Wimbledon is coming: i tiebreak di Roddick e la straordinaria storia di Novotna

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Wimbledon is coming: i tiebreak di Roddick e la straordinaria storia di Novotna

Wimbledon è in arrivo. Quest’anno l’attesa è un po’ più lunga, considerata la settimana extra introdotta in calendario nel passaggio fra la terra battuta e il verde dei prati. In attesa che cominci il più atteso torneo dell’anno, riproponiamo una serie di storie che ci aiuteranno ad entrare nel clima dei Championships

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Andy Roddick a Wimbledon 2010
 

I tiebreak di Andy Roddick
Andrew Stephen Roddick non era tanto convinto di voler giocare a tennis. Aveva un vago ricordo di quando, a 8 anni, si era intrufolato nella Players’ Lounge dello US Open e trovatosi di fronte un allampanato greco con gli occhi a mandorla lo sfidò ai videogame battendolo.Se questo è il migliore di questo sport, tanto vale che faccia altro” forse avrà pensato dopo aver rivisto il greco travolgere uno dopo l’altro gente come Lendl, McEnroe e quel bizzarro capellone con le mèches. I risultati di Andrew, con la racchetta, erano un peggiori di quelli con i videogame, ma il suo allenatore gli disse “dai, proviamo qualche altro mese“. Le cose non migliorano, ma il buon Andrew ritrova Pete Sampras a Miami e lo batte. Forse è il caso di continuare.

A Wimbledon capita per la prima volta nel 2001. Guarda quelle storie che si intrecciano con deciso stupore; sembra lui l’inglese, in mezzo ad una serie di vocianti personaggi che delirano prima per un oxfordiano, figurarsi, e poi per l’inverosimile storia di una wild-card che finisce per vincere il torneo. Roba da romanzi. Che poi lui la wildcard l’aveva anche incrociata, giusto per perderci con un solo break di differenza. Tutto qui? A Basilea incontra un altro tipo con le méches – avrà pensato ad una mania – ci perde, ma è più giovane di un anno, logico che sia avanti l’altro. A Wimbledon ci torna per perdere contro Rusedski, però cresce, il dritto di Andy adesso fa paura e la battuta è terrificante. Peccato per quel rovescio che proprio non riesce a controllare. Ma, forse complice un momentaneo appannamento dei migliori, l’anno dopo comincia la storia di Andy Roddick con Wimbledon. Ha appena vinto il Queen’s Andy, ed è la quinta testa di serie. Nessuno riesce a strappargli il servizio, vola in semifinale perdendo un solo set. Lì incontra quello con le mèches, ha una coda di cavallo adesso. Lo riempie di aces, ma quell’altro non fa una piega, li restituisce il game successivo. Gli tira dei dritti buoni per abbattere un bue e gli tornano indietro, senza che l’altro neanche sudi. Lo guarda con ammirazione, perché ad un certo punto Andy si stufa. L’altro no, continua a tirare aces e bordate di dritto e ad aggredire.

L’anno dopo stessa storia. Roddick arriva in finale lasciando un solo set per strada. Vince tutti i tiebreak che gioca. Tutti. Stavolta il ragazzo col codino perde il primo set. Riesce a pareggiare il conto ma il terzo va al tie break. È fatta. Come no, quell’altro gli lascia solo 3 punti, e non si fa più vedere. Non c’è ancora Wawrinka ma c’era già Beckett: fallirò meglio.  L’anno successivo eccoci ancora qui. Roddick è ancora la testa di serie numero 2. L’arrivo in finale stavolta è con qualche patema, persino Bracciali – un altro di cui varrebbe la pena raccontare qualcosa – gli strappa due set. Dall’altra parte sempre quello, stavolta senza codino. Si lotta solo nel secondo set, e al tiebreak stavolta i punti ceduti sono soltanto due. “Non riesco neanche ad avercela con lui, è assurdo come giochi bene“. Si rassegna, comincia il declino mentre l’altro vola, prende Slam, a Wimbledon si mette la giacca. Ha i guai suoi, ma Roddick sbuffa e lotta, il dritto non è più così terrificante, la battuta imparano a leggerla. Nel 2008 esce addirittura a secondo turno.

