Per 20 dollari in meno: il giornalismo nei tempi di Binaghi

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Per 20 dollari in meno: il giornalismo nei tempi di Binaghi

La questione dei buoni pasto e il giornalismo ai tempi di internet. Tra federazioni autoreferenziali e testate in crisi perenne, a chi importa come vive un cronista?

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Ha destato un certo stupore una domanda che il nostro direttore ha rivolto, nella conferenza stampa conclusiva del torneo di Roma, al Presidente della Federazione Italiana Tennis, Angelo Binaghi. La domanda riguardava una questione che a molti lettori è sembrata forse inelegante, quando non addirittura “da poveracci”. Questa domanda, legata ad alcuni pezzi soprattutto del Direttore, e ad alcune sottolineature di disfunzioni (i bagni sporchi, le cartacce, la mancanza d’acqua, i posti non assegnati alla stampa del Pietrangeli ecc. il cahier de doleance è davvero lungo) da parte dei nostri inviati a Roma (non ultimo quello di Antonio Garofalo, col suo impietoso 2 alle toilettes del Foro) hanno rilanciato una vecchia questione: Ubitennis è pregiudizialmente contro la Federazione e non sarà mai in grado di riconoscerne i pregi. Lasciando da parte il fatto che Giuliani una volta al giorno ha raccontato quello che di bello c’era al Foro, è forse il caso di mettere il lettore medio in grado di comprendere meglio alcuni aspetti della professione di “raccontatore di tennis” dell’anno di grazia 2015.

1. Cominciamo dall’autocritica: i giornalisti hanno fatto carne da macello del loro lavoro. È una generalizzazione ovviamente e le eccezioni esistono. Ma generalmente parlando la situazione è catastrofica. Se si leggono i quotidiani nazionali con un briciolo di spirito critico ci si accorge di quanto non raccontino nulla, non spieghino mai, siano proni al potere di turno. La situazione non riguarda solo il tennis e non riguarda solo lo sport. Dall’incerta sintassi all’inesistente competenza, dalla limitatissima cultura all’abuso di luoghi comuni, la cattiva televisione è penetrata profondamente nelle redazioni e nelle teste dei giornalisti provocando sconquassi.

2. In questa situazione è scomparsa la selezione. Chiunque abbia voglia di scrivere finisce con lo scrivere. Borges (chi?) diceva che fare della buona letteratura non è poi così complicato. Chissà se lo ripeterebbe anche oggi. Questo significa che anche in questo campo esiste la “selezione avversa”. Se pensi di avere spirito critico, di scrivere decentemente, in genere non fai carriera e devi trovarti un altro lavoro per vivere. Attenzione: uno dei luoghi comuni imperanti è che questo sia uno specifico italiano. Non è così purtroppo.

3. Chi è che vive della propria scrittura? Semplicemente quelli che non disturbano il manovratore. Sia esso il direttore della grande testata o il presidente di federazione. Rientrando nel nostro orticello è sintomatico che la storia dei due mandati o dell’incredibile meccanismo elettorale delle varie federazioni (tennis, ovviamente, compreso) sia del tutto sparita da un qualsiasi dibattito. E così come ci si rifugia nell’astensionismo perché “non è possibile cambiare le cose” allo stesso modo, se si ritiene di avere un minimo di decenza, si lascia fare rifugiandosi nel “tennis”. Le belle partite, Federer, Nadal, il glamour. Non c’è neanche da criticare troppo i “colleghi”: c’è chi ha la fortuna di essere ricco (stupirebbe la citazione) e di scrivere libero e chi ha la fortuna di non volerlo diventare e di prenderlo come un passatempo. Poi ci sono gli altri, appassionati non tanto bravi che devono portare lo stipendio a casa. Siamo solidali, figuriamoci: “colleghi cantautori fate bene ad avere le tasche piene e non solo i coglioni”, se passate la citazione dotta. Ma non crediate sia chissà che lavoro, se fatto così fra l’altro è solo noioso e continuando la citazione non si è mai detto che con gli articoli si fanno le rivoluzioni.

4. In questo deserto, esistono le conferenze stampa fiume. Funziona così, a meno di non avere tempi contingentati dalla televisione. Le conferenze sono semplicemente uno dei momenti di autopromozione, non ha senso dargli troppo peso. Sappiamo tutti che ai lettori interessano le dichiarazioni di Binaghi o di Federer, salvo lamentarsi quando si accorgono che non dicono niente. Ci vuole molta malizia per far “scoprire” qualcuno abituato a leggersi l’indomani sui giornali; molta malizia e poco da perdere, ed è un miracolo quando ci si riesce. Il resto sono, appunto, autopromozioni.

5. Arriviamo ai 20 dollari in meno. Se siete arrivati sin qui avrete capito a chi serve la diaria e a chi no. Siamo contenti quando alcuni pezzi piacciono perché riescono a far vivere ai lettori l’atmosfera del luogo ma ogni volta rischia di essere l’ultima. Ma, onestamente, a chi importa? Seguirete lo stesso il torneo e neanche ve ne ricorderete. Giusto così. Così come è giusto però dire che anche il Roland Garros tratta in questo modo i giornalisti.

