Bertolucci: "Ai tennisti italiani manca la fame che rende grande Federer"

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Bertolucci: “Ai tennisti italiani manca la fame che rende grande Federer”

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TENNIS INTERVISTE – E’ nata una collaborazione tra Paolo Bertolucci e il Tc Napoli: l’ex numero 12 del mondo seguirà i giovani più promettenti del circolo partenopeo. Per l’occasione ha rilasciato un’intervista a Giovanni Marino per Repubblica.it spaziando tra tanti argomenti: dagli italiani Fognini, Seppi e Bolelli a Federer, Djokovic, Murray e Nadal. 

Leggi su Repubblica l’intervista completa

Paolo Bertolucci, per chi conosce la storia del tennis e, in generale, dello sport nazionale, non ha bisogno di presentazioni. E’ stato un campione assoluto di quella generazione, unica, di campioni (tocca ripetersi) che negli anni Settanta ha trascinato l’Italia a vette inimmaginabili: una Davis conquistata nell’anno di grazia 1976, finali a ripetizione, successi individuali a getto continuo e match epici con i miti di allora, Borg, Vilas, Lendl, McEnroe, Connors, Gerulaitis. In singolo e in doppio. Che poi era la specialità di Paolo, detto braccio d’oro per un talento genuino e quel rovescio che era (correzione, è ancora) una poesia. Con Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Tonino Zugarelli, Bertolucci è andato fieramente in giro per il mondo in quel periodo a mostrare la classe e l’altissima capacità del tennis azzurro.

Deve quindi considerarsi davvero un grosso colpo, per il Tc Napoli, aver ottenuto la collaborazione del campione della Davis per il suo settore giovanile. Un’opportunità e, assieme, un incentivo, per i teen ager del club guidato da Luca Serra. Con Paolo, chi scrive, ha una lunga frequentazione, dai tempi dei “clinic” in Toscana, al Ciocco, quando Bertolucci, quasi sempre reduce da un turno vincente di Davis, veniva ad allenarci e capitava sempre che il miglior colpo del migliore di noi non gli facesse neppure il solletico. “Il tennis è come la vita, bisogna avere testa, talento, fisico, cuore. E bisogna crederci sempre”, ripeteva. E ribadisce ancora, mentre racconta a “Repubblica” del suo nuovo impegno e non solo.  

Allora, Paolo Bertolucci e il Tc Napoli, come nasce questa collaborazione?
“Con una telefonata. Mi ha chiamato l’amico Angelo Chiaiese e mi ha chiesto la disponibilità per poter dare una mano, una spinta, un consiglio al movimento dei giovani che calca i campi del club di viale Dohrn. E sinceramente la cosa mi ha fatto molto piacere. Considero una proposta allettante e, assieme, una bella sfida poter contribuire a questo progetto in una piazza come Napoli luogo che, non lo nascondo, ho sempre amato”.

Concretamente in cosa consisterà il suo intervento?
“Come è noto ho diversi impegni, non ultimo quello di commentatore per Sky del grande tennis, dunque mi muovo parecchio e non potrò stare a Napoli in modo continuativo. Però verrò periodicamente e mi terrò, questo sì, continuativamente in contatto con Chiaiese e il suo staff di tecnici che mi sembra preparato e motivato (come è scritto nell’elegante brochure, si tratta del direttore tecnico Angelo Chiaiese, del tecnico federale Riccardo Fortunati, del maestro nazionale Piero Monte, degli istruttori di secondo grado Espedito Castaldi, Giovanni Di Porzio, Alfonso Intermoia, Antonio Izzo, dei preparatori atletici Raffaele Cerullo e Carlo Elia). Ho già guardato i programmi, presto sarò a Napoli e stileremo insieme ulteriori tipi di lavori da svolgere che poi Chiaiese e il suo team porteranno avanti”.

Approfittiamone per parlare dei top player italiani. Fognini…
“Può avere un rendimento superiore, il talento non manca ma ha un carattere instabile e sotto peressione perde occaisoni importanti. Ribadisco: tra i top ten e gli altri c’è una grande distanza e per colmarla occorre un salto netto di qualità”.

Seppi.
“Andreas sinora ha fatto una bella carriera. Ma oggi, vicino ai 31 anni, dopo tante battaglie, credo che il meglio di sè lo abbia già dato. Ciò non toglie che può ancora cogliere buoni risultati”.  

Bolelli.

“Eh…Purtroppo Bolelli ha avuto molti problemi fisici e qualcuno, certamente, anche di attitudine mentale, perchè è inspiegabile come uno con quel tennis non sia stato per tutta la sua carriera fisso tra i primi 20-30 del mondo. Ora sembra essersi rimesso in carreggiata, speriamo non sia troppo tardi, anche lui va per i 30 anni”.

E dietro questi? Quinzi?
“Al momento non si vede un gran ricambio. E per Quinzi bisogna avere pazienza. Nel salto dal livello giovanile ai professionisti occorrono tecnica ma soprattutto tenuta fisica e mentale e non è detto che tutti ci riescano. E poi ci vuole fame…”.

