Mauresmo: "Che fastidio, vengo criticata perché non sono un uomo" (Paglieri)

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Mauresmo: “Che fastidio, vengo criticata perché non sono un uomo” (Paglieri)

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Mauresmo: “Che fastidio, vengo criticata perché non sono un uomo” (Claudio Paglieri, La Stampa)

Ex numero 1 del mondo, vincitrice di due Slam e una Fed Cup grazie al magnifico rovescio a una mano e al gioco di volo, Amélie Mauresmo sta raccogliendo successi anche da coach: dopo avere guidato Marion Bar-toli alla vittoria di Wimbledon 2013, ha appena riportato Murray a una finale Slam. Da capitana della Francia di Fed Cup, proverà a sorprendere l’Italia nel primo turno in programma sabato e domenica a Genova.

Alla radice del nome Amélie ci sono tre significati: perseverante, coraggiosa, vergine dei boschi. Ne scelga uno. «Di certo perseverante».

Ma Amélie ricorda anche améliorer, migliorare. E Marion Bartoli sostiene che lei è una mega-perfezionista. «Non è una bugia. L’idea è cercare sempre di arrivare al massimo del proprio potenziale».

Lei c’è riuscita da giocatrice? «Penso di sì, sono soddisfatta dei miei risultati».

Ma si è ritirata presto, a 30 anni. Nessun rimpianto? «No, assolutamente. Stavo diventando vecchia».

Grazie a lei Andy Murray è “amélioré” nella preparazione fisica, secondo alcuni; nella preparazione mentale, secondo altri; nel dritto e nel servizio, secondo altri ancora. Lei che dice? «Dico che è migliorato un poco in ciascuno di questi aspetti. E così è risalito al livello che gli appartiene».

Se Barazzutti allena una squadra femminile, nessun problema. Ma lei che allena Murray causa critiche. Sedici anni fa disse di essere gay, un coming out che le provocò grandi problemi: ora siamo sempre al punto di partenza? «Non lo so, quello che mi dà fastidio è che mi hanno criticata ancora prima di cominciare. Se fossi stata un uomo avrebbero almeno aspettato i risultati prima di parlare, avrebbero aspettato di vedere se ero brava. Questo è sicuro».

Ora i risultati sono arrivati. «Infatti di critiche non se ne sentono (quasi) più».

Alizé Cornet alla Hopman Cup ha giocato con la scritta Je suis Charlie» sulla borsa. Farete qualcosa anche qui a Genova? «Non ne abbiamo ancora parlato, può darsi».

Dov’era il giorno della strage? Che cosa ha provato? «Ero già in Australia. Sono rimasta scioccata, ovviamente, e mi sono sentita oltraggiata. E poi mi sono stupita per la grande onda di solidarietà, per la manifestazione a Parigi dell’11 gennaio. I francesi hanno dato un segnale forte».

La Francia è ancora il Paese della liberté, égalité, fraternité? «Penso che i francesi si siano posti molte domande. E abbiano reagito nel modo giusto».

Dal suo punto di vista, il problema è più legato alla religione o a un’integrazione mancata? «Non sono religiosa. Ma sinceramente non mi sento abbastanza preparata per rispondere a una domanda così complessa. Preferisco parlare di cose che conosco (…)

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