Robin Söderling e il giorno in cui la terra crollò

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Robin Söderling e il giorno in cui la terra crollò

Fuori dal circuito da diversi anni, Robin Soderling ha dato l’addio ufficiale al tennis giocato. Una carriera fatta di due finali Slam, un 1000 e 10 tornei ma che passerà alla storia per la vittoria su Nadal al Roland Garros 2009

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“Anvedi questi, se so’fatti n’attimo tremila chilometri col loro cappellino per vedè l’amico loro fa un game”. Vaglielo a spiegare al pubblico romano chi è Robin Soderling. Vaglielo a spiegare a quelli che sulle tribune del Foro Italico nel maggio del 2009 deridevano gli svedesi che assistevano al solito menù offerto da Rafa Nadal: 6-1 6-0 al malcapitato svedesone che per la verità ci provava pure.

Ma insomma, come lo batti quello, che ti tira sempre una volta di più una palla di la e corre, corre, corre e alla fine ti spezza? E spezza proprio te, caro Robin, che ti sei permesso di dileggiarlo sul sacro suolo del Centre Court, addirittura di prenderlo in giro per quei suoi smutandamenti eccessivi suscitando l’ilarità generale.

E invece il 31 proprio di quel mese di maggio accadde l’inverosimile, che d’un tratto trasformò l’omone di Tibro da onesto comprimario a idolo indiscusso di generazioni e generazioni di federeriani (e alcuni trai nostri lettori gli hanno dedicato un premio ad imperitura memoria). Già perché dove Roger non era riuscito, riuscì Robin (e poi, roba di giorni nostri, Djokovic ma il mostro non era più lui) spianando la strada proprio allo svizzero nell’unico alloro Slam mancante, inchinandosi in finale se non dopo essersi aggiudicato una pazzesca semi con Mano de Pedra Gonzalez risalendo da 1-4 (e 0-30) nel quinto set.

Quel giorno di fine maggio i suoi diritti anomali non tornavano indietro, il campo pesante dello Chatrier affossò il monarca spagnolo causando una delle più grosse sorprese della storia del tennis, almeno fino all’impresa americana di Robertina Vinci. Che poi l’anno successivo, travolto proprio Federer cui impedì la ventiquattresima semifinale consecutiva nei Major, si consumasse la vendetta di Nadal era nell’ordine naturale delle cose. Certo, due finali a Bois de Boulogne battendo una volta uno e una volta l’altro e rimanendo sempre a mani vuote, ma sempre di storia stiamo parlando.

Una storia di una carriera svoltata con Magnus Norman, che qualche anno dopo una soddisfazione parigina se la sarebbe tolta, passata anche brevemente (ma proficuamente, con tre titoli vinti tra cui il 500 di Rotterdam in pochi mesi) per le mani di Claudio Pistolesi. Le due finali, si è detto, il numero 4 del mondo in un’epoca di fenomeni e dieci titoli, il più importante, guarda un po’, proprio a Parigi versione indoor. Poteva fare di più? Forse si, forse no: non era nè Borg nè Edberg ma, come detto, si è trovato di fronte nelle due finali Slam due tipi particolari, non certo un Safin post-safinettes come capitato al suo connazionale Johansson.
Ci ha provato a rientrare nonostante la mononucleosi (o quello che è) lo tenesse fermo da oltre quattro anni, ma alla fine ha dovuto gettare la spugna, con uno sguardo un po’ malinconico.

Mancherà, certo non era il massimo della simpatia, ma quella sua aria da sbruffone e quel suo riuscire ad ergersi a personaggio in un tennis ormai privo di fantasia non era altro che una maschera dietro la quale si nascondeva un ragazzone timido. Che magari, se avesse dato retta alle passioni giovanili e ai desideri dell’avvocato Bo Soderling (papà) si sarebbe ritrovato a fianco di Ibra in nazionale anziché in giro per il mondo a menare come un fabbro con quel servizio da airone e quel diritto con apertura alare.

Rideranno ancora i romani di qualche attempato svedese in giro per l’Europa assetato di tennis alla ricerca degli eredi di Borg, Wilander e Edberg, ma neanche loro dimenticheranno che il giorno in cui la terra crollò, lo fece sotto i colpi di Robin Soderling.

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