Toni Nadal: “Senza di me Rafa giocherebbe a calcio. Il mio addio è vicino"

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Toni Nadal: “Senza di me Rafa giocherebbe a calcio. Il mio addio è vicino”

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TENNIS INTERVISTE – In una lunga intervista a Planeta Tennis, Toni Nadal, il celebre allenatore e zio di Rafael Nadal, parla dei suoi sogni, delle difficoltà del dover educare i giovani d’oggi, della speciale relazione con Rafa e del fatto che forse potrebbe ritirarsi prima che il nipote appenda la racchetta al chiodo

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Toni Nadal non ha certo bisogno di presentazioni. È un uomo che si è fatto da solo nella piccola città di Manacor, sull’isola di Maiorca, città natale sua e del nipote che ha cresciuto e reso grande. Toni ci tiene a ripetere sempre che i successi sono solo merito di Rafael (lo chiama così durante tutta l’intervista, mai Rafa). In un’intervista a ‘Planeta Tenis’, il famoso ‘Tío Toni’ parla a cuore aperto della speciale relazione con Rafa, del desiderio che anche i suoi figli un giorno possano diventare tennisti e del suo futuro nel mondo del tennis.

Com’è cambiato il rapporto con Rafael nel corso degli anni?
Cambia come la relazione che esiste tra un padre e un figlio quando questi cresce. I rapporti cambiano soprattutto quando c’è una grande differenza d’età. Man mano che Rafael cresce. All’inizio ero io a decidere tutto, ma adesso che Rafael è grande è lui a prendere le decisioni, il che rientra nella normalità per le persone responsabili. Ho sempre lavorato con l’idea che quello responsabile doveva essere lui.

Logico. Non è più un bambino…
È normale che quando si è giovani le responsabilità ricadano sugli adulti, ma maturando le decisioni devono essere sue.

Lei gioca a tennis?
Al momento non gioco. Quando ero giovane lo facevo, ma attualmente sempre più di rado. Lo faccio solo quando non abbiamo alternative e serve uno sparring per Rafael. Ma non va bene perché ho dei problemi alla schiena.

Che cosa prova quando allena suo nipote?
Brutte sensazioni. La pallina arriva troppo forte e spesso me la bevo (ride…)

Legge i giornali?
Quasi mai. Primo perché non ho molto interesse per la stampa sportiva. Non vuol dire che non gli dia un occhiata quando Rafael vince qualcosa di importante. Per informarmi sì, ovviamente leggo quella generalista. Ma ne sono abbastanza deluso. Ormai la stampa risponde solo ad interessi partitici ed economici, e non sono interessato a seguirla.

Ha qualche account sulle reti sociali?
No. Qualcuno fa credere di essere me su Facebook. Ma io sono di un’altra generazione, e non mi interessa raccontare la mia vita perché non interessa a nessuno.

Qual è la prima cosa che fa quando si sveglia al mattino?
Mi sveglio molto presto, quasi prima dell’alba. La mia casa si affaccia sul mare e la prima cosa che faccio è fermarmi a guardarlo. Leggo qualche notizia su internet e molto spesso gioco a scacchi. Spesso quando mi sveglio e ancora tutti dormono, mi collego ad internet e faccio qualche partita.

Questo agosto è stato diverso per lei. Anziché essere negli Stati Uniti con Rafa, è rimasto a casa. Com’è stato questo cambiamento?
Sicuramente è stato diverso rispetto alla stagione passata. Speravamo di partecipare al tour negli Stati Uniti ma non ci siamo riusciti. Dispiace sempre non poter competere, soprattutto quando ci sono dei tornei importanti come quelli che Rafael ha dovuto saltare in estate, ma riesci a goderti altri aspetti. Nella vita bisogna accettare le cose per come sono. Ci si prepara per fare il proprio lavoro. Nel mondo dello sport a volte ci sono gli infortuni che ti impediscono di fare ciò per cui lavori, ma bisogna accettarlo. Ci sono sempre dei motivi per essere felici.

Ne ha approfittato per giocare a golf con Rafa?
Sì, abbiamo giocato a golf anche se mio nipote è più bravo di me (ride).

Si è parlato molto dell’abilità di Rafa nel golf. Ha pensato di dedicarsi a questo in futuro?
No. Mai. Sarebbe illogico. Gioca bene, ha un handicap di 3, ma da qui a pensare che dopo il tennis possa diventare un golfista…

Rafa è diverso quando si trova a Manacor rispetto a quando gioca o gira il mondo per i tornei?
No, è sempre lo stesso. Anche se Rafael è un personaggio pubblico grazie alla grande influenza che ha avuto nel tennis a Maiorca è un po’ più rilassato. Noi maiorchini siamo più riservati. Siamo per metà catalani, e come loro riservati anche se abbiamo una visione delle cose diversa. Il fatto di essere nati su un’isola ti fa provare un po’ di paura per quello che c’è fuori e questo ti fa essere un po’ più riservato, ma va bene, sono molti anni che qui c’è tanto turismo e questo ci porta ad aprirci di più.

Sappiamo che ancora passerà del tempo perché Rafa si ritiri, ma cosa ne sarà di Toni quando questo succederà?
Beh, non mi preoccupo molto di ciò che accadrà in futuro. Ho un’età per la quale sono già ‘vicino all’addio’, che Rafael si ritiri o meno. Credo che resterò nel mondo del tennis. Rafael ha aperto un’accademia a Manacor, quindi credo che lavorerò lì. Ho ricevuto molte offerte per lavorare in altri posti in Europa ma ciò che mi è chiaro è che continuerò a seguire il tennis.

