Due brutte semifinali per una Williams straripante e un torneo deludente

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Due brutte semifinali per una Williams straripante e un torneo deludente

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TENNIS US OPEN 2014 – Dopo una prima settimana scoppiettante, densa di sorprese e mini-rivelazioni (Bellis) il torneo femminile non ha riservato match memorabili. Serena è una spanna superiore a tutte e non è una novità.

Clicca qui per il video-commento di Ubaldo Scanagatta alle semifinali femminili

I latini non conoscevano il tennis femminile quando coniarono l’espressione “dulcis in fundo”.

Il torneo femminile di questo US Open ci ha dato argomenti su argomenti nella prima settimana, ma è letteralmente evaporato nella seconda.

Salvo un non del tutto probabile riscatto nella finale, il torneo femminile ci lascia infatti con l’amaro in bocca, anche se la finale è la migliore possibile per quanto si è visto in queste due settimane.

Nessuna meritava questo traguardo più delle due ragazze che l’hanno raggiunto, per l’ottava volta Serena Williams, che ne ha vinte già sei, per la seconda volta Caroline che la perse nel 2009 da mammina Clijsters.

Fra l’americana e la danese che si affronteranno domenica (8-1 i precedenti; la sola vittoria della danese nei quarti a Miami 2012 64 64, prima di cinque successi consecutivi di Serena, l’ultimo dei quali a Cincinnati tre settimane fa) ci sono, al di là del divario nei confronti diretti, 17 Slam di differenza. Serena punta al suo diciottesimo, Caroline al suo primo dopo essere stata per quasi un paio d’anni irrisa perché, pur essendo n.1 del mondo, di Slam non era riuscita a vincerne neppure uno.

Il punto è uno e solo uno, e lo si può confermare per l’ennesima volta dopo che un’ispiratissima Serena ha disposto di Ekaterina Makarova, n.18 Wta, ancora più nettamente di quanto aveva fatto con Flavia Pennetta: 6-1 6-3 in un’ora esatta. E regalandole praticamente un game sul 5-2 nel secondo set, quasi volesse aggiungere un minimo di suspence ad una partita che non ne ha visto traccia.

Il punto è che quando Serena sta bene fisicamente, è motivata e gioca bene, non ce n’è per nessuna.

Non è inspiegabile, infatti, che domini chiunque le capiti a tiro. E’ inspiegabile semmai che quest’anno abbia perso tre Slam prima dei quarti d finale.

Non mi stupisce quindi che abbia detto: “L’anno prossimo giocherò meno tornei, voglio concentrarmi principalmente negli Slam, preparandoli al meglio”. Non so se glielo abbia suggerito il suo fidanzato coach Patrick Mouratoglou ma farà bene a programmarsi così, soprattutto dopo aver detto (e prima pensato): “Non devo più vincere, ho vinto abbastanza, la mia carriera è stata migliore di quella che avrei mai potuto immaginare, non ho alcuna pressione addosso”.

Diciamo pure che nel dire questo non è completamente sincera, come non lo è quando mette in atto quell’esultanza esagerata, eccessiva, per aver vinto in un’oretta una partita che non le ha mai creato mezzo problema.

Ha partecipato a qualche serial televisivo, si è divertita, quando stava più in California che in Florida, a fare un po’ anche l’attrice, ma anche se ha imparato a conoscere la grande ingenuità de popolo americano che va in delirio purché lei dica: “Non ci credo, vincere a New York is something!, di fronte a questa folla incredibile…un pubblico spettacolare….” etcetera etcetera, insomma diluvi di applausi scendono dall’Arthur Ashe Stadium, anche a seguito delle domande più insulse di Mary Joe Fernandez “Sei contenta di essere in finale all’US open per il terzo anno consecutivo?”. Gli applausi piovono a dirotto anche nell’ascoltare domande banali di questa fatta.

Beati gli americani, in 20.702 oggi sull’Ashe, che si entusiasmano per così poco.

