Steve Darcis, il salto dello squalo

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Steve Darcis, il salto dello squalo

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TENNIS – Tre mesi fa, Steve Darcis era numero 483 del mondo per colpa di un infortunio alla spalla. Oggi, dopo le finali nei challenger di Mons (persa contro Goffin) e Rennes (vinta contro Mahut), è risalito tra i primi 200 del mondo. Non è la prima volta che il belga è costretto a risalire da così in basso

 

ll primo episodio della quinta stagione di Happy Days, Fonzie, un nuovo James Dean? venne mandato in onda negli Stati Uniti il 20 settembre 1977 ed è diventato piuttosto famoso perché venne considerato in maniera quasi unanime il punto di svolta di una delle serie televisive più popolari della storia. Fino ad allora, Happy Days aveva rappresentato un immaginario con cui gli americani potevano facilmente identificarsi. Ma in quella prima puntata Fonzie andava oltre il suo personaggio e provava una spacconata con cui era ben difficile identificarsi: fare dello sci nautico e saltare uno squalo bianco. Jon Hein, un critico televisivo, qualche anno dopo utilizzerà l’espressione “jump the shark” per identificare il momento in cui una serie televisiva comincia il suo declino dopo aver raggiunto il suo culmine. Non si tratta di un declino di pubblico (Happy Days continuerà ad avere moltissimi spettatori anche dopo quell’episodio), però, quanto di un calo di qualità: il “salto dello squalo” è quindi più un feticcio da critico che un dato effettivo.

 

Il 24 giugno 2013 Steve Darcis scende in campo sul campo numero 1 di Wimbledon per affrontare Rafael Nadal, che ha appena rivinto il Roland Garros e vuole annullare il ricordo della brutta sconfitta contro Lukas Rosol, dodici mesi prima. Ma lo spagnolo è fiaccato da un rientro nel circuito che è andato ben oltre le previsioni: da Viña del Mar al Roland Garros ha giocato 46 partite e ne ha vinte 44. Steve Darcis, che allora era numero 135 del mondo, non viene certo da una grande stagione dato che non ha ancora vinto una partita nel circuito maggiore e contro i top-10 ha combinato poco in carriera: undici sconfitte su dodici partite. Quell’unica vittoria, però, è arrivata proprio sull’erba di Wimbledon, undici mesi prima, contro Tomas Berdych ai Giochi Olimpici di Londra.

Contro Rafael Nadal, incredibilmente il miracolo si ripete. Certo, il maiorchino aveva bisogno di staccare dopo una stagione sulla terra rossa dove aveva vinto tutto tranne Montecarlo e l’erba dei primi turni è la peggiore superficie per lo spagnolo e la migliore per il belga. Ma il 7-6 7-6 6-4 è davvero qualcosa di imprevedibile, considerato che Nadal ha servito per il set sul 5-4 e che nel secondo tie-break ha avuto anche un set point dopo averne annullato quattro. Sarà il punto più basso di una stagione fantastica, una delle migliori del maiorchino. Per Steve Darcis sembra il punto di svolta dell’anno. Invece, due giorni dopo, Darcis annuncia il ritiro prima del suo secondo turno contro Lukasz Kubot. È un ritiro che fa poco rumore perché in quello stesso giorno abbandonano il torneo Federer, Azarenka, Sharapova, Ivanovic, Tsonga e Wozniacki.

Dopo la vittoria con Nadal, Darcis raccoglie le briciole nei successivi match e decide di terminare la stagione al challenger di Mons, dove passa solo un turno. Qualche giorno dopo decide di operarsi alla spalla. Tempo di recupero stimato: sei mesi. Per rivederlo in campo bisognerà aspettare giugno, quando raggiunge la finale in un Future belga. “Il momento più difficile? I due mesi successivi all’operazione. Il dolore era lancinante, non potevo dormire e non avevo appetito. Passavo i giorni in pigiama perché non riuscivo nemmeno a cambiarmi“, ricorda Darcis. Sùbito dopo quello che poteva essere il culmine della sua carriera, per il belga comincia quindi un lento declino che lo porta ai margine del tennis che conta. Sembrerebbe il “salto dello squalo” di Steve Darcis: ironico, per uno il cui soprannome è proprio lo Squalo (@stevedarcishark è il suo username su Twitter).

L’implacabile aritmetica gli presenta il conto a giugno: dopo il Roland Garros scende al numero 389, il 20 luglio raggiunge il punto più basso al numero 483 del mondo. Ma il belga è un osso duro e la sua risalita si concretizza nel mese di ottobre quando raggiunge due finali consecutive nei challenger: la prima la perde a Mons contro l’inarrestabile Goffin, che forse avrà ispirato questa rinascita, ma la seconda, a Rennes, è quella buona. Il belga torna nei primi 200 del mondo – ora è numero 175 – e l’infortunio sembra soltanto un brutto ricordo. Con Steve Darcis, insomma, l’espressione “salto dello squalo” prende una connotazione totalmente diversa, da prologo di declino a premessa di rinascita: “È miracolosoha detto Steve al sito dhnet.be. “I dottori e i fisioterapisti non credevano che sarei potuto tornare così presto“.

Darcis sa bene come ci si ricostruisce una carriera: a luglio 2006 termina la stagione in anticipo per un infortunio al polso destro e tra la fine di quell’anno e l’inizio del successivo cade nei pressi della cinquecentesima posizione mondiale. Ma dall’infortunio Darcis trae la forza necessaria per delle grandi soddisfazioni: ad Amersfoort vince le prime partite nel circuito maggiore vincendo addirittura il torneo da numero 297 del mondo. In quel torneo batte Simon, Andreev, l’allora numero 13 ATP Mikhail Youzhny e in finale l’austriaco Werner Erschauer: un piccolo capolavoro che avrà la giusta premiazione con l’entrata tra i primi cento del mondo a fine anno, dopo la vittoria nel challenger di Helsinki. Sta per succedere qualcosa di simile sette anni dopo? “Sono sulla strada giusta” dice sorridendo, “sono preparato, so che cosa devo fare e qual è la mole di lavoro richiesta. Con il mio fisioterapista Eric Houben (ex fisioterapista di Justine Henin, ndr) stiamo lavorando molto per rafforzare la spalla“. Ma il passato gli ha anche insegnato a non dare nulla per scontato: “Non mi aspetto nulla dal resto della stagione. L’obiettivo era tornare competitivo nel 2015 ma sono già in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Ora giocherò a Ginevra e poi a La Roche-sur-Yon: se faccio quindici punti sarò contento, altrimenti va bene lo stesso“. Il salto dello squalo di Fonzie, comunque, è ancora lontano: per ora ci godiamo le capriole di Steve.

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Flash

Hantuchova: “Alcaraz di un altro pianeta, attacca come Federer e difende come Nadal”. Cervara: “È il Tyson del tennis”

Tra l’urgenza di paragoni sempre più arditi e statistiche strambe, la sintesi di Roger e Rafa, al secolo Carlos Alcaraz, non ha la risposta di Djokovic, di più: “Lui è la risposta”. Ma a quale domanda?

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Carlos Alcaraz - Indian Wells 2023 (foto Ubitennis)

Il problema fondamentale è rappresentato da quei tre – Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – e da quell’entità divoratrice di tutto a cui hanno dato vita nota come Big 3. Avercene di problemi del genere, si potrebbe obiettare, solo limitandosi a pensare a quanto hanno fatto per il tennis, aumentandone straordinariamente la popolarità.

