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US Open

Grandstand: il triste addio di un vecchio amico teatro di mille indimenticabili battaglie

Il Grandstand dall'anno prossimo sarà un campo d'allenamento, per poi venire distrutto per far posto al nuovo Louis Armstrong. Ripercorriamo la sua storia ed i grandi match che ha ospitato

Last updated: 08/09/2015 8:55
By Redazione Published 07/09/2015
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11 Min Read

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(da New York, Antonio Volpe Pasini)

Bruttarello anziché no. Un po’ goffo, rumoroso e parecchio scomodo, tanto che poco dopo la sua costruzione il pro americano Kevin Curren disse che i responsabili degli Us Open avrebbero dovuto “sganciargli addosso una bomba atomica”. Ma profondamente amato da tutti. Dai 5.800 tifosi che sui suoi spalti si sentono praticamente a contatto con i giocatori; dai tennisti stessi che da questa “intimità” con i fan traggono energie insospettabili; perfino dai raccattapalle che nei momenti di riposo si radunavano sotto la sua tettoia per riposare guardando gli incontri appollaiati sulle panche di quello che è stato soprannominato il “trespolo dei raccattapalle”.
Dopo cinquant’anni di onorata carriera il Grandstand (fu ribattezzato così nel ’78) del “Billie Jean King Tennis Center” si inchina e se ne va. Al termine di questa edizione infatti il vecchio “campo numero 2” verrà adibito a campo d’allenamento e poi nel 2017 raso al suolo assieme al Louis Armstrong Stadium per far posto ad una nuova struttura.Risorgerà, lucente e moderno, con una capienza di 8.000 posti a un paio di centinaia di metri di distanza, in tempo per l’edizione del 2016 nell’ambito del processo di sviluppo da 500 milioni di dollari sottoscritto dalla USTA. Costruito nel 1964 dalla fabbrica di macchine per cucire Singer in occasione della World’s Fair, divenne ufficialmente il “Grandstand” 14 anni dopo quando il piccolo “Singer Bowl” venne trasformato con la costruzione dell’Armstrong Stadium a sovrastare il lato ovest, scimmiottando un po’ il centrale di Wimbledon. Ora ha fatto il suo tempo e saluta tutti, lasciando però una marea di ricordi e un po’ di magone in chiunque lo abbia “conosciuto”.

“È triste pensare che non ci sarà più – afferma Genie Bouchard – È così “intimo”. Senti la gente proprio lì, talmente vicina da poterti e poterla toccare”.
“Le mie partite sul Grandstand sono sempre andate al terzo set – ricorda Chris Evert – È uno di quei campi dove ti devi concentrare al massimo perché è  molto rumoroso, puoi sentire la gente che entra e che esce. E poi ci sono quelle ombre che tagliano il campo”.
“Quante dure battaglie ho combattuto su quel campo – sospira Pete Sampras – Ricordo che negli anni ’90  c’era un ristorante che lo sovrastava (si chiamava Rackets, ndr) e stagliava un’enorme ombra sul terreno. Ma era proprio un bel campo, raccolto e intimo”.
“Ci ho giocato decine di incontri – racconta Mary Jo Fernandez – tra cui uno con Patty Fendick nel 1994 finito in tre set. Ero avanti 6-4 nel tiebreak del terzo ed ero talmente nervosa che mi sono inventata un ‘serve&volley’. Cosa che non avevo fatto per tutto l’incontro. A rete, dopo il punto, lei mi chiese a cosa diavolo stessi pensando quando l’ho fatto”.
“È un campo bellissimo – sostiene Sam Stosur – È un peccato che lo tolgano. Lì ho giocato tante partite ed è un campo che ti dà delle vibrazioni particolari. Ho tantissimi ricordi legati al Grandstand”.

Già, ricordi. La storia dei match giocati sul cemento del Grandstand è infatti ricchissima di gioie, dolori, lacrime e soprattutto di sfide al limite dell’incredibile. A cominciare dal 1981, quando una 17enne sconosciuta dilettante senza ranking di nome Andrea Leand mandò a casa nel secondo turno la testa di serie numero 2 Andrea Jaeger in 1-6 7-5 6-3. Pochi giorni dopo, Vitas Gerulaitis cacciò fuori al terzo turno nientemeno che Ivan Lendl (che era testa di serie n. 3) in 6-3 6-4 3-6 3-6 6-4. L’anno successivo un altro memorabile incontro con Chip Hooper che ebbe la meglio sul favorito Roscoe Tanner in 6-7 7-6 4-6 7-5 7-6. La sorpresa più grande della storia degli Us Open maturata sul Grandstand è forse però quella del 1983, quando nel terzo turno un sedicenne non ancora diventato professionista di nome Aaron Krickstein rimontò e superò un trasecolato Vitas Gerulaitis dopo essere stato sotto 2 set a 0 e 2-4 nel quinto. Finì con un incredibile 3-6 3-6 6-4 6-3 6-4.