Una semifinale è stata a senso unico, e la Makarova non ha colpe così come non le ha la Pennetta che aveva intravisto nella sua avversaria “una vera n.1 al mondo” e aveva fatto un game più della Makarova. L’altra, precedente, è stata bruttina e noiosetta, fino a che la Peng è rimasta all’improvviso vittima sia di crampi che di un colpo di calore. A vederla sembrava che le si fosse bloccato improvvisamente un ginocchio, poi l’altro, non era una distorsione. Sembravano crampi, ma all’inizio le hanno dato un antidolorifico.

David Brewer, il direttore del torneo, ha poi fatto sapere che l’intervento del medico in campo è stato deciso quando si è determinato che si trattava di un colpo di calore e non di crampi (per i quali l’intervento del medico o del fisio non è previsto). La verità non la sapremo mai. Secondo me erano crampi. Ma la cinese non poteva dirlo. Nemmeno quando è venuta in conferenza stampa due ore dopo dicendo “Mi sono ripresa un po’ appena adesso, di quello che è accaduto in campo non ricordo nulla”. Neppure che Caroline Wozniacki avesse attraversato il campo per sincerarsi delle sue condizioni. Insomma era proprio suonata.

E’ certo spiacevole vedere una tennista, ed una tennista gentile, seria, direi simpatica (per quel poco che si è fatta conoscere nelle conferenze stampa, perché le cinesi non sono mai facile da avvicinare) come la Peng uscire dal campo su una seggiola a rotelle.

Era la sua prima semifinale di uno Slam, al suo 37mo Slam, c’era arrivata senza perdere un set, senza che un’avversaria riuscisse a cogliere più di 4 games per set. Mi ha fatto ripensare all’infortunio patito da Sara Errani quest’anno a Roma quando era finalmente arrivata a giocare una finale cui teneva tantissimo e si è fatta male, non poteva competere. Avrebbe voluto ritirarsi e non lo fece per non tradire le aspettative del pubblico.

Anche la Peng non voleva mollare, non voleva arrendersi. Ha fatto di tutto per restare in campo, è tornata a giocare per 3 punto dopo il medical time-out e 10 minuti di interruzione, ma non era proprio più in grado.

Il fatto è accaduto sul servizio della Wozniacki, avanti 4-3 ma con palla break per la Peng: 30-40.

C’era una spaventosa umidità, le due ragazze avevano fatto scambi di oltre 20 palleggi assai aggressivi. . La Peng è stata avanti un paio di volte ma non teneva il servizio quando serviva e si è ritrovata al tiebreak perso dopo 66 minuti.

Com’è come non è, fatto sta che le due semifinali sono state assai deludenti, come del resto tutti i quattro quarti di finale.

Ci siamo divertiti nei primi dieci giorni, a vedere le donne e le tante sorprese, poi più. I match migliori? Premesso che non li ho visti tutti e quasi mai per intero, mi sono parsi Wozniacki-Sharapova, Azarenka-Krunic, forse Safarova-Cornet, ma niente di davvero straordinario al di fuori del risultati che hanno portato nei quarti soltanto Serena delle prime otto teste di serie.

C’è ancora la finale che potrebbe riscattare il tutto e a volte accade che una bella finale ha quell’effetto, perché a distanza di anni le finali si ricordano e i turni precedenti molto poco.

Spero adesso di vedere due grandi semifinali di tennis maschile adesso. Se vincessero Federer e Djokovic avremmo la finale più attesa, Nishikori e Cilic la più sorprendente. Nishikori sembra ancora un po’ immaturo per poter battere Djokovic. Il Federer dei primi 4 set con Monfils – prima volta che salva un matchpoint in uno Slam dal 2000, qui con Wessels, nemmeno lui se lo ricordava – con Cilic non se la caverebbe. Quello del quinto set sì.

I miei pronostici li ho fatti nel video con Steve Flink, nella home page inglese.

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