Ma nel 2009.. ah! quel 2009. Quello con la giacca e senza coda è sempre di fronte a lui, ma stavolta è un uomo maturo che lo affronta. Vince il primo e poi – indovinato? – c’è il tiebreak.Stavolta sono maturo” 6 a 2 e servizio. Tira un dritto spaventoso ma l’altro, il maledetto, mette solo la racchetta e la rimanda da quell’altra parte. Mette due prime. 6 a 5. Ma tocca di nuovo a Roddick servire. La prima è lunga ma la seconda è profonda; può attaccare col dritto, l’altro manda di là un passante alto, troppo alto, deve solo chiudere la volée, ne avrà fatte di miliardi di così semplici. Sapete com’è andata. Al terzo c’è ancora il tiebreak, senza pathos stavolta. Il cocciuto non si arrende; no, ancora una volta no. Vince il quarto, non perde mai il servizio. Mai. E in quel dannato quinto set non c’è tiebreak. Trentesimo game. Stecco il dritto, mando la racchetta sulla sedia, abbraccio quel maledetto che ho di fronte. Niente lieto fine, ma è stato bello lo stesso, anche se quello pensa che sia la stessa cosa perdere al quinto dopo aver vinto mille volte o perdere al quinto dopo non aver vinto mai. Ma è solo un giocatore di tennis, non ci si aspetta che capisca. Si può vincere in tanti modi, quello di Roddick non è stato certo il peggiore. So long Andrew Stephen, c’è ancora tanto da fare.

La straordinaria storia di Jana Novotna
La finale femminile degli open australiani del 1991 sembrava una partita come tante altre. La vincitrice, Monica Seles, aveva dovuto recuperare un set ad una ragazzona ceca che attaccandola da tutte le parti l’aveva destabilizzata per un’ora buona, fino al 3 pari del secondo set. Qui la “belvetta” (copyright Lea Pericoli) ritrovava la pesantezza dei colpi e la bionda venuta da Brno doveva arrendersi abbastanza rapidamente. Niente di eccezionale. Qualche mese dopo, a Parigi, la ragazza ceca arriva fino ai quarti di finale, al cospetto di Gabriela Sabatini. La bionda gioca sempre meglio, fa suo il primo set e con una serie di attacchi su dei rovesci incrociati conduce all’avvilimento l’argentina, che sembra sul punto di mollare la partita. In un amen infatti la Sabatini è sotto di un set e 5 a 2 “pesante” nel secondo, contro una che non aveva concesso moltissimo al servizio. La ragazza ceca va a servire due volte per il match, ma non chiude e si ritrova sul 5 pari. Qui la Sabatini viene di nuovo brekkata dando la terza opportunità alla rivale di chiudere il match con il proprio servizio. Non basta, si va al tiebreak. Neanche due match point sono sufficienti, Gabriela vince il tiebreak per 12 a 10 e dilaga nel terzo, infliggendo un “logico” 60.

Si arriva così al 3 luglio 1993, il giorno della finale femminile del torneo di Wimbledon. Di fronte a Steffi Graf, che da un paio di mesi era stata liberata dal fantasma di Monica Seles in un modo assurdo, troviamo di nuovo la bionda ragazza ceca. La ragazza è in forma smagliante, ha avuto qualche problemino al terzo turno ma è arrivata in finale liquidando prima la solita Sabatini, e poi nientemeno che Martina Navratilova, un monumento che non aveva mai sconfitto e che mai più sconfiggerà. Dall’altra parte Steffi ha dovuto fare i conti con la Capriati e la solita Sanchez che si sono arrese dopo averla costretta a dei tibreak finiti bene.

Sembra la stessa storia contro Jana Novotna, la ragazza che non finisce l’opera. Steffi viene aggredita in ogni momento, il servizio di Jana scivola via sull’erba senza che il dritto della tedesca abbia il tempo di aprirsi per far partire quel terribile colpo che tanto male faceva alla sue povere rivali. Ma nonostante tutto, e nonostante il set point nel tiebreak, finisce come nei quarti e in semi, con la Graf avanti di un set. La Novotna non cambia modo di giocare, anzi, aggredisce ancora di più. La Graf si disunisce, il passante di rovescio – il colpo più insicuro del repertorio – non risponde più, non trova le contromisure. Viene travolta, perde il secondo set per 6 a 1 e si ritrova sotto per 4-1 40/30 con Jana al servizio. Partita finita stavolta. Doppio fallo. Capita. Prima al corpo di Steffi, che risponde come può, una palla qualsiasi su cui si avventa Jana a rete. La volée finisce sul telone. Altra prima, la Graf alza un pallonetto a candela lo smash finisce in rete. Break. Era dall’ottavo game del primo set che la Novotna non perdeva un servizio. La Graf si era salvata dal 6-0 nel secondo e dopo essere andata avanti di un game aveva subito un altro parziale di 4 giochi di fila.

