Murray, giorno da leone Djokovic deve inchinarsi (Crivelli), Bella Belinda la predestinata (Semeraro), Mcenroe e i suoi eredi se in campo va l'eccesso (Clerici), Dal fair play al cafone, la nobiltà perduta del tennis (Sisti)

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Murray, giorno da leone Djokovic deve inchinarsi (Crivelli), Bella Belinda la predestinata (Semeraro), Mcenroe e i suoi eredi se in campo va l’eccesso (Clerici), Dal fair play al cafone, la nobiltà perduta del tennis (Sisti)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Murray, giorno da leone Djokovic deve inchinarsi

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 17.08.2015

 

Dopo la vittoria a Wimbledon, Novak Djokovic aveva magnificato gli effetti della paternità sui suoi risultati, consigliando vivamente ai colleghi di sposarsi e procreare. Andy Murray, cosa, lo ha preso alla lettera: tornato in campo dopo il torneo di casa e la vittoria in Davis contro la Francia lo scozzese, che nel frattempo ha appreso dello stato interessante della moglie Kim (bebé atteso per febbraio), vince a Montreal 1’11 Masters 1000 in carriera, interrompendo nel contempo una striscia negativa di 8 sconfitte consecutive contro il serbo, che non batteva dalla storica e straordinaria finale dei Championship 2013. Un successo maturato dopo una battaglia di tre ore, con i momenti decisivi a inizio terzo set, quando Andy (da oggi numero due del mondo) reagisce alla grande dopo la sconfitta nel secondo parziale con un break d’acchito, poi nel quinto game, durato 18 minuti, in cui Nole ha l’occasione di rientrare una prima volta nel match e poi nel nono, quando Murray si ritrova sotto 15-40, recupera, si vede annullare il quarto match point e poi trionfa su un rovescio lungo del numero uno del mondo, che perde la prima partita in stagione in un Masters 1000 ODORE Novak sabato è stato protagonista di una gustosa polemica alla fine del primo set della semifinale contro Jeremy Chardy, quando si è lamentato dell’odore acre che arrivava dalle tribune con il giudice arbitro, chiedendogli di far smettere lo spettatore. Nella conferenza stampa post partita, è poi tornato sull’argomento, sottolineando che l’odore dello spinello lo aveva infastidito anche il giorno prima mentre stava giocando in doppio in- )Lo scozzese vince dopo tre ore: «Come cambiano le cose: un anno fa ero fuori dai 10» ) La svizzera è allenata da mamma Hingis e di Martina ha il gioco elegante sieme a Tipsarevic: «Non potete credere quanto fosse cattivo quell’odore. La cosa non mi è piaciuta affatto. Credo che qualcuno si stia veramente godendo la vita su] campo da tennis». CHE PERCORSO Intanto il Canada tiene a battesimo una stella, Belinda Bencic, che a 18 anni vince il secondo torneo dell’anno e della carriera (il primo a Eastbourne a giugno) ma al termine di una settimana con numeri e prestazioni da predestinata e futura (a breve) dominatrice. Perché un Premier non si vince per caso, soprattutto dopo un cammino imperiale e imperioso: la svizzera ha battuto via via Bouchard, Wozniacki, Lisicki, Ivanovic, Serena Williams e Halep. E se in finale approfitta del ritiro della romena, sofferente per un colpo di calore, a metà del terzo set, e comunque dopo aver servito per il match sul 5-4 del secondo, è stato il successo in semifinale contro la numero 1 a dare in pieno il senso del valore della ragazza di Flatwil. Per dire: l’ultima teenager a battere sul campo Serena fu Maria Sharapova al Masters del 2004. Quest’anno, la Williams aveva perso, in partita, solo contro la Kvitova a Madrid. Ma è stato il modo, a impressionare, perché Belinda, dopo un primo set in cui l’aveva vista poco, è riuscita a mettere pressione all’avversaria, a costringerla a giocare al limite in un periodo della stagione in cui, con l’ovvio pensiero al Grande Slam, non è ancora reattiva come lo è stata fino a Wimbledon, è passata oltre il pensiero negativo di un set point fallito sul 5-3 del secondo con un doppio fallo e poi ha maneggiato e gestito senza paura la rimonta di Serena, belva ferita, da 5-1 a 5-4 nel terzo. Insomma, una fuoriclasse in pectore, che presto si ritroverà sicuramente tra le prime 5 del mondo (ora è numero 20, salirà al 12) come aveva pronosticato già due anni fa la Hingis, un’altra svizzera che ha lasciato qualche traccia nei libri di storia del tennis. L’EREDE Del resto, il paragone con Martina accompagna Belinda in pratica dall’asilo, e non solo perché i genitori emigrarono dall’allora Cecoslovacchia (sono slovacchi) nel 1968, come quelli della ex numero uno. Nel 2008, quando la Bencic aveva 11 anni, una troupe della tv elvetica si spinse fino a Wollerau, sul lago di Zurigo, per fare una reportage su quella ragazzina certamente promettente. ma il servizio si giustificava soprattutto perché l’allenava Melanie Molitor. Proprio così: per almeno un decennio, la rising star del circuito è stata seguita a tempo pieno dalla mamma della Hingis, che coadiuvava papà Ivan, suo coach fin dall’età di quattro anni e oggi le dedica un paio di mesi all’anno . E della vincitrice di cinque Slam la Bencic possiede la grazia e lo stile, con quel gioco tutto d’anticipo e molto pensato che contrasta con le bombardiere odierne tutte corri e tira. ….