Finale di fuoco nel 1982 nell’incontro tra Tom Gullikson e Matt Anger: a notte fonda Gullikson salva un match point con un dritto lungolinea chiamato buono. Il giudice di sedia però è di opinine diversa e lo giudica out dando la vittoria ad Anger per 3-6 6-4 4-6 6-4 6-4. Urlo terrificante di Tom che si precipita al di là della rete e punta al segno lasciato dalla pallina: era dentro di almeno tre centimetri. L’Occhio di Falco non era ancora nato. Il 1985 fu l’anno in cui una Steffi Graf ancora sedicenne su questo campo mise uno dei primi punti esclamativi alla sua carriera battendo Pam Shriver alla fine di tre tiebreak (prima volta nella storia degli Us Open) per 7-6 (4) 6-7(4) 7-6 (4) in un quarto di finale durato 2 ore e 46 minuti.

Nel 1987 il “campo numero 2” vide invece l’agonia di Boris Becker rimontato da Brad Gilbert nel quarto turno. Finì 2-6 6-7 7-6 7-5 6-1 tra gli urlacci in tedesco di Boris distrutto da fatica e crampi e i “fist pumps” di Brad. Nello stesso anno il campo venne bagnato dalle lacrime di Chris Evert, che vide interrompersi nei quarti la striscia di 16 anni agli Us Open in cui raggiunse almeno la semifinale. La “colpevole” fu Lori McNeil, che per riuscirci andò a rete ben 90 volte chiudendo il match in 3-6 6-2 6-4. Passano dodici mesi ed è un altro 16enne a fare notizia. Si tratta di Michael Chang che si sbarazza inopinatamente di Jonas Svensson (13) in 5-7 6-4 2-6 6-1 6-4. L’anno “d’oro” del Grandstand fu però il 1993, cominciando con la fulminea uscita di scena al secondo turno del campione in carica Stefan Edberg a cui diede il benservito Karel Novacek in 7-6 (3) 6-4 4-6 6-4.

Ancor più incredibile però la rimonta messa a segno nel 1993 dall’australiano Wally Masur contro il connazionale Jamie Morgan. Masur riuscì a recuperare due set di svantaggio, ma poi finì sotto 0-5 nel quinto e il pubblico era già quasi tutto sfollato per poi tornare in tutta fretta per vedere Wally vincere 18 degli ultimi 19 punti e alla fine spuntarla in 3-6 4-6 6-3 6-4 7-5. Goran Ivanisevic e Daniel Nestor furono invece i protagonisti del tiebreak più lungo della storia degli Us Open (che eguagliò quello più lungo in assoluto) in un match vinto dal croato per 6-4 7-6 (5) 7-6 (18).

Anche in campo femminile il tiebreak più lungo della storia degli Open si giocò nel Grandstand. Fu quello nel quarto turno del 2011 superato da Sam Stosur in 6-2 6-7 (15) 6-3 a spese di Maria Kirilenko. Nel turno precedente, sullo stesso campo la Stosur aveva disputato il match più lungo della storia degli Open, prima di quest’anno, battendo Nadia Petrova 7-6 (5) 6-7 (5) 7-5 in 3 ore e 16 minuti. Anche Andy Murray ha lasciato un “ricordo” sul cemento del Grandstand. Accadde nel 2005 contro Andrei Pavel, ed era il suo primo incontro in assoluto agli Us Open. In vantaggio per 2-1 e avanti di un break nel quinto set, lo scozzese si sentì male e vomitò talmente forte che la partita si fermò per 21 minuti per permettere agli addetti di ripulire il campo. Alla fine Murray passò il turno vincendo in 6-3 3-6 3-6 6-1 6-4.

Tra gli italiani, il match più emozionante ed equilibrato lo disputò Andrea Pozzi contro Marat Safin nel 2000 e vinto in cinque set dal russo per 6-3 3-6 6-3 3-6 6-4. Per quanto riguarda le azzurre invece, da segnalare la sconfitta per 6-4 6-0 di Roberta Vinci nel 2011 contro Andrea Petkovic e la sua vittoria 6-4 6-3 due anni dopo nel derby del terzo turno contro Karin Knapp. Nel Grandstand fu anche disputata una semifinale femminile, quella del 2011 vinta da Samantha Stosur contro Angelique Kerber in 6-2 2-6 6-2. Quest’anno, infine, l’ultimo emozionante atto con la calata di un doppio sipario: quello sul vecchio amico Grandstand e quello sulla carriera dell’australiano Lleyton Hewitt, che nel secondo turno ha salutato la compagnia dopo la sconfitta per 6-3 6-2 3-6 5-7 7-5 contro il connazionale Bernard Tomic (24).

Insomma, sono stati cinquant’anni ricchissimi di emozioni e grande tennis. Addio caro Grandstand, peccato solo che tu non possa scrivere una bellissima lettera di commiato ai tuoi tifosi, che sono tantissimi, come ha fatto pochi giorni fa Mardy Fish (chi non l’avesse letta…dovrebbe farlo! E’ una lettera bellissima)


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