Nadal: "Melbourne sei bella e stregata, risorgerò ancora" (Martucci). Perché Federer è il più amato (Arturi). Del Potro, urlo liberatorio (Semeraro).

Rassegna stampa

Nadal: “Melbourne sei bella e stregata, risorgerò ancora” (Martucci). Perché Federer è il più amato (Arturi). Del Potro, urlo liberatorio (Semeraro).

Pubblicato

il

 

Nadal: “Melbourne sei bella e stregata, risorgerò ancora” (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

Riecco gli Australian Open, Rafa Nadal qual è la prima parola che le viene in mente? «Sfortuna. Anche se, malgrado tutti i problemi che ho avuto, adoro il torneo, ne ho avuti di infortuni… Nel 2006, mi sono fatto male al piede, nel 2007 agli addominali, nel 2010 contro Roddick mi sono dovuto ritirare, come nel 2011, contro David (Ferrer). Nel 2013 non l’ho potuto addirittura giocare. E, l’anno scorso, in finale, ho avuto problemi alla schiena, contro Stan (Wawrinka). Ma per il resto, onestamente, là tutto è fantastico. Ho sentito che i rinnovamenti sul Margaret Court sono stati incredibili. Ogni anno fanno di tutto per migliorare e far star meglio giocatori e appassionati, ed investono ogni volta un po’ di più dell’anno prima».

La sconfitta nella finale dell’anno scorso la motiva di più per quest’anno a Melbourne ? «Io sono sempre super motivato prima di un torneo così. Anche se m’intristisco pensando che gli infortuni mi hanno fermato mentre stavo giocando bene e potevo lottare alla pari con tutti. Accetto le sconfitte fanno parte dello sport ma il modo in cui ho potuto giocare la finale dell’anno scorso non è stato facile. Anche se Stan ha giocato molto bene».

Quali sono i ricordi più belli di Melbourne? «Quando vinci è sempre speciale. E quindi il 2009 resta indimenticabile, semifinale e finale sono state piene di emozioni, e importantissime. Ma la finale del 2012 lo è stato ancor di più, al di là della partita, così serrata e intensa, avevo perso tante volte di fila con Nole, ed invece II, anche se avevo perso, mi riavvicinavo nuovamente a lui. E riprendevo fiducia». La fiducia l’ha ripersa a luglio, a Wimbledon. E’ sempre bello tornare al tennis, mi diverte giocare il mio sport ed apprezzo davvero tutto quello che c’è attorno. Però è difficile ritrovare il ritmo dopo quello stop a metà stagione, perché per me il 2014 è finito a Wimbledon, anche se ho giocato qualche altra partita a Pechino, Shanghai e a Basilea. E’ stato uno stop particolarmente duro, prima della stagione sul cemento americano. Lo accetto: fa parte della mia carriera, cerco di reagire e di essere positivo su queste cose, però, certo, nel momento in cui queste cose succedono, tanto bello non è».

Ogni infortunio, riparte da zero. Come fa? «Più si diventa vecchi e più è difficile, è vero. Lo sanno tutti. Il fisico non reagisce più come a 20 anni. Ma nel mio spirito non è così (…)

Vincere il doppio di Doha ha aiutato? «Una vittoria è una vittoria. Quando si è stati assenti un po’ dal Tour, fa sempre bene vincere. Il doppio m’ha consentito di restare in uno spirito competitivo, positivo. E tutto quello che si vive in partita è buono, soprattutto per i riflessi».

Che miglioramenti ha avvertito? «Onestamente, penso che a Doha ho giocato giocato molto bene. Ho perso un match che non avrei dovuto perdere, con Berrer. Ma la mia sensazione è che non ero tanto mal messo. Ho fatto degli allenamenti con energia positiva».

Magari ripete il miracolo del 2013, quando è tornato addirittura numero 1 del mondo. «Quella era la situazione perfetta: non giocavo sui campi duri, ma sulla terra, e solo nei tornei 250, la situazione ideale per recuperare le mie sensazioni. Oggi la storia è completamente diversa, ed è difficile immaginare che si ripeta».

Quindi, non si concentra più su obiettivi specifici, ma sulla stagione intera? «No, io mi auguro di essere pronto per tutto. Perché se lo sono, ho più possibilità di vincere qualche cosa. Se invece mi focalizzo su pochi obiettivi ho obbligatoriamente meno chances… Se qualcuno racconta, nel tennis, che sarà pronto specificatamente per questo o quel torneo, mente. Il tennis è uno sport a parte. Non è come il ciclismo o l’atletica dove ci si può rassicurare con delle buone sensazioni fisiche. Nel tennis, per essere calmi, bisogna essere a proprio agio sui colpi. E ci sono tanti parametri! Per essere pronti per un obiettivo bisogna giocar bene prima. Certo che voglio essere pronto per il Roland Garros. Ma per riuscirci devo esserlo anche a Indian Wells, Montecarlo, Barcellona, Roma, eccetera. Il mio principale obiettivo è l’allenamento del giorno dopo e il cuore che ci metterò (…)

Insomma, che Rafa sarà agli Australian Open? «Io adoro giocare i tornei dello Slam. Di sicuro, non è l’ideale arrivarci dopo un periodo così lungo senza match e senza fiducia. E non ho ancora il ritmo giusto di tennis e di fisico. Ma sono fiducioso…».