Sul 4 a 2 servizio Graf Jana vola 15/40. Ace. E splendido passante di rovescio che Jana non riesce ad addomesticare. Smash vincente. Dritto lungo. 4 a 3. Il pubblico è impazzito adesso, Jana va 30/15 ma prima subisce una terrificante risposta di dritto e poi commette un altro doppio fallo. Annulla la palla break. Cosa volete che succeda? Doppio fallo, altra palla break. Prima corretta dal nastro. Prima lunga. Seconda larga. Break, 4 pari. La Novotna fa uno solo degli ultimi 9 punti, la Graf vince 64. Si scambiano il bacino a rete, arrivano i duchi di Kent, Jana piange, si avvicina la duchessa, ed è il crollo, le lacrime non si fermano più, piange sulla spalla della duchessa, tutto il pubblico adesso sembra in lacrime, la Graf – non proprio un grande esempio di sensibilità, discutibile la sua esultanza dopo una vittoria raggiunta in questo modo – sembra prima non comprendere bene, poi anche lei si scioglie.

Sembra la fine di una carriera, ma la Novotna mostra un solidità inaspettata, continua a giocare. Non supera le sue paure ma almeno diventa una giocatrice normale, perde quando deve perdere, soprattutto contro la Graf. È Wimbledon il problema, è Wimbledon la maledizione. Nel ’94 si ferma ai quarti contro Martina. Vince il primo set e poi viene travolta da un parziale di 12 game a 1. Nel ’95 a Parigi – ma in un qualsiasi secondo turno – ne combina un’altra. Contro Chanda Rubin perde il primo set al tiebreak e poi va avanti per 5 a 0 al terzo. Sul servizio dell’americana si trova 0-40. Di nuovo qualcosa di misterioso accade, la ceca riesce a perdere quel match per 8 a 6, fallisce, credeteci, 9 match point. Ma si torna a Wimbledon, si torna contro la Graf, stavolta è semifinale. Primo set perfetto, va avanti 7 a 5 ma nessuno scommetterebbe uno scellino. E infatti la tedesca regola la vicenda con un comodo 64 62, non sembra neanche farci tanto caso. Tutto si ripete stancamente anche l’anno successivo, la Novotna con la Graf non vincerà mai più una partita (c’è un’eccezione poco significativa, con ritiro della tedesca).

Si arriva al 1997, chissà forse la Novotna è maturata. Vince – incredibile… – un incontro per 7 a 5 al terzo con Marie Joe Fernandez, è di nuovo in finale, 4 anni dopo quel match con la Graf. Di fronte c’è Martina Hingis, una al cui cospetto la tedesca era un docile cucciolotto. La Novotna come sempre vola in paradiso per tutto il primo set, la ragazzina svizzera sembra frastornata. Ma appunto non è la Graf, prende le misure rapidamente e secondo e terzo set non hanno storia. La premiazione è struggente, non ci sono lacrime stavolta, ma una scena di una tristezza infinita. La Hingis cede il Venus Rosewater Dish ad una stupefatta Jana, che lo prende abbozza un giro di campo, arrivano i fotografi. Il risultato fa venire i brividi ancora oggi, a distanza di 17 anni, l’imbarazzo di tutti è palpabile. Clerici scrive “non vincerà mai più, speriamo di sbagliarmi”.

Ma a Wimbledon, come mille volte hanno dimostrato e come mille volte dimostreranno amano il lieto fine. L’anno successivo Jana supera una giovanissima Venus nei quarti e travolge stavolta la Hingis in semi. Dall’altra parte la Graf non c’è più, la Davenport perde dalla Tauziat che sullo slancio arriva in finale. Basta vederle entrare in campo per capire com’è andata la notte di Jana. La testa di serie numero 3 contro la testa di serie numero 16, il destino ha dato l’ennesima opportunità alla ragazza ceca, come non darla favorita, come non credere che alla fine non ce la farà? E infatti l’inizio è da brividi, con la francese subito avanti 2-0 con palla per il 3-0 e Jana sbagliare come sempre. Ma la differenza stavolta è troppo ampia, la ceca rimonta, vince il primo set per 6 a 4. “Adesso crolla” un pubblico crudele si guarda con l’aria di chi ne ha viste tante, la Novotna va avanti anche nel secondo, viene raggiunta la partita va al tiebreak. La Novotna sale sul 6 a 2, la risposta di dritto chiude il match, ma Jana piangeva da almeno un quarto d’ora. E di nuovo piangono tutti, la duchessa nel Royal Box, la grande Hana Mandlikova, l’allenatrice di questa incredibile ragazza, forse metà pubblico, forse il giudice di sedia. L’abbraccio alla Tauziat è quasi di ringraziamento, la Novotna si produce nella “scalata sugli spalti” aiutata con infinita leggerezza dal servizio d’ordine del centre court. Abbraccia Hana, trova la mamma tra le altre, piangono come se volessero rimanere lì per sempre. Wimbledon ha chiuso un’altra storia.

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