Re Arthur di Wimbledon. Storia di un grande uomo e di una magistrale vittoria

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Re Arthur di Wimbledon. Storia di un grande uomo e di una magistrale vittoria

Riviviamo la storica finale di Wimbledon ’75, vinta a sorpresa da Arthur Ashe su Jimmy Connors, ricordando la vita dentro e fuori dal campo dell’afroamericano, grande campione e grande uomo

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Come on, Connors”, grida un tifoso vedendo Jimmy in gran difficoltà. “I’m trying”, è la risposta rabbiosa del mancino dell’Illinois. Quello che sta succedendo sull’erba del Centre Court ha dell’incredibile. Arthur Ashe, il vecchio campione, mai finalista a Wimbledon all’alba dei trentadue anni, sta dominando il monarca del tennis mondiale, il ventiduenne mancino Jimmy Connors, campione in carica che non ha perso un solo set nel corso del torneo e ha macellato il picchiatore Roscoe Tanner nel turno precedente tirando più forte di lui. La finale dei Championships non avrebbe potuto proporre uno scontro più stridente di personalità, stile di gioco e comportamento.

Arthur Robert Ashe, nero nato a Richmond il 10 luglio 1944, ha vissuto parte della sua giovinezza segnato dalla segregazione razziale imperante negli Stati Uniti del tempo. Ha nove anni quando a Montgomery in Alabama Rosa Parks rifiuta di cedere il suo posto ad un bianco su un pullman e viene arrestata. Ne ha ventuno quando Malcolm X cade colpito da sette proiettili durante un comizio a Manhattan ed è già un campione affermato quando alle 18.01 del 3 aprile 1968 le radio e le televisioni di tutto il mondo diffondono la notizia dell’assassinio di Martin Luther King.

Persa la madre troppo presto, Arthur e il fratello Johnnie, di cinque anni più giovane, vengono allevati dal padre Arthur senior che inculca in loro disciplina e senso del dovere, spingendoli ad eccellere sia nello studio che nello sport. Non nel football americano però e il nomignolo di “Bones” (ossa) affibbiato al giovane Ashe ci fa intuire il perché. Art junior sceglie il tennis e sotto la guida di Ron Charity e Robert Walter Johnson, coach di un’altra afroamericana, la campionessa di Wimbledon 1957  e 1958 Althea Gibson, cresce e si rafforza al punto da impostare la sua tattica di gioco sul Big Game, ovvero il serve and volley.

Johnson plasma anche l’etica e la coscienza civile del giovane allievo insegnandogli l’importanza dello sport e dell’educazione nel percorso di integrazione razziale fra i popoli. Ashe non dimenticherà mai e sarà fino all’ultimo un alfiere convinto di quei valori in ogni sua iniziativa, sia difendendo i colori della sua nazione in Coppa Davis, prima da giocatore e poi da capitano, sia impegnandosi in prima persona contro ogni tipo di discriminazione. Nel 1969 si schiererà per l’esclusione del Sudafrica dell’Apartheid dalla federazione internazionale di tennis ma rifiuterà sempre l’invito degli attivisti più estremi, come Bobby Seale delle Pantere Nere (ricordate Tommie Smith e il suo pugno alzato sul podio dei giochi olimpici del 1968?), a non scendere in campo contro i giocatori di quel paese. Arthur era un uomo di fine intelligenza e non si fece mai manipolare da interessi che non sentiva propri. Nel 1968 vince il primo US Championships dell’era open a Forest Hills e si ripete agli Australian open del 1970. E’ il primo afroamericano ad aggiudicarsi prove dello Slam in campo maschile, imitato dal solo Yannick Noah al Roland Garros 1983.

James Scott “Jimmy” Connors nasce e East Saint Louis, Illinois, otto anni dopo Arthur, il 2 settembre 1952. La madre Gloria lo alleva al gioco e a sedici anni lo affida alle cure del grande Pancho Segura, uno dei più forti giocatori di sempre del circuito professionistico di Jack Kramer. Jimmy è un fighter, un combattente mai domo e mai morto sul rettangolo di gioco. Colpisce la palla con violenza sconosciuta fino ad allora, soprattutto col suo leggendario rovescio a due mani, impattato sempre piatto con un lieve effetto ad uscire.

