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Robin Soderling, l’assenza come presenza

L'ufficializzazione del ritiro del tennista di Tibro, dopo quattro anni senza disputare incontri, e il ruolo chiave che la sua attesa ha giocato nell'immagine che rimane di lui

Last updated: 02/10/2016 18:55
By Raoul Ruberti Published 27/12/2015
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4 Min Read
Robin Soderling e Rafael Nadal

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Saluta Robin Söderling, che non c’era già più da un pezzo. In una lettera aperta a un sito svedese annuncia che nonostante gli sforzi, e in parte a causa di essi, non riuscirà a tornare ad un livello competitivo. Viene spontaneo pensare a chi non affronterà più.

La sua carriera è inesorabilmente condannata ad essere riassunta in, se non addirittura ridotta a, quello storico match vinto contro il bestiale Nadal del mattone tritato degli anni 2000. Ha fatto altro, è vero, ha anche vinto altro, ma se i detrattori del maiorchino sono arrivati persino a dedicargli un premio – una sorta di fotomontaggio dell’Academy Award – è evidente come, nella testa di molti, Robin Söderling abbia da tempo smesso d’essere un tennista vero e si sia tramutato in qualcosa di diverso. Quando Djokovic ha sconfitto Nadal nell’ultima edizione del Roland Garros, ripetendone per primo l’impresa, ha sconfitto il Rafa presente, umano. Robin Söderling testimonia invece, solitario, la vulnerabilità d’un mito altrimenti invulnerabile, e la brutalità con cui Golia si è affrettato a ristabilire il dominio con il quale veniva identificato ha soltanto contribuito a rendere ancor più immortale l’unico colpo di Davide.

Ha svolto un ruolo determinante in questo processo di simbolizzazione la sua prolungata – e da oggi definitiva – assenza dai campi. Il suo ultimo match è una vittoria in finale contro Ferrer, a Båstad, a casa sua in Svezia; la sua ultima sfida con Nadal è una sconfitta in tre agevoli set, un paio scarso di mesi prima, proprio al Roland Garros. Si tratta del 2011. In assenza di nuovi match giocati, lo spettro di quel preciso tennista capace di quella precisa vittoria è rimasto immutato, mentre mutavano sottilmente gli equilibri del circuito ATP. Quale posto spetterebbe, oggi, ad un Söderling nel pieno della forma? Formerebbe insieme a Wawrinka e al compagno di sfortune Del Potro l’anello mancante tra i fab four e il resto del pianeta? O sarebbe un altro tennista pericoloso su tutte le superfici ma letale su nessuna, incapace di cogliere due settimane di grazia tutte intere e sollevare uno Slam?

Abbiamo a nostra disposizione un numero di dati sufficiente a provare a rispondere ad una domanda altrimenti accarezzata dalla retorica. Esiste un’evoluzione mentale di Söderling, una sua precisa strategia nella scelta dei colpi,  un trend – o meglio l’assenza di un trend – nei suoi risultati. Per alcuni tratti della carriera si è dimostrato formidabile, non solo raggiungendo le prime cinque posizioni ma dando l’impressione di sapere come rimanerci, di essere giunto fin lì non per caso ma come parte di un percorso studiato eppure rimasto incompleto. Potremmo azzardare una proiezione, ma a cosa servirebbe? A nulla. La sua dimensione è ormai un’altra. E lo stesso svedese ci ha anticipati, ingannando gli anni di stop con l’organizzazione di tornei, il lancio di una linea di materiale sportivo, persino la pionieristica creazione di una palla da tennis.

Senza più neppure la speranza di un match d’addio fa piacere sentire, perché è una vera sensazione, che l’ultimo colpo della carriera da professionista di Robin Söderling è stato un vincente di dritto dal centro del campo, al centro di uno degli stadi da tennis più importanti del suo paese. Tra le tante scelte che un fato invadente ha preso al suo posto, questa forse è stata la migliore.


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