I grandi articoli del passato: Roger Federer, il figlio di Crono

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I grandi articoli del passato: Roger Federer, il figlio di Crono

Per festeggiare l’anno che finisce abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori vecchi e nuovi una strenna natalizia: l’articolo a cui sono più affezionati. Daniele Vallotto ha scelto il suo profilo di Roger Federer, scritto subito dopo la sconfitta dello svizzero a Wimbledon 2014

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Ha perso un match che non ha mai dato l’impressione di poter vincere ma che è stato equilibrato fino all’ultimo quindici. Roger Federer ha dimostrato ancora una volta di essere un campione al di fuori del tempo

Ha battuto il Tempo ancora una volta, Roger Federer. Il risultato di domenica, una sconfitta al quinto che brucia poco meno di quella di sei anni fa, è poco influente perché la statura leggendaria di questo tennista va ormai oltre i numeri, oltre le vittorie, oltre le dolorose sconfitte. E anzi, forse perché sconfitto, l’impresa dello svizzero rifulge ancora di più perché rivela di quale livello fosse la difficoltà che veniva richiesta al quasi trentatreenne ed illumina di riflesso quella di Djokovic, stoico nel non arrendersi alla frustrazione di una partita dominata dal primo quindici ma che ha anche rischiato di perdere in maniera beffarda. Federer è arrivato in finale quasi da favorito contro un giocatore all’apice della carriera ma poco portato al gioco su erba. Più di qualcuno si era sbilanciato in favore del campione svizzero. Tra le chiacchiere e il trofeo c’era però di mezzo un animale da competizione che contro Federer tira sempre fuori il meglio di sé. Ed è successo anche domenica perché il tennis di Federer è stato inferiore a quello di Djokovic lungo tutto il match. Solo verso la fine del quarto set sembrava che il castello di Djokovic potesse sgretolarsi. Invece, annullata la palla break del 3-3 al quinto, il serbo ha ritrovato una solidità da fondo semplicemente insostenibile per il Federer attuale.

Senza voler suscitare paragoni divini (ché sempre di uomini, fallibili e mortali, si tratta) il Federer sceso in campo per la nona finale di Wimbledon assomigliava a qualcosa di molto vicino all’immortalità. Quell’immortalità che è tale perché ha reciso ogni legame dal tempo. Come Zeus, figlio di Crono, prima sfuggito alla furia infanticida del terribile padre, il titano del Tempo, e poi capace di sovrastarlo, Federer ha vinto ripetutamente contro il nemico di tutti i nemici, il Tempo, per infine dominarlo. Le vittorie, le sconfitte, i disastri e i trionfi di Federer sono tutti condensati in un’unica dimensione senza tempo. Perché per arrivare a giocare una partita come quella lo svizzero ha dovuto sfuggire ancora una volta alla logica che lo vorrebbe ormai inerme di fronte alla gioventù altrui.

La sconfitta contro Novak Djokovic, per certi versi, è simile a quella di inizio 2013 con Andy Murray. Federer rincorse per tutto il match un avversario che gli era superiore eppure Murray fu costretto a giocare una battaglia di nervi che lo vide prevalere solo per 6-2 al quinto. Al contrario di quella partita, domenica Federer ha avuto le sue chance ma ha finito per cedere alla stanchezza mentale e fisica che solo un quinto set di una finale Slam può richiedere. Ha finito per perdere un match che semplicemente non gli apparteneva, anche dopo il primo set vinto con la solita classe al solito tie-break. E durante la premiazione ha finito per far scendere una lacrima che ha racchiuso in una sola goccia tutti i frammenti di una partita difficile da dimenticare. Il Tempo l’ha già resa una partita paradigmatica per quelle che verranno, un riferimento per i tennisti del futuro. Quel futuro che pareva non dover arrivare mai e che invece è finalmente a portata di racchetta per Milos Raonic e Grigor Dimitrov. Per loro, costretti ad emergere in un’epoca di tiranni, è questione di tempo. Venerdì nessuno di loro è riuscito a sovvertire il pronostico. E le loro sconfitte insegnano a non acclamare a gran voce quelli che verranno: una vittoria contro il numero 1 del mondo, tanto per dirne una, è un ottimo indizio per vaticinare grandi successi ma non certo sufficiente a rovesciare le gerarchie. Quelle sono ancora stabili: Novak Djokovic e soprattutto Roger Federer, il figlio di Crono, lo hanno ribadito con forza.

Della finale di Wimbledon resteranno schegge di tempo che si sintetizzano in un solo momento, un momento senza durata, perciò eterno: la consapevolezza che per l’ennesima volta – l’ultima di una serie all’apparenza infinita ma che prima o poi si interromperà – abbiamo visto un uomo scendere su un campo da tennis e sconfiggere di nuovo il Tempo. Poco importa che abbia perso la partita. Quando quella serie finirà, non sarà stato il Tempo a prendersi la rivincita. Sarà piuttosto la serena decisione di un uomo che avrà smesso di chiedere a sé stesso qualcosa in più. Questo è sconfiggere il Tempo.

Daniele Vallotto

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