Sul campo è maleducato e scorretto, grugnisce ad ogni colpo ed è disposto a tutto per aggiudicarsi ogni singolo punto. Chiedete a Corrado Barazzutti, che lo incontrò nella semifinale di Forest Hills 1977. Su un punto contestato Jimmy non esitò a correre verso il segno lasciato dalla pallina sulla terra verde, cancellandolo col piede prima che l’arbitro potesse dare il suo parere. Gli anni lo ammorbidiranno e la capacità di prendersi in giro anche nel pieno di un match serrato ne faranno un idolo delle folle verso il termine di una carriera lunghissima. Il suo ultimo acuto sarà la semifinale raggiunta a 39 anni sul cemento di Flushing Meadows nel 1991. Solo Jim Courier, che avrebbe potuto essere suo figlio, lo fermò alle soglie della finale.
Connors hit the ball so hard you only have to put your raquet out and the ball goes back himself

Jimmy avrebbe dovuto prestare maggiore orecchio alle parole di Ashe prima di quel fatidico 5 luglio 1975. Mentre nessuno era disposto a scommettere un pound sulla sua vittoria contro il giovane leone del circuito, Arthur si allenava serenamente mettendo a punto una tattica luciferina per disinnescare le bombe di Connors. Anche i rapporti personali fra i due non erano al massimo allora. Ashe aveva criticato lo scarso, quasi nullo, attaccamento di Jimmy alla Coppa Davis e per questo scese sul Centre Court il giorno della finale indossando la giacca del team USA. Connors camminava al suo fianco vestito in bianco rosso verde dallo sponsor italiano, la mano sinistra già armata della fedele Wilson T2000 metallica, inventata da René Lacoste, che solo lui era in grado di usare.

Jimbo serve per primo e vince uno dei due soli game portati a casa sui primi quattordici giocati. Nello spazio di un respiro Arthur si aggiudica i primi due set per 6-1 6-1 ed è avanti di un break anche nel terzo set. Connors è furibondo, cerca di spaccare la pallina ad ogni colpo ma la ragnatela di effetti e traiettorie sapientemente proposte dalla Head del suo avversario non gli stanno lasciando scampo. Sembra un uomo nelle sabbie mobili, più si agita e più affonda. Ashe oltre il net sembra monolitico e inattaccabile. Colpisce morbido, profondo e in slice sul colpo forte di Jimmy, il rovescio, mettendolo in crisi perché la palla è senza peso e non rimbalza. Era stato Bill Tilden il primo a proporre la tattica di sorprendere l’avversario giocando sul suo punto di forza, perché quando questi  perde le sue sicurezze “la vittoria è dietro l’angolo. Gioca al centro Arthur, per non aprire angoli alle sassate di Connors e appena lui attacca lo ributta indietro con lob millimetrici e chiude a rete.

Ma un campione è un campione e il giovane mancino dal 2-3 con break del terzo set trova una serie di punti incredibili. Schiumando rabbia recupera lo svantaggio, salva due palle break nell’undicesimo gioco e nel dodicesimo strappa per la prima volta il servizio al suo avversario con tre vincenti di dritto in risposta e un nastro. Il ciclone si scatena e Connors vola tre a zero nel quarto. Sembra finita, Ashe appare provato e Jimmy è al massimo quando improvvisamente perde il servizio nel quinto game rimettendo tutto in discussione. Arthur recupera forza e convinzione, Connors è incredulo e  quando serve sul quattro pari è in piena confusione. Lascia una palla che accarezza la riga, viene passato da un rovescio magistralmente mascherato e affossa in rete un facile dritto a campo aperto. La risposta nei piedi che dà a Ashe il break  suona come una campana a morto per le sue ambizioni di vittoria. Il decimo game è una passerella trionfale e la volée che conclude la contesa sancisce una delle maggiori sorprese della storia del tennis. Ed anche una delle rare volte in cui i bookmakers inglesi hanno fallito il loro pronostico. Prima della finale la vittoria di Ashe era data quattro a uno…

Nel 1979 Arthur farà in tempo ad arrivare ad un punto dalla conquista del Masters al Madison Square Garden contro il diciannovenne McEnroe prima di lasciare la carriera agonistica a causa di un infarto. In seguito alle trasfusioni subite per un secondo attacco di cuore contrasse il virus HIV nel 1988. L’umanità e il suo amore per il prossimo ne fecero uno dei principali testimonial contro la diffusione dell’AIDS e due mesi prima di morire, il 6 Febbraio 1993, fonderà l’Arthur Ashe Institute for Urban Health, per promuovere le cure delle persone sprovviste di assicurazione medica.

Nel 1997 la federazione statunitense intitolerà a lui il nuovo centrale di Flushing Meadows e la città di Richmond erigerà un monumento  in suo onore, una statua nella quale Arthur, circondato da bambini, stringe nella sinistra una racchetta e nella destra due libri per eternare l’importanza eguale dello sport, della cultura e dell’educazione. Così come il padre gli aveva insegnato.

A. Ashe b. J. S. Connors 6-1 6-1 5-7 6-4

Raffaello Esposito

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