tennis indiano.
“In quanto donne, nella società indiana ci viene data una lista di cose che possiamo e non possiamo fare. Nessuno pensa a incoraggiarci e sostenere i nostri sogni”. Quando Sania ha partecipato ai primi tornei della sua vita, il tennis non era certo uno sport sconosciuto in India. Il movimento maschile aveva già una buona tradizione alle spalle grazie ai Krishnan (padre e figlio) e ai fratelli Amritraj. Di lì a poco sarebbero poi venuti fuori anche altri giocatori importanti come Bhupathi e Paes. Mancava, in ogni caso, un sistema in grado di accompagnare in modo sistematico i giovani e, soprattutto, per le donne un percorso simile non era nemmeno lontanamente ipotizzato. Sania, però, ha potuto contare sull’appoggio dei genitori e in particolare sull’esperienza di papà Imran, editore di una rivista sportiva e giocatore di cricket. Solo così il suo talento è potuto sbocciare in un contesto se non ostile, di sicuro impreparato.
Ad 8 anni Sania fece suo un torneo statale battendo in finale un’avversaria che aveva il doppio della sua età. Indubbiamente, il livello in patria non poteva essere paragonabile a quello che avrebbe incontrato in campo internazionale. Ma Sania si dimostrò in grado anche di fare il grande salto: nel 2003, a 18 anni, vinse il torneo di doppio junior a Wimbledon e fu questo il presupposto per un’ascesa rapidissima. Nel 2005 disputò a Melbourne il suo primo torneo dello Slam tra le grandi: era la prima donna indiana a farlo e arrivò fino al terzo turno, dove fu battuta da Serena Williams. Nello stesso anno, poi, raggiunse gli ottavi allo US Open. Questo è rimasto il suo risultato migliore nei major in singolare (il best ranking, risalente al 2007 è invece il numero 27), anche perché decise di dedicarsi sempre di più al doppio (fino a farlo a tempo pieno dal 2013), ricavandone grandissime soddisfazioni.
Ha infatti conquistato 6 titoli dello Slam, di cui tre in misto, e un totale di 43 tornei nella specialità. Questi traguardi l’hanno portata al primo posto della classifica riservata alle doppiste e nel novero delle migliori interpreti della storia della disciplina. Il suo marchio di fabbrica è sempre stato un dritto potentissimo, unito però all’eleganza dei movimenti e dei colpi al volo. Proprio per questo motivo, la coppia che ha formato insieme a Martina Hingis tra il 2015 e il 2016 (vincendo tre Slam e 14 tornei in totale) è stata una delle più forti e piacevoli da guardare di sempre.
Come ha spiegato lei stessa in uno speciale che Wimbledon le ha dedicato lo scorso anno, però, Sania sentirebbe di aver completato il suo percorso non tanto per le vittorie ma se ci fosse “anche solo una persona che è stata ispirata dalla mia storia”. Parte integrante di questa storia è anche la maternità nel 2018. L’ex numero uno del mondo in doppio ha raccontato che fino a quando non è diventata madre, le chiedevano continuamente quando lo avrebbe fatto: “C’erano giornalisti che mi facevano questa domanda nella conferenza stampa dopo una vittoria Slam, con il trofeo appoggiato sul tavolo. Sembrava che non potessi essere una donna completa fino a quando non fossi diventata madre, a prescindere dai risultati sul campo”. Dopo aver partorito Izhaan, Sania è tornata a giocare anche per dimostrare che famiglia e carriera non si devono escludere a vicenda e quindi, ancora una volta, per ispirare altre donne.
Critiche e minacce non sono ovviamente mancate nella sua carriera e vita privata da donna libera e pronta a tutto per realizzare i suoi obiettivi. Nel 2005 fu oggetto di una fatwa emessa da un gruppo di teorici musulmani che consideravano il suo abbigliamento in campo contrario ai precetti islamici. Nel 2010, invece, fu molto chiacchierato in India il suo matrimonio con il giocatore di cricket pakistano Shoaib Malik. Il partito nazionalista indù di destra, il BJP, chiese a Mirza di “riconsiderare” la sua decisione di sposare un pachistano, mentre nel Paese del marito in molti celebravano queste nozze come una sorta di conquista del Pakistan ai danni dell’India. In realtà era solo un altro momento della vita di Sania in cui le sue personali priorità hanno prevalso sulle convenzioni culturali e sociali. E’ questa l’eredità che ci lascia, all’interno di una cornice fatta di successi tennistici, passanti di dritto e volée vincenti.