Ivan Lendl aiuterà l’USTA a formare i futuri campioni

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Ivan Lendl aiuterà l’USTA a formare i futuri campioni

Martin Blackman, direttore dello sviluppo dell’USTA, ha pensato all’ex campione di origine cecoslovacca per risollevare le sorti del tennis americano sprofondato in una profonda crisi di risultati. Dall’anno prossimo Ivan Lendl si occuperà quindi di un gruppo di giovani talenti

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C’era una volta l’America. E stavolta il maestro Sergio Leone non c’entra. Oggigiorno a non esserci più è l’America cannibale che per un trentennio, diciamo da Jimmy Connors in poi, ha caratterizzato a suon di titoli, record e copertine il tennis mondiale. Ciò, grazie ad una successione senza soluzione di continuità di campionissimi capaci a più riprese di vincere titoli Slam e di appropriarsi della comoda poltrona di numero uno. Nella più classica delle applicazioni del “morto un papa se ne fa un altro”, ecco che la dinastia a stelle e strisce – tra il 1974 ed il 2003 – ha saputo issare in vetta, uno dietro l’altro, personaggi del calibro di Connors, McEnroe, Courier, Sampras, Agassi e Roddick per un totale di 896 settimane di dominio. Insomma, la “Stars and Stripes Old Glory” è rimasta appiccicata al nome del numero uno del ranking mondiale per più della metà di quei ventinove anni. Quando la generazione forse irripetibile dei ragazzi nati nel biennio d’oro 1970-1972 ha definitivamente appeso la racchetta al chiodo – l’ultimo a deporre le armi è stato Andre Agassi nel 2006 – l’effetto sul movimento tennistico d’oltreoceano è stato analogo al vuoto di potere che genera sulla società l’implosione di una lunga dittatura. E da allora a vincere sono sempre stati gli altri, se si eccettua il successo isolato di Andy Roddick a New York vecchio ormai una dozzina d’anni. La speranza dell’opinione pubblica americana di riabbracciare un top player capace di rispolverare i fasti del passato e via via riposta sui vari John Isner, Sam Querrey, Donald Young, Ryan Harrison, Jack Sock e Steve Johnson, è sempre inesorabilmente naufragata. Questione di promesse non mantenute, vedi Harrison, o di avversari semplicemente più forti, come nel caso del sempre ottimo Isner. Del resto se uno statunitense non raggiunge i quarti di finale in un major dal 2011 qualcosa vorrà pur dire. A risollevare parzialmente il morale della USTA, in questo 2015 ormai passato in archivio, ci ha pensato una banda di ragazzini terribili capace di vincere a livello juniores tre delle quattro prove Slam di stagione: Reilly Opelka, Tommy Paul e Taylor Fritz i nomi. Presto per dire se la loro sarà vera gloria, quel che è sicuro è che ne risentiremo parlare.

Nel frattempo, in questi tempi di vacche magre, non si può certo dire che la federazione americana se ne sia stata lì con le mani in mano nell’attesa della fortuita venuta del messia. La sete di vittorie, acuita ogni anno di più, ha portato un rimescolamento di carte e idee ai vertici della piramide, così Patrick McEnroe, non più tardi di questa primavera, ha ceduto il ruolo di direttore dello sviluppo a Martin Blackman, ex n.158 ATP, il quale ha stabilito una strategia chiara al fine di individuare e far crescere nuovi talenti. Trattasi della creazione di 22 centri regionali ubicati in zone strategiche della nazione, tutte connesse alle tre scuole di riferimento di Flushing Meadows, Boca Raton e Carson. Un altro aspetto ritenuto prioritario per la formazione dei futuri campioni è l’ingaggio degli ex tennisti professionisti. A tal proposito la USTA prevede di annunciare martedì la collaborazione con Ivan Lendl insieme ad altri due ex giocatori, Mardy Fish e Jill Craybas. Dice a riguardo Blackman: “Quello che stiamo cercando di fare ora è di essere un po’ più sistematici e strategici e di avere tutti i nostri campioni del passato coinvolti e reimpiegati”.

Ivan Lendl è una garanzia. Cecoslovacco di Ostrava ma dal 1992 naturalizzato americano, da giocatore ha vinto 8 titoli Slam (disputando altre 11 finali), 5 Masters e un totale di 94 titoli ATP rimanendo al n.1 per 270 settimane. Dal 2001 eletto nell’International Tennis Hall of Fame. Metodico nella preparazione come pochi altri, Lendl si è dimostrato da subito un vincente anche nella carriera da allenatore. Sotto la sua guida, infatti, Andy Murray dopo quattro finali perse consecutivamente si sblocca nei major riuscendo nell’impresa di vincere prima a New York (2012) e poi ai Championships (2013), 77 anni dopo l’ultimo britannico. Sull’ipotesi di tornare ad allenare un professionista affermato, Lendl – che ha interrotto la collaborazione con lo scozzese e recentemente declinato la proposta di Dimitrov –  appare sempre possibilista: “Non so se accadrà, quando accadrà, a quale livello accadrà. Ma se qualcosa arriva io sono sempre disposto a prenderlo in considerazione”. All’interno del programma di sviluppo dell’USTA, lavorerà dunque con circa una mezza dozzina di ragazzi tra i 15 e i 16 anni. Ha infatti accettato di trascorrere per la prossima stagione 50 giorni con il gruppo in un campo di addestramento che ha già avuto inizio alla fine del mese scorso. Con lui anche il fitness trainer Jez Green, già di Andy Murray.

In un’intervista telefonica rilasciata all’Associated Press Lendl ha condiviso le sue impressioni sulla futura esperienza: “Mi piace lavorare con i giocatori più giovani. Possono essere formati e aiutati di più. È divertente guardare come cercano di imparare. Fanno un sacco di domande. Cercano cose diverse. Sono solo desiderosi di migliorare”. E ancora: “Si chiede loro come pensano che giocheranno in futuro, che tipo di stile avranno, e chi sono i loro eroi sono. Valutare e stabilire quali sono i punti deboli. E poi si progetta un programma per lavorare su quelle debolezze. Mi piace molto aiutarli a concordare il modo in cui dovrebbero giocare. A meno che, naturalmente, siamo totalmente d’accordo su come devono giocare”. Infine, conclude sorridendo: “Se un ragazzo che sta per diventare alto due metri mi dice che vuole giocare come Rafa (Nadal, ndr) avremo maggiori discussioni”.

Matteo Parini

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