Anche non considerando le generazioni di tennisti che prima tecnicamente, poi anche mentalmente, si sono ritrovate quasi senza possibilità di iscrivere il proprio nome sui trofei più importanti (quelli Slam, il cui peso è ancor più aumentato soprattutto nella considerazione dei tifosi proprio per “colpa” loro), pare che ormai nessuno possa tentare di emergere senza che “sì, ma alla sua età Roger serviva meglio, Nole aveva già vinto uno Slam mangiando pizze e Rafa non ne parliamo”.

Insomma, il problema è che quei tre non solo ti senti obbligato a citarli in ogni articolo (arrendendoti agli anacoluti), ma li devi battere sul campo, nei record di precocità, superare in classifica e spesso neanche questo basta perché l’avventato e inopportuno sfidante avrà senza dubbio avuto dalla sua una quantità industriale di circostanze favorevoli. E, come se non bastasse la pressione derivante dall’essere definito il nuovo Nadal/Djokovic/Federer a causa della disperata ricerca di un nuovo campione, allo stesso tempo lo sventurato in questione si sentirà dire con altrettanta veemenza che non vale metà della peggior versione di uno di quei tre. L’importante è che si facciano paragoni, poi tutto è permesso.

 

Tuttavia, c’è anche chi impara dai propri errori: in Spagna dicevano Munar el nuevo Rafa, dopo di che hanno imparato e quindi, quando Carlos Alcaraz (che entri, finalmente) aveva iniziato a farsi notare, c’era chi lo descriveva come il nuovo Roger. Così va molto meglio, bravi. Arriva però Daniela Hantuchova al alzare l’asticella. Al quotidiano francese l’Équipe, Daniela ha detto che “Carlos viene da un altro pianeta. Ha tutto. Mi sembra che abbia l’aggressività di Roger e la difesa di Rafa. Con la sua velocità e il modo di muoversi, riesce a giocare colpi che non credevamo possibili”.

L’ormai ex Carlitos (nel senso che è cresciuto, che adesso è Carlos o Charlie), avendo ancora un mese e mezzo da passare come teenager, non può evitare che, oltre ai paragoni, gli si cuciano addosso statistiche di precocità anche bizzarre, per esempio quella che lo nomina come più giovane realizzatore della tripletta IW, Miami, Flushing Meadows, impresa peraltro compiuta prima di lui dai soli Sampras, Federer, Djokovic e Agassi. Fantastico. Non è chiarissimo l’accostamento del Double allo US Open, però bello.

Di poco bizzarro c’è la sua vittoria a Indian Wells, dove colui che lo ha messo più in difficoltà è stato Jannik Sinner. Anche Griekspoor, restando aggrappato al proprio servizio, lo aveva trascinato al tie-break nel primo set, ma l’azzurro è riuscito a recuperare il break piazzando un parziale di 11 punti consecutivi e sembrava in grado di effettuare il sorpasso definitivo, anche perché il classe 2003 aveva perso confidenza con i colpi. Con la grafica in sovrimpressione che ratificava l’evidente differenza tra i dritti dei due contendenti (valutazione di 9,1 contro 6,4 a favore di Sinner), Alcaraz ha affrontato il set point contro dopo aver sbagliato proprio due dritti e pure comodi, annullandolo grazie alla smorzata di… dritto. Anche altri avrebbero forse provato il drop shot, probabilmente più alla ricerca di un timoroso asilo conseguente a quegli errori, ma non è il caso di Carlos che padroneggia quella soluzione, fa parte del suo vasto repertorio. Pur rifuggendo (invero senza difficoltà) la tentazione di suggerire chi alla sua età già possedeva un ampio baglio tecnico, resta il fatto che lo spagnolo è riuscito a vincere anche quel primo parziale e, alla fine, il suo percorso nel deserto è rimasto immacolato. Chi era stato l’ultimo a trionafre senza cedere set? Federer nel 2017, anche approfittando di un walkover. Per trovare chi aveva centrato quel risultato disputando almeno sei match, bisogna tornare indietro fino a Nadal nel 2007.

C’è per fortuna chi rimane fuori dal coro. È Gilles Cervara, l’allenatore di Daniil Medvedev, che lascia da parte i mostri sacri, ma solo quelli del tennis. “Alcaraz è il Tyson del tennis” ha… tracimato all’Équipe. “In alcuni momenti è capace di tirare dei ‘diretti’ con la racchetta. Ci sono stati colpi che hanno lasciato Daniil a dieci metri dalla palla, colpiti con potenza e velocità folli”

Difficile dire quanto ci abbia messo Medvedev del suo, ma nelle statistiche relative alla finale appare un numero enorme a dispetto di ciò che rappresenta: 0, come in “zero ace”. Pare che l’insieme “servizi neanche sfiorati dall’avversario” di Daniil non rimanesse privo di elementi dalla sfida contro Gilles Simon a Marsiglia nel febbraio 2020. Dopo una decina di giorni, (non solo) il Tour si sarebbe fermato – così, per dire. Di sicuro c’è che, in ventitré confronti, mai il Big 3 è riuscito in tale impresa contro Daniil, che ha chiuso così il contatore con un turno di anticipo, sfoderando contro Tiafoe l’ace numero 3.299 della carriera.

A proposito di contatori, durante la trasferta californiana Alcaraz ha messo a segno e superato la vittoria ATP numero 100, con un saldo positivo su tutte le superfici: 47-12 sulla terra battuta, 53-18 sul duro e – mettiamoci anche quella nonostante l’abbia appena respirata – 4-2 sull’erba. Con meno di due stagioni complete alle spalle sul Tour, vanta un bilancio indoor di 16-6 (mai aveva giocato al coperto a livello Challenger e ITF), mentre all’aperto si bea di un eloquente 88-26: se tutti sanno giocare bene a tennis in condizioni asettiche, Carlos dimostra con i numeri (oltre che con la finale del BNP Paribas Open) di saper gestire meglio di diversi colleghi il vento e le altre condizioni che si presentano nella maggior parte degli eventi del circuito. Ci affidiamo alla versione spagnola del sito atptour.com per aggiungere che, fra i tennisti in attività con almeno 20 incontri giocati, oltre al nostro protagonista solo in tre hanno un bilancio positivo contro avversari top 10. Ricorrendo a una finta preterizione, diciamo che non c’è bisogno di fare nomi: Djokovic, Nadal, Murray.

Carlos non ha (tecnicamente ancora) vinto il Sunshine Double, ma il trofeo di Indian Wells e quello di Miami sono già nel suo palmares. E – notizia inaspettata? – è il primo a vincerli entrambi da teenager. Per quanto riguarda specificatamente il titolo appena conquistato, è il secondo più giovane dell’albo d’oro, preceduto da Boris Becker. E, proprio quando si faceva ingenua strada l’illusione di poter completare un paragrafo senza essere costretti a evocare il mostro tricefalo, Alcaraz è il secondo teenager a vincere più di due Masters 1000. Il primo è stato…

… Rafa Nadal.

Non possiamo però non tornare a Daniela Hantuchova, che può continuare a lanciarsi nelle più spericolate iperboli, tanto ci aveva già convinti al “ciao”. L’ex numero 5 del mondo ha pochi dubbi su Carlos: “Porta il tennis a un altro livello, il che è pazzesco da vedere. Poco tempo fa, tutti di domandavano cosa sarebbe successo in futuro dopo Federer, Nadal e Djokovic. Credo che lui sia la risposta. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.