Quindi allontana la possibilità di allenare qualche altro tennista professionista?
Sarebbe davvero difficile dopo essere stato per così tanti anni con Rafael e dopo aver avuto la fortuna di lavorare con un grande giocatore che ha raggiunto tanti successi. Durante gli anni non mi sono mai sentito fuori luogo. Al momento la situazione dei giovani è molto complicata, anche per quanto riguarda il rispetto verso gli adulti. Non sarei disposto a stare sotto a nessuno. Mi interessa molto di più – e credo sia anche la parte più importante – la formazione iniziale, rispetto ad un tennista che si trova già nel circuito, perché alla fine tutti rispondono a come si è preparato da piccolo.

Quindi la formazione di Rafa è stata la chiave del successo?
La formazione lo ha aiutato a vincere, anche se ciò che è stato fondamentale è il suo talento. Se diventi il più grande della storia non è certo grazie alla sola formazione. Quello che penso sia stato importante, è che la sua formazione iniziale lo ha aiutato a trovare il posto giusto nel mondo e anche ad affrontare quei problemi che gli si sono presentati.

Poco tempo fa ha detto “ quando arriva l’ispirazione spero che mi trovi a lavorare”…
Questa è una realtà indispensabile nella vita. Non credo certo che la gente che trionfa o ha successo lo abbia solo per il duro lavoro. Non credo sia solo grazie al lavoro che esistono un Roger Federer, un Michael Jordan… Ma la realtà è che se non si lavorasse non si diventerebbe grandi. E sono convinto che il lavoro aiuti molto. Sono un grande difensore del duro lavoro, soprattutto dello sforzo mentale.

Al giorno d’oggi e con i giovani che ci sono attualmente, sembra un compito difficile mettere in pratica il duro lavoro, o crede sia possibile?
Sarebbe possibile per chi oggi si trova in difficoltà a causa della società. È più difficile oggi per la tecnologia di cui disponiamo, per l’immediatezza con cui abbiamo tutto, per il ruolo che i figli oggi hanno all’interno della famiglia. È complicato oggi contrariare un giovane, quando ai miei tempi era assolutamente normale. Sapevi che dovevi rispondere a ciò che ti era richiesto. Oggi è davvero difficile che i piccoli abbiano rispetto degli adulti, dei professori, degli educatori… la società è cambiata molto.

Se Rafa avesse avuto un altro allenatore, crede avrebbe raggiunto il successo?
La mia figura.. (pensa, alza il viso e continua).. non so dirti. Per Rafael sì è stato importante, perché nei momenti chiave della sua formazione ho dettato io le regole del suo gioco, del comportamento dentro e fuori dal campo. Ovviamente c’erano anche i suoi genitori. Probabilmente se avesse avuto un altro allenatore avrebbe continuato con il calcio, che da piccolo gli piaceva di più.

C’è stato un momento durante la sua carriera in cui avrebbe voluto lasciare?
No. Ovviamente negli anni, e come succede spesso, ci sono stati degli attriti. Ma non ho mai pensato di lasciarlo. Io sono stato un allenatore molto duro, soprattutto negli anni della formazione di Rafael, ma oggi lui ha 28 anni e le cose sono cambiate molto.

È vero che quando Rafa era piccolo, lo ha fatto giocare con la sinistra?
No, non sono così stupido (ride). La verità è che Rafael giocava tutto a due mani. Quindi gli dissi che doveva usare solo una mano. Gli chiesi: “Quanti giocatori al vertice conosci che giocano tutto a due mani? Nessuno. Ecco, tu non sarai di certo il primo”. È successo questo. Poi quando ha iniziato a colpire con più forza lo faceva meglio dalla parte sinistra, per questo pensai fosse mancino.

Ed è mancino anche di piede..
Esatto, pensavo lo fosse anche di mano. Ma la verità è che oggi l’unica cosa che fa con la sinistra è giocare a tennis.

Perché crede che Rafa sia un tennista diverso?
Uno dei tratti più importanti di Rafael è la passione, fa tutto con grande intensità. Quando era piccolo io in allenamento e in partita gli chiedevo moltissimo. E questa una delle caratteristiche di Rafael. Questa passione che ha in campo. In realtà quando ebbe quel grave infortunio al piede ci siamo dovuti fermare un po’, altrimenti avrebbe mantenuto un’intensità più alta durante la sua carriera.

Pensa che quello che ha raggiunto Rafa sia facile?
Avere successo in qualunque ambito della vita è difficile. Non esagero, né voglio togliere valore alle cose. Ma qualunque risultato nella vita è difficile da raggiungere. Essere il migliore, ed il migliore in un’attività è complicato perché ci sono tanti altri che iniziano e che ci riescono. Ma non è impossibile. Se fosse stato così complicato, noi non ci saremmo riusciti. Non è semplice, o perlomeno a me sembra difficile rispondere ad un servizio a 200 Km/h. Così come mi sembra difficile battere Djokovic, Federer o Murray.

Quale sogno deve ancora realizzare nel tennis Toni Nadal?
Molti. Il primo è che vorrei che i miei figli fossero dei buoni tennisti. Senza dubbio sarebbe un bel sogno. Quello che mi fa sognare è il quotidiano. Andare a New York e cercare di vincere. Adesso che andremo a Parigi Bercy o al Masters di Londra, andremo con l’intenzione di vincere. Io tendo a dare grande valore alle cose e mi ritengo fortunato per quello che abbiamo fatto. C’è andata molto bene e dato che conosco le difficoltà attribuisco grande valore anche ai piccoli successi. Per me vincere qualunque torneo è un sogno.

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