E gli italiani non hanno “fame”?

“Prendete Federer. Molti credono che la sua grandezza risieda nell’infinita classe di cui lo ha dotato madre natura. Si sbagliano. La grandezza di Federer è che a 33 anni compiuti ancora si mette lì con umiltà ogni giorno a lavorare su rovescio, seconda di servizio, discese a rete. Vuole migliorare. Ancora. Sempre. Questo significa avere fame…”.

Certo, è difficile capire come dei 4 moschettieri che fecero grande il tennis italiano soltanto uno, Barazzutti, lavori con la Federazione…
“Siamo tutti lontani dalla Federazione, pensate: la Fit non mi ha neppure invitato alla festa dei 100 anni. Vabbè, lasciamo perdere, parliamo di tennis e dei ragazzi del tennis”.

Belardinelli insegnò a lei, ad Adriano, a Corrado e a Tonino a vincere. Come si vince a tennis? 
“Con il killer instinct. Non tutti i punti sono uguali nel tennis. In ogni match ci sono 5 o 6 punti che fanno la differenza e chi sa vincere in quei momenti alza l’asticella del rendimento e offre il massimo di se stesso. Non mi riferisco solo a un Federer. Guardate un giocatore come David Ferrer, è uno di quelli che in quei momenti dà il 110 per cento”.

Ma è corretto rinunciare alle proprie caratteristiche tecniche per vincere? E’ corretto trasformarsi in pallettari se invece il tuo gioco è tutto d’attacco? O viceversa? Che consiglio dà a quei ragazzi dal gioco brillante ma poco redditizio?
“E’ sbagliato. Profondamente. No, non puoi rinunciare al tuo gioco perchè è come la tua pelle, è qualcosa che hai dentro. E’ un dono avere un gioco brillante. Però, puoi leggermente modificare il tuo stile e il tuo atteggiamento, sempre senza perdere le tue caratteristiche. Se tiri forte, continua a farlo, ma trova gli accorgimenti tecnici per sbagliare di meno e, in certi punti, per giocare in sicurezza. Ho fatto un esempio…”.

Tornando all’Atp tour, molti dicono che senza i Fab Four il tennis non sarà più lo stesso.
“Mah, sì, lo sento dire anche io in giro. Però si diceva lo stesso all’epoca di Borg e Connors, e poi in quella di McEnroe e Lendl e di Edberg e Becker e invece…no, non credo che il tennis morirà…certo sarà dura sostituire Federer, Nadal, Djokovic e Murray, ma sono certo che da qualche parte c’è già qualche altro fenomeno. Dico però che sarà dura soprattutto dal punto di vista mediatico perchè questi 4 sia in campo che fuori sono degli esempi assoluti: sempre disponibili coi tifosi, sempre positivi, sempre fortissimi”.

Non vede nessuno all’orizzonte?
“Oggi come oggi, di quel livello, ancora no. Ci sarebbe Dimitrov, ma non so se ha la personalità di quei 4 e poi sinora in finale in uno Slam non ci è mai arrivato. C’è Raonic, molto bravo, ma come appeal, nessuno si offenda, siamo sui livelli di Ferrer. Ci sarebbe stato Gulbis che aveva e ha tutto per essere un fuoriclasse (anche la personalità) ma è nato ricco e si allena a fasi alterne…peccato. Aspettiamo, come ho detto magari in qualche parte del mondo è già nato un nuovo Federer e noi non lo sappiamo”.

Ha citato sempre Federer, due parole su Nadal…
“Ecco lui il killer instinct ce lo ha nel sangue. Prima, con lei, ricordavamo un secondo turno a Roma dove per un set e mezzo Gulbis ha letteralmente umiliato Nadal. Sembrava di un’altra categoria. Ma poi come è andata a finire? Rafa si è messo un po’ più indietro, ha giocato colpi diversi e ha vinto 7-5 al terzo se non sbaglio. Nadal è come le lucertole: gli tagli la coda e quella ricresce. Non si arrende mai”.

Il suo rovescio a una mano, Paolo, ormai è una rarità. Nel circuito e tra i ragazzi.
“Peccato, me lo lasci dire. Ma questo avviene perchè si inizia molto presto e i giocatori non hanno il polso robusto per il rovescio a una mano. Le due mani, poi, offrono vantaggi in recupero perchè con l’aiuto dell’altra mano trovi angoli mostruosi e giochi meglio le palle alte sulla spalla. Anche se le due mani ti obbligano a fare sempre un mezzo passo in più o a scivolare frontalmente”.

Tuttavia il rovescio a una mano è ancora competitvo e il re del tennis, Federer, lo mostra alla grande.
“E lo dice a me? Certo! Ma ci vuole predisposizione e talento. Diciamo che si nasce col rovescio a una mano. E stilisticamente, sì, è un’altra roba, dai”.

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