 

Bella Belinda la predestinata

 

Stefano Semeraro, il Corriere dello Sport del 17.08.2015

 

La mamma della Hingis iniziò a seguirla quando era all’asilo, oggi sarà numero 12 Ha vinto Toronto dopo aver inflitto il secondo ko della stagione a Serena Williams di Stefano Semeraro la vittoria contro Serena Williams nelle semifinali di Toronto l’ha spedita in orbita, quella in finale contro Simona Halep – ritiratasi per problemi fisici nel terzo sete quarta Top 6 battuta in una settimana – ha confermato tutto il suo talento. Ma sulla rampa di lancio Belinda Bencic c’era già da tempo. Con i motori accesi, pronta al decolla Una osservata speciale, oltre che una predestinata, visto che a prenderla in consegna quando era ancora in età da scuola materna è stata Melanie Molitor, la mamma e la maestra di Martina Hingis. Le similitudini fra le due del resto si sprecano: entrambe svizzere di origine slava – Martina nata a Kosice, in Slovacchia, Belinda figlia di due cechi – entrambe ferocemente geometriche nello stile di gioco, più di ragionamento che di sfondamento. Mano calda, mente sottozero. CONFRONTI. «Fare un paragone fra di noi è difficile», prova a nascondersi la bella Belinda, la più giovane tennista E’ la più giovane tra le migliori 100 della Wta. Svizzera di origini slave, e figlia di due cechi nelle prime 10O della classifica mondiale, il cui vero idolo – sorry, MrFederer- è pera Rapa Nadal, ovvero il collega che più volentieri la “sweet eighteen” inviterebbe a cena, e di cui ha divorato la biografia. «Tune e due giochiamo di anticipo, ma le epoche sono troppe diverse. E poi io credo di aver sviluppato una identità di gioco tutta mia». Bencic n.1, insomma, non Hingisn.2, anche se il Molitor touch si è fatto sentire, eccome, nella sua crescita «Melanie è una molto decisa, sa cosa vuole dai suoi allievi e non permette che si esca dalla strada che ha tracciato. Io credo poi di aver ereditato la mentalità da combattente da mio padre Ivan, e il senso dell’organizzazione da mia madre». II parallelo con la Hingis scacciato dalla porta rientra insomma dalla finestra. Tutte e due del resto hanno iniziato a vincere prestissimo, anche se la precocità di Martina è da record assoluto (tre quarti di Slam e n.1 del mondo a 16 anni) mentre quella della 18enne Belinda, che solo quest’anno ha acchiappato il suo primo titolo «Giro il mondo da quando sono bambina, mi piace Irti mancano la mia famiglia e gli amid» Wta a Eastbourne, è meno da morosa e più in tono con un’epoca del tennis in cui perle teenager la vita si è fatta decisamente più dura – e non solo per le limitazioni che la Wta ha voluto introdurre dopo le imprese scioccanti di Jennifer Capriati negli anni 90. Ma che la sua potenzialmente sia stoffa da futura n.1, in pochi ormai lo negano. E molti avevano già iniziato a sospettarlo cinque anni fa. SAN GALLO. Belinda è nata a Flawill, nel cantone di San Gallo, guarda caso proprio nel 1997, l’anno in cui Martina diventava la regina assoluta del tennis. A metterla su un campo da tennis, ad appena 2 anni, è stato papà Ivan, assicuratore fuggito nel 1968 dalla Cecoslovacchia schiacciata dai carri armati sovietici insieme alla moglie (ed ex modella) Dana. A 4 anni era già nelle mani di coach Molitoi a Wollerau, dove tutta la famiglia Bencic si è trasferita quando la baby meraviglia aveva 14 anni. I muri della sua cameretta erano già tappezzati da poster di Martina, con la quale, beata lei, aveva iniziato a palleggiare a 7 anni e con la quale ha anche giocato in doppio. Wollerau fra l’altro è il luogo dove Roger Federer ha appena costruito la sua nuova mega villa: «Ci siamo parlati perla prima volta in Australia – racconta lei – è stato molto gentile. Ma purtroppo non mi ha dato nessun consiglio…». Per due anni Belinda, seguendo le orme di tante baby-campionesse, da Monica Seles a Maria Sharapova, si è anche allenata da Nick Bollettieri, in Florida, finanziata da Marcel Niederer, un ex giocatore di hockey su ghiaccio come il nonno di Belinda (e come papà Ivan), che nel tempo si è trasfomato in suo manager A 15 anni ha debuttato in Fed Cup, a 16 si è presa il Roland Garros e Wimbledon