6. Al grosso pubblico (o al pubblico tout court) interessa poco tutto questo. Su supertennis siamo ancora a “mi va bene perché vedo il tennis” o – “costa troppo”. Lo scempio invece è quello che molti sottolineano: un po’ Istituto Luce, un po’ fiera strapaesana, competenze prossime allo zero. Può divertire raccontare questo ambiente che gira il mondo rimanendo di un provincialismo che ha persino un suo fascino demodè per cui se uno ha giocato a tennis ah beh allora sì che ne capisce. Come se il saper raccontare fosse una cosa secondaria, come se il mestiere fosse quello, come se ci fosse una qualche riflessione.

7. Uscendo dalle questioni generali, l’impressione è che queste discussioni siano semplicemente grottesche. I “1000” sono come la “Coppa Italia”, nessuno si prepara per vincerli, sono tornei di preparazione, sia che si parli di Indian Wells, che di Shanghai che di Roma o Madrid. Ci vado se si incastrano nella mia preparazione per Parigi, se ho accordi con lo sponsor, se mi serve qualche punto. Se riesco a giocar bene meglio ma anche chi se ne frega. Djokovic preferisce Roma, Federer preferisce Madrid sono sciocchezze. Sono giocatori che hanno altro per la testa, al massimo cercano di capire quanto devono lavorare, come diceva Edberg “cartellino timbrato per oggi”. Solo gli slam contano in questi anni di grazia. Il resto conta per i tifosi e suscita qualche curiosità quando ad un certo punto emerge qualcuno (come Nadal sulla terra, come Djokovic ovunque) che vince sempre.

8. In tutto questo il torneo di Roma vale quello che vale cioè poco, come IW e Miami, come Madrid e Montecarlo, come Shanghai e Bercy. Sono come il circo, le persone vanno a vedere il grande fuoriclasse e sono pronti a dire “ooohhh”. Ma che vincano o perdano cambia poco. Certo, preferiscono vincere ci mancherebbe, ma quello che forse in questo periodo è il più forte (si parla di Murray) ha tranquillamente lasciato perdere. Forse che non l’avrebbe fatto se invece di Roma fosse stata Madrid? Figuriamoci.

9. Quanto sia ridicola la posizione di un satrapo di periferia, ridotto a sproloquiare di “giornalisti importanti” o “di testate che non contano niente” ognuno può rilevarlo da sé. Purtroppo da questo punto di vista il tennis è molto peggio del calcio, perché l’ambiente è estremamente piccolo, decisamente meno colto (vi ricordate che le eccezioni non contano vero?) e politicamente e socialmente del tutto irrilevante. Il che lo pone al riparo da riflettori pericolosi. Una specie di paesello centrafricano al quale le grandi potenze hanno lasciato ampia autonomia sfruttata per perpetuare i gruppi dirigenti (nihil sub sole novum).

10. In tutto questo – anomalia, questa sì, tutta nazionale – Ubitennis cerca di fare un lavoro che sembra persino anacronistico: c’è gente che ha qualcosa da dire e la dice. Alcuni bene, altri male, condividendo o meno tra noi. Al di là di tutto – lo abbiamo detto molte volte – a Ubaldo si possono fare centinaia di critiche (provateci voi a fare gli inviati…) ma un pregio gli deve essere riconosciuto: se noi vogliamo scrivere qualcosa su cui lui non è d’accordo la possiamo scrivere tranquillamente. E capita molto più spesso di quanto non crediate. Se trovassimo un modo, uno qualsiasi, per parlare bene delle Federazione, possiamo pubblicare il pezzo su Ubitennis senza problemi. Forse si sa – spero di non svelare segreti – che tra le varie opinioni su Fognini ad esempio la mia è una di quelle più accondiscendenti. Non è mai esistita una linea contro Fognini, se capita a me di scriverne ne scrivo, se capita a Garofalo (che è un po’ più severo di me) lo scrive e così Giuliani o Vallotto o chi volete voi. Poi va bene, non siamo importanti, e ci accomoderemo volentieri in terza fila, ma intanto abbiamo creato una comunità di cui siamo orgogliosi e che non censura MAi in base ai contenuti e raramente persino in base alla forma.

Mi permetto, in questo pezzo così anomalo, di sottolineare un’ultima cosa: gli articoli che leggete qui – e molti anche di siti nostri concorrenti che vivacchiano come noi – hanno un livello medio di competenza, di ricercatezza, di stile, che i giornalisti di professione (sempre generalizzando eh?) – e non parliamo di quelli che scrivono sui giornali nazionali o in siti istituzionali – si sognano. Questi sono strettamente legati a quei dannati 20 dollari. Per quanto possa interessarvi poco – ci sono ben altri problemi, lo sappiamo persino noi – almeno siatene consapevoli.
L’editoriale di Ubaldo Scanagatta: Il grido di dolore: “Qui non ci stiamo”. La contraddizione: “Vogliamo avere il tetto”

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