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ATP

Fratelli & Sorelle del tennis: non solo Berrettini. Da McEnroe a Williams, passando per Safin e… Monfils

Mentre ad Acapulco Matteo avanza e Jacopo si è fatto valere, riviviamo le parentele di maggior successo. Tra fratelli ritirati o troppo indietro in classifica come i Djokovic o gli Tsitsipas, in ATP ora comanda la famiglia Cerundolo, mentre in WTA…

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Jacopo e Matteo Berrettini (foto via Twitter @AbiertoTelcel e @AustralianOpen)

Ci aveva provato quattro volte, ma era sempre stato eliminato al primo turno del tabellone cadetto. Ad Acapulco, finalmente, Jacopo Berrettini ha superato le qualificazioni battendo i ben più quotati Blancaneaux (n. 155) e Darderi (n. 184). A quel punto, la wild card ricevuta era già ampiamente onorata, ma Jacopo non si è certo accontentato e ha battuto anche Oscar Otte, complice un ginocchio tedesco, mettendo così a segno la sua prima vittoria ne Tour al primo tentativo. In singolare, perché in doppio con il fratello Matteo (qui subito battuti), aveva già preso parte all’ATP di Cagliari nel 2021, dove hanno raggiunto le semifinali, e all’ATP di Firenze l’anno scorso con sconfitta all’esordio. Il best ranking di Jacopo, n. 388, risale all’estate 2019, mentre ora la classifica lo vede alla posizione 842, che in ogni caso migliorerà di parecchio lunedì prossimo, assestandosi attorno al 475° posto dopo la sconfitta contro de Minaur.

Matteo e Jacopo Berrettini – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Di due anni e mezzo più giovane di Matteo, il classe 1998 romano è al momento decisamente lontano dalle vette raggiunte dal fratello, ma la sua impresa in Messico ci offre lo spunto per una carrellata (inevitabilmente non esaustiva) su fratelli e sorelle del tennis, campioni o meno che siano (stati) o saranno. Jacopo e Matteo, anch’egli vittorioso all’esordio, sono però stati sconfitti in doppio e dunque, almeno per quest’anno, non aggiungeranno nell’albo d’oro di Acapulco i propri nomi a quelli dei Bryan, degli Zverev e degli Skupski.

Top Bros: i fratelli migliori

Francisco Cerundolo – Bastad 2022 (Twitter @NordeaOpen)

 

Juan Manuel Cerundolo – Cordoba 2021 (Foto Twitter @CordobaOpen)

Tra i tennisti in attività, Francisco (classe 1998) e Juan Manuel Cerundolo (2001) sono quelli che attualmente vantano il miglior ranking combinato, rispettivamente numero 32 (best n. 24) e 108 (79). Dei due di Buenos Aires, Fran è quello che tira e Juanma quello che rema; non a caso, la classifica di quest’ultimo è nettamente migliorata da quando ha deciso di rinunciare alla racchetta usata dal fratello per passare a un modello che perdona di più. Per quanto riguarda i testa a testa ufficiali, al Challenger di Campinas nel 2021 vinse Fran in due set ma, se entrambi vantano un titolo ATP, il primo a metterlo in bacheca è stato il più giovane. Come duo, hanno preso parte solo a eventi dei circuiti minori.

Alexander e Mischa Zverev – ATP Montpellier 2017 (foto via Twitter, @OpenSuddeFrance)

Mischa Zverev – Montecarlo 2018 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

Alexander Zverev – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Se gli argentini sono i migliori in questo periodo, Alexander (classe 1997) e Mischa Zverev (1987) vincono a mani basse quando si prendono in considerazione i best ranking. Il fratellone, ora sprofondato dalle parti del 1500° posto, è stato n. 25 nel 2017, mentre Sascha ha occupato la seconda piazza. Due titoli vinti in coppia. Il più giovane ha vinto l’unica sfida a livello ATP, vendicando le due sconfitte “minori”, tra cui quella nelle qualificazioni del Challenger di Dallas 2 addirittura nel 2012. In quell’occasione texana, Mischa gli rifilò un 6-0 6-1. Un game lasciato al fratellino ancora quattordicenne, bravo.