 

Mcenroe e i suoi eredi se in campo va l’eccesso

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 17.08.2015

 

Con estiva disattenzione i blog pare si stiano moltiplicando i casi di maleducazione nel mondo del tennis che, come quello del golf, era ritenuto ancora un’ attività complementare alle buone maniere, al rispetto degli avversari, del pubblico, e insomma della propria umanità. Dopo le affermazioni di Kyrgios, ribadite in modo ancor più maleducato dal suo fratellino Christos che ha usato il termine Kokk invece di cock – spero non conosciate il significato inglese – ecco Djokovic, sensibilissimo a sapori ed odori, tanto da scriverci sopra un libro, “Serve to win”, che afferma di aver creduto di trovarsi in un cespuglio di canne, durante la semifinale contro il francese Chardy, nel torneo di Montreal. Mi parrebbe il caso di ricordare quel che disse Fiorello, e cioè che, non fosse sommo tennista, il serbo potrebbe essere un grande attore. Lo confermo, e ammetto di seguire, fra tante vane, le conferenze stampa di Noie, sicuro di divertirmi per il suo sense of humour. Per quanto riguarda il profumo di marijuana, ricordo di essermi trovato a disagio, nella mia inesperienza specifica, la volta in cui a Dallas, allora sede di un semi-Master, mi trovai ad entrare in una stanza che l’ignaro direttore dell’Hotel aveva destinato a McEnroe. 11 quale parla poi di coca nella sua biografia, “Non puoi dire sul serio”. Quanto alla coca, mentre ancora qualcuno, alla clinica Vuarnetto di Lugano, ricorda la villeggiatura di un grande campione italiano, non c’è più purtroppo il medico che ricoverò Bjorn Borg all’Ospedale Fatebenefratelli, a Milano, e che mi chiamò alle tre di notte perché, disse «Quel pazzo se ne vuole andare, in condizioni difficili, prima che qualche tuo collega dei tabloid si svegli». L’odore che il sensibilissimo olfatto di Djokovic ha percepito non veleggia dunque da ieri, nei dintorni dei court. Mentre, già che ci siamo, appare innocente l’ubriacatura subito durante l’intervallo, che si usava un tempo, tra il terzo set e il quinto set: un sorso di whisky, inghiottito contro le graminacee, che il povero Crawford, il campione australiano, inghiottì a New York contro Fred Perry nel 1933, precludendosi così il primo Grande Slam della Storia. Altri tempi, altri campioni.

 

Dal fair play al cafone, la nobiltà perduta del tennis

 

Enrico Sisti, la Repubblica del 17.08.2015

 

Il tennis scopre la sua anima cafona. Volano parolacce, insinuazioni, qualche racchetta. Come un ragazzino che prende d’aceto, Nick Kyrgios, australiano di origini greche, attacca Wawrinka parlando di corna direttamente in campo: «La tua ragazza ti tradisce col mio amico Kokkinakis». Una sentenza. Secondo Kyrgios, Donna Vekic sarebbe finita nel letto del suo connazionale. Il fratello di Kyrgios si affretta a peggiorare la situazione, con un più che evidente doppio senso: «A Donna piace il Kokk!». Dopo 10 mila dollari di multa Kyrgios ha chiesto scusa. Intanto Wawrinka gira il mondo col sospetto che qualcosa nella sua vita privata non torni e che comunque ormai siano in troppi a ficcarci il naso. Pettegolezzi e maleducazione. Lo stesso Kokkinakis, poche ore dopo, sempre a Montreal, viene quasi alle mani con l’americano Harrison che gli risponde per le rime prendendo a pretesto i suoi 37 tatuaggi e i 23 orecchini: «Sei solo un bambino, brutto c…ne!». L’arbitro del match, lo svedese Lahyani, forse uno dei migliori e più rispettati giudici di sedia del mondo, con voce visibilmente alterata, è costretto ad ammettere mentre i due stanno ancora litigando: «Non ho mai arbitrato un match di tale livello». Intendeva di così basso livello. È più di una sensazione: ormai c’è troppo rumore sui campi da tennis. Una volta facevano chiasso in pochi, il pubblico era perfetto. Solo Connors poteva permettersi di dire a McEnroe: «Moccioso, ho un figlio della tua età». Urla in campo, spalti agitati, musica a palla: si perde la bussola. Il “grunting” delle tenniste, ma ora anche dei tennisti, è il pretesto agonistico per alzare il volume di ogni altro elemento accessorio, impoverendo così stile e ambienti. Quando in un pomeriggio di 25 anni fa a Wimbledon Peter Ustinov si alzò in piedi per celebrare una partita vinta da Monica Seles, audace sperimentatrice del “grunting”, non poté fare a meno di confessare a un amico: «Che brava, però me la farei sotto a essere l’ospite della stanza accanto a quella in cui Monica passerà la sua prima notte di nozze!». Ma erano casi isolati. Adesso il rumore dei campi sta cambiando il tennis più della potenza e la velocità del gioco.  Gli atleti sono sempre più rumorosi, più isterici, sempre più nemici fra loro, sempre più stanchi. L’Azarenka è perennemente sguaiata con i raccattapalle, sei anni fa Serena avverti la giudice di linea cinoamericana dello Us Open: «Lo sai dove te la metto questa pallina?..». Nalbandian prese a calci un giudice di linea in una finale del Queen’s. Rabbia che acceca? Tossine non smaltite? Accanto ai “nuovi” colpevoli prosperano allenatori che parlano ad alta voce e a sproposito dai loro box (nel tennis maschile non è previsto il ‘coaching” ufficiale). Ad Amburgo Fognini se l’è presa con Toni Nadal, lo zio allenatore di Rafa: «Quello lì rompe sempre i c…ni!». Poi a Rafa: «Ma che vuoi, pure tu, stai sempre a discutere mentre si gioca. Stai zitto una buona volta e se devi parlare col tuo angolo fallo prima!». Per due volte sabato scorso, sia in singolare che in doppio con Tipsarevic, Djokovic si è accorto che qualcuno dietro di lui, tra le prime file, stava consumando marijuana: «Ehi, stai in campana, ha detto all’arbitro Bernardes, «che là in tribuna c’è qualcuno che si sta sballando! Non vorrei sbroccare pure io….». Tutti a ridere. Pubblico calcistico che si fa le canne, parla fra una prima e una seconda, ama disturbare. A Toronto contro la Halep, che ha cori e bandiere assicurati ovunque, la Errani ha perso la pazienza e ha cominciato a scimmiottare i tifosi della rumena imitando, grevemente, la loro “becera” baldanza. Il nuovo tennis, il tennis del silenzio perduto, ha un’anima “coatta”. Chissà, forse adesso per battere il tuo avversario è meglio se gli dai del cornuto.

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