————————————————–

Perché Federer è il più amato (Franco Arturi, Gazzetta dello Sport)

E’ un sentimento comune a tanta gente, al punto da interrogarmi se Federer sia il tennista più amato di tutti i tempi. Attenzione: non ho detto il più forte, su questo versante, molto cautamente, entrerò alla fine. Se parliamo di sentimenti, il margine discrezionale, già amplissimo sul terreno tecnico, diventa enorme. Ma tanto meno si corre il rischio di essere smentiti e quindi resto volentieri sul tema. Federer è intanto la risposta dell’uomo comune: dunque non occorre essere bello come una star di Hollywood e sfoggiare una moglie stile Miss Universo per dominare ed essere invidiati. Può esserlo una tranquilla persona di un piccolo Paese neutrale senza grandissime tradizioni nel mondo della racchetta, con una famigliola come la sua. Federer non ha l’istrionismo luciferino di un Nastase o di un McEnroe, non ha bisogno di nascondersi al mondo come un Sampras o un Edberg, non deve necessariamente «odiare il tennis» come Agassi, può non soffrire su ogni punto come Nadal o Borg.

La sua è un’eleganza non trasgressiva, molto dentro le regole del comportamento: per lo stile (e l’affetto che ne consegue) si richiama più a una Evert o a una Graf o a un Rod Laver che non alle contorsioni e alle problematicità di un Becker o di un Connors. Badate che sto elencando gente di enorme spessore tecnico, campioni che a loro volte hanno avuto e hanno schiere di fan più o meno urlanti. Sì, alla fine credo che le emozioni umane che trasmette Federer, col suo viso un po’ così, siano vibrazioni di una lunghezza d’onda forse mai avvertite sui campi da tennis. E’ il lanciere bianco dal talento smisurato che sa accettare anche il declino forzato. E’ la dignità e la misura sia nelle molte esultanze sia nelle sempre più frequenti dolorose sconfitte, che tendiamo faziosamente ad attribuire più al tempo che passa che non ai suoi avversari (…)

L’impressione ultima è che Federer sia un giocatore universale, capace di prendere a schiaffi chi usa il martello negli scambi ma anche di qualche ricamo alla maniera degli artisti di una volta. Federer è in definitiva una metafora d’immortalità: e non c’è nulla come questa illusione che accenda la fantasia e l’emozione.

—————————————————

Del Potro, urlo liberatorio (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Trecentoventuno giorni con i pensieri lontani egli occhi sintonizzati su una vita che non è più tua. In ospedale per curarti, in palestra per allenarti. E poi sempre 11, sul divano a guardare gli altri che giocano a tennis. E tu no. «II 2014 è stato un anno molto difficile», ammette Juan Martin Del Potro, l’ex n. 4 del mondo, il babau argentino che nel 2009 agli Us Open frantumò il dominio di Federer e Nadal, rientrato in campo a Sydney dopo 10 mesi di stop per l’infortunio al polso sinistro. « E’ stato orribile guardare i tornei in televisione», ha ammesso “Delpo” dopo aver fatto fuori in due set (6-3 7-6) l’ucraino Sergiy Stakhovsky al primo turno del torneo australiano: l’ultimo di cui aveva alzato la coppa, giusto un anno fa. «In questi mesi mi è mancato tutto: la tensione della partita, la sensazione di vincere, i tifosi, i colleghi. Ero lì che guardavo gli altri che giocavano gli Slam, e mi dicevo che era un bene per il tennis che non ci fosse solo uno che dominava Ma al tempo stesso ero triste, perché sapevo che il mio posto era lì, insieme a loro». Accadde a Dubai, a febbraio, durante il match di primo turno contro l’indiano Devvarman: il polso si riempì di aghi, di spilli dolorosi. Un infortunio che si trascinava da due anni, che non voleva sapeme di passare. Che aveva bisogno del chirurgo. Non che sia mai stato un uomo di polso, Juan Martin: già nel 2010 aveva dovuto fermarsi sette mesi e operarsi una prima volta per sistemare l’altra articolazione, la più delicata che ci sia per un tennista. Il punto debole, il particolare fallato nel meccanismo di un predestinato che a 14 anni vinceva l’Orange Bowl (battendo sulla strada della finale anche Marin Cilic) e che a 16 aveva già tutti gli occhi puntati addosso. «Eccolo lì, il futuro number one», ti spiegavano a bordo campo i guru del gioco. Un metro e 98 di altezza, dritto detonante, servizio che non perdona, mobilità da playmaker Quando agli US Open del 2009 fece fuori Nadal in semifinale e Federer in una storica finale in cinque set, sembrava davvero lui l’hombre vertical destinato a far saltare il banco. Il primo sudamericano a prendersi uno Slam dai tempi di Vrlas, e il vecchio Guillermo, tutto vestito di nero sugli spalti del centrale di Flushing quella sera un po’ si commosse e un po’ masticò amaro. Numero 4 del mondo nel 2010, “Palito” non è più riuscito a ripetersi, complici i maledetti infortuni che nel 2014 hanno messo in pericolo la sua carriera (…)

La sua rimane una carriera interrotta, incompiuta, strappata e ricucita: a 27 anni, da n.338 Atp, deve cancellare la paura di aver ormai un grande avvenire dietro le spalle. A partire dagli Australian Open, che fino a qualche settimana fa non era neppure certo di poter giocare. «Il polso mi dà ancora un po’ fastidio, specie sul rovescio, ma è normale», dice. «Con Stakhovsky ho servito bene, il dritto a funzionato, come primo match dopo dieci mesi è stato buono. Sto cercando di colpire più forte, perché è di quello che ho bisogno, comunque ho fiducia di poter tomare a vincere. L’infortunio ormai fa parte del passato, anche se so che il cammino per tomare ad alto livello sarà lungo». Bon viaje, Palito.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement