Tornei scomparsi: sei uomini e una gamba (zoppa)

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Tornei scomparsi: sei uomini e una gamba (zoppa)

Lunedì comincia uno dei tornei più affascinanti dell’anno. Ma non è stato sempre così, ci furono giorni in cui i primi al mondo preferivano fare altro. Sbagliando

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I sei uomini sono Gerulaitis, Vilas, Teacher, Kriek, Wilander e Edberg. La gamba è quella che, al tempo, Rino Tommasi definì “zoppa” nella sedia del Grande Slam, ovvero gli Australian Open. Sì perché il torneo di Melbourne, dopo aver brillato di luce propria per decenni sfruttando la qualità dei campioni di casa, nella seconda metà degli anni ’70 avverte tutto il peso della lontananza dal tennis che avanza (quello europeo e statunitense) e quindi di una sorta di progressivo isolamