Roddick membro dell'All England Club: giusto così (Semeraro)

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Roddick membro dell’All England Club: giusto così (Semeraro)

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Roddick membro dell’All England Club: giusto così (Stefano Semeraro, lastampa.it)

Mettendo in campo quella famosa volée alta di rovescio, nella finale di Wimbledon 2009, Andy Roddick sarebbe andato due set a zero avanti contro Roger Federer e chissà, forse, probabilmente, quella partita, la sua terza finale a Chruch Road, l’avrebbe portata a casa. E meritatamente. Invece arrivò un refolo di vento, forse una brezzolina nervosa, e Roger finì per vincere al quinto set il suo 15esimo Slam.

La storia, neppure quella del tennis, si fa con i se e con i ma, un po’ di miele nelle tazze amare però lo si può mettere anche a cose fatte, addolcendo perlomeno i ricordi. Ed è quanto ha fatto, lodevolmente, l’All England Club, che ha deciso di concedere a Roddick, il Paperoga di successo del tennis americano, l’”honorary membership”. Membri del Club che ospita i Championships di solito si diventa solo dopo una vittoria, ma il Committee ha deciso che Andy un posto da socio se lo meritava comunque. Per quelle tre finali raggiunte e perse tutte contro Federer, e per la sua grande sportività. «Credo che per la sua storia in questo torneo e il suo rapporto con il pubblico inglese sia stata una decisione giustificata», ha spiegato Tim Henman, che per spirito tennistico sta a Wimbledon come le 5 del pomeriggio stanno a una tazza di tè. «Gli abbiamo consegnato anche alcuni regali – ha poi aggiunto con un sorrisetto – fra i quali una cravatta del Club, che però è del tutto inutile visto che Andy non sa come annodarsi una cravatta…». Un vero yankee alla corte del tennis, dove Andy ha giocato partite memorabili e rimediato le più cocenti delusioni. «Ma io considero lo stesso la finale del 2009 come il vertice della mia carriera», ha spiegato il ragazzo del Nebraska. Il punto più alto di un’avventura lunga 12 anni che lo ha portato al n.1 del mondo nel 2003 e a vincere anche uno Slam, l’ultimo di un tennista americano, agli Us Open di quell’anno. «Non ho rancori nei confronti di Federer e Nadal, che di Slam ne hanno vinti tanti – ha sempre ribadito Roddick – anche perché per prenderseli non sono sempre dovuti passare da me…». Ironia, autoironia, e tanta nostalgia da parte dei suoi connazionali per un campione che allora sembrava quasi di seconda scelta, arrivato dopo le epopee leggendarie di Sampras e di Agassi, ma la cui eredità nessuno è più riuscito a raccogliere. Da tre anni in campo maschile non ci sono top-10 americani (Roddick si è ritirato nel 2012), il migliore è il gigante John Isner, n.19, fra i primi 100 gli yankee sono appena 5. E soprattutto i giovani più prometteneti, come Sock, Kudla o Ryan Harrison (che giovane non è più nemmeno tanto) sembrano legati a destini minori. Come ha riconosciuto anche Pete Sampras, impegnato in questi giorni in India con la IPTL. «Non vedo davvero nessuno che possa arrivare fra i primi 10 – ha ammesso sconsolato Pistol Pete – purtroppo non siamo più negli anni ’90, quando l’America dominava. Oggi a tennis giocano tutti, è uno sport globalizzato, penso che passerà del tempo prima che noi americani torneremo al vertice. Speriamo si tratti solo di una fase transitoria». Da oggi per consolarsi, se vorrà, potrà andarsi a prendere un tè a Wimbledon con il nuovo socio Roddick, e parlare un po’ dei bei tempi andati.

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