Elias Ymer – ATP Acapulco 2023 (foto via Twitter @AbiertoTelcel)

Mikael Ymer – Davis Cup Finals Madrid 2021 (Photo by Mateo Villalba / Quality Sport Images / Kosmos Tennis)

Il classe 1998 Mikael Ymer, n. 59, ha perso le due sfide con il maggiore di due anni Elias (n. 170, best 105), ma pare ormai avviato verso una carriera più fortunata. In coppia hanno preso parte a una decina di eventi, ma non sono mai riusciti a replicare il successo del 2016 con il titolo ATP di Stoccolma. C’è anche un fratello del 2007, attivo nel circuito junior e dal nome promettente che compare come coach nell’apposito spazio della pagina ATP di Elias. Vedremo se Rafael saprà superare i fratelli.

Stefanos Tsitsipas – ATP Finals, Torino 2022 (Credits Photo Giampiero Sposito:FIT)

Stefanos Tstisipas e Petros Tsitsipas – Montecarlo 2022 (foto Roberto Dell’Olivo)

Stefanos Tsitsipas dà il suo abbondante contributo alla classifica di fratellanza, ma il n. 3 del mondo non è aiutato da Petros, n. 1396 (best 727). Una sola partecipazione nel Tour (con netta sconfitta) per il classe 2000, grazie alla wild card di due anni fa a Marsiglia nella classica situazione win-win e ancora win: Stef si specchia nei generosi panni del fratello maggiore, il torneo ottiene la partecipazione di chi altrimenti non potrebbe permettersi, Petros gioca con i grandi. Insomma, vincono tutti. Magari non sul campo: Petros racimola due game con Davidovich Fokina e perde il doppio con il fratello che in singolare viene battuto al secondo incontro. Una ventina di apparizioni in doppio per i due, tra cui quattro nei Major con la ciliegina di un secondo turno. Stef ha anche un altro fratello, il diciassettenne Pavlos, e una sorella, la quattordicenne Elisavet (Tsitsipa), ancora impegnati nel circuito junior dell’ITF.

A pagina 2 – Sono sempre i peggiori ad andarsene

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evidenza

L’ultimo match di Sania Mirza, la regina del tennis indiano che ha superato pregiudizi e convenzioni

Dopo 6 Slam e 43 titoli conquistati, l’ex numero uno del mondo in doppio ha concluso la sua carriera al fianco di Madison Keys a Dubai

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Dopo essere andata vicina ad arricchire la sua collezione di titoli dello Slam poche settimane fa a Melbourne, Sania Mirza ha disputato l’ultimo incontro ufficiale della sua carriera. Lo ha fatto a Dubai che per lei è diventata casa da più di dieci anni e dove ha fondato due accademie di tennis, alle quali ne va aggiunta un’altra aperta nella sua terra natìa a Hyderabad. Qui ha iniziato a prendere confidenza con la racchetta all’età di 6 anni, dopo aver visto i cuginetti divertirsi sui campi da tennis durante una vacanza di famiglia negli Stati Uniti. A casa in India, invece, i campi per giocare erano una rarità assoluta e Sania ha raccontato che la superficie su cui ha mosso i primi passi non era nessuna di quelle su cui si giocano i tornei internazionali: niente terra, niente erba e nemmeno cemento, ma sterco di vacca. Da lì è partito il viaggio di una bambina che, vincendo e rompendo schemi consolidati, è diventata l’indiscussa regina del tennis indiano.

In quanto donne, nella società indiana ci viene data una lista di cose che possiamo e non possiamo fare. Nessuno pensa a incoraggiarci e sostenere i nostri sogni”. Quando Sania ha partecipato ai primi tornei della sua vita, il tennis non era certo uno sport sconosciuto in India. Il movimento maschile aveva già una buona tradizione alle spalle grazie ai Krishnan (padre e figlio) e ai fratelli Amritraj. Di lì a poco sarebbero poi venuti fuori anche altri giocatori importanti come Bhupathi e Paes. Mancava, in ogni caso, un sistema in grado di accompagnare in modo sistematico i giovani e, soprattutto, per le donne un percorso simile non era nemmeno lontanamente ipotizzato. Sania, però, ha potuto contare sull’appoggio dei genitori e in particolare sull’esperienza di papà Imran, editore di una rivista sportiva e giocatore di cricket. Solo così il suo talento è potuto sbocciare in un contesto se non ostile, di sicuro impreparato.

