Da qui passano i campioni, al via il torneo Avvenire

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Da qui passano i campioni, al via il torneo Avvenire

Un torneo giovanile unico al mondo, severissimo banco di prova per giocatori che diventeranno leggendari. Un appuntamento da non perdere per gli appassionati di tennis

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Riuscite a immaginare un torneo che vanta una terra rossa calpestata dai più grandi di sempre, senza essere uno Slam, né un Master Mille, e nemmeno un 500 o un più modesto 250? E se questo torneo fosse a Milano, città “abbandonata” dal circuito Atp dal lontano 2006? Qui, un certo Federer vi ha partecipato senza nemmeno riuscire a superare le fasi eliminatorie. Sembra fantatennis, ma è tutto vero. Il Torneo Avvenire, che l’anno scorso ha messo il timbro sull’edizione del mezzo secolo, è secondo solo all’Orange Bowl di Miami in quanto a prestigio nella categoria under 16. Pochi tornei giovanili possono dire di aver sfornato tanti campioni come questo, che resta il fiore all’occhiello della Milano tennistica, insieme con il Torneo Bonfiglio.

A partire da sabato 6 giugno, fino al 13, sui 13 campi in terra rossa del Tennis Club Ambrosiano, si sfideranno le migliori giovani racchette del mondo nei quattro tabelloni di singolare e doppio maschile e femminile. Tra le novità della 51esima edizione, ci sono un villaggio ospitalità con forte presenza di sponsor e un match serale, non prima delle 20, da seguire, perché no, cenando sulla caratteristica terrazza del Club.

Se però decideste di tornare in questo luogo sacro e magico della racchetta a luci spente, quando le tribune sul centrale ancora devono essere allestite, oppure sono già state smantellate; quando il parcheggio si svuota delle auto con targhe internazionali e torna alla sua funzione originaria, dopo essere stato un villaggio con sponsor, tabelloni, gadget in regalo e un via vai incessante di milanesi; ebbene, se provate a fare due passi per il Tennis Club Ambrosiano in un qualsiasi momento dell’anno che non sia la seconda settimana di giugno, dovete essere preparati all’idea di fare un salto indietro nel tempo.

Salendo i gradini della terrazza della club house che si affaccia sul centrale, dove durante il torneo gli spettatori sgomitano per un posto all’ombra dei tendoni, vi immergerete in un’atmosfera del tutto diversa. Qualche socio che gioca a carte ai tavolini, i divanetti dove si rilassavano gli atleti prima dei match vuoti, il bar semideserto, un assordante silenzio. Alle pareti, le immagini sbiadite dal tempo dei giovanissimi Panatta, Borg,
Edberg, Del Potro e compagnia a fissarvi dalle pareti, come a ricordarvi che in un’altra dimensione, in un altro tempo e in un altro spazio, questo posto si trasforma e brilla di luce propria. Pare di essere tornati agli anni della Milano da bere, che tennisticamente parlando si nutriva ancora dei successi di Panatta, Barazzutti e Bertolucci (i primi due, manco a dirlo, passati da qui negli anni Sessanta). O meglio, in un museo dedicato a quel periodo.

Ma ancora più forte può essere l’impatto nel caso in cui vi venga l’intrigante idea di portare la vostra profana racchetta nel tempio degli dei (adolescenti) del tennis. Ignorando, a parte pochi fortunatissimi, la quota associativa di 1850 euro e approfittando del fatto che il club da qualche anno ha aperto le sue porte anche agli esterni, con una maggiorazione sulla tariffa potrete usufruire di uno dei due campi dedicati ai “non soci”. Percorrendo i vialetti immersi nel verde, lontano ma vicinissimo ai rumori della città, avrete la possibilità di guardare (e non toccare) i campi dove i soci, per lo più over 50, cedono il posto soltanto ai giovani campioni dell’Avvenire, non certo ai comuni mortali. Certo, giocherete su un campo tutt’altro che in perfette condizioni, ma vuoi mettere la sensazione di respirare la storia?

Insomma, in quanto a fascino ce n’è per tutti i gusti. Dalla possibilità di guardarsi qualche scambio seduti accanto ai familiari di campioncini che tra qualche anno potreste rivedere in una finale Slam, al trovarvi nel punto esatto in cui i vostri idoli di sempre hanno sudato, sbraitato e vissuto le prime sensazioni da veri tennisti, assistiti da mamma e papà.

Era il 1997 quando un 15enne svizzero capriccioso e indisciplinato non raggiunse nemmeno gli ottavi di finale. Aveva un buon dritto, ma poca testa, quel Roger. Cinque anni dopo, ai quarti di finale, finì prematuramente la corsa di un serbo di belle speranze di nome Novak, che dovette lasciare spazio a un francese di colore dalla faccia imbronciata. Il francesino vinse il torneo, ma i commenti sulla terrazza non gli lasciavano scampo: “È troppo magro per sfondare, ormai il tennis di oggi è soprattutto fisico”. Si chiamava Gael, vi dice qualcosa?

 

Luca Battocchio

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