Ad 8 anni Sania fece suo un torneo statale battendo in finale un’avversaria che aveva il doppio della sua età. Indubbiamente, il livello in patria non poteva essere paragonabile a quello che avrebbe incontrato in campo internazionale. Ma Sania si dimostrò in grado anche di fare il grande salto: nel 2003, a 18 anni, vinse il torneo di doppio junior a Wimbledon e fu questo il presupposto per un’ascesa rapidissima. Nel 2005 disputò a Melbourne il suo primo torneo dello Slam tra le grandi: era la prima donna indiana a farlo e arrivò fino al terzo turno, dove fu battuta da Serena Williams. Nello stesso anno, poi, raggiunse gli ottavi allo US Open. Questo è rimasto il suo risultato migliore nei major in singolare (il best ranking, risalente al 2007 è invece il numero 27), anche perché decise di dedicarsi sempre di più al doppio (fino a farlo a tempo pieno dal 2013), ricavandone grandissime soddisfazioni.

 

Ha infatti conquistato 6 titoli dello Slam, di cui tre in misto, e un totale di 43 tornei nella specialità. Questi traguardi l’hanno portata al primo posto della classifica riservata alle doppiste e nel novero delle migliori interpreti della storia della disciplina. Il suo marchio di fabbrica è sempre stato un dritto potentissimo, unito però all’eleganza dei movimenti e dei colpi al volo. Proprio per questo motivo, la coppia che ha formato insieme a Martina Hingis tra il 2015 e il 2016 (vincendo tre Slam e 14 tornei in totale) è stata una delle più forti e piacevoli da guardare di sempre.

Come ha spiegato lei stessa in uno speciale che Wimbledon le ha dedicato lo scorso anno, però, Sania sentirebbe di aver completato il suo percorso non tanto per le vittorie ma se ci fosse “anche solo una persona che è stata ispirata dalla mia storia”. Parte integrante di questa storia è anche la maternità nel 2018. L’ex numero uno del mondo in doppio ha raccontato che fino a quando non è diventata madre, le chiedevano continuamente quando lo avrebbe fatto: “C’erano giornalisti che mi facevano questa domanda nella conferenza stampa dopo una vittoria Slam, con il trofeo appoggiato sul tavolo. Sembrava che non potessi essere una donna completa fino a quando non fossi diventata madre, a prescindere dai risultati sul campo”. Dopo aver partorito Izhaan, Sania è tornata a giocare anche per dimostrare che famiglia e carriera non si devono escludere a vicenda e quindi, ancora una volta, per ispirare altre donne.

Critiche e minacce non sono ovviamente mancate nella sua carriera e vita privata da donna libera e pronta a tutto per realizzare i suoi obiettivi. Nel 2005 fu oggetto di una fatwa emessa da un gruppo di teorici musulmani che consideravano il suo abbigliamento in campo contrario ai precetti islamici. Nel 2010, invece, fu molto chiacchierato in India il suo matrimonio con il giocatore di cricket pakistano Shoaib Malik. Il partito nazionalista indù di destra, il BJP, chiese a Mirza di “riconsiderare” la sua decisione di sposare un pachistano, mentre nel Paese del marito in molti celebravano queste nozze come una sorta di conquista del Pakistan ai danni dell’India. In realtà era solo un altro momento della vita di Sania in cui le sue personali priorità hanno prevalso sulle convenzioni culturali e sociali. E’ questa l’eredità che ci lascia, all’interno di una cornice fatta di successi tennistici, passanti di dritto e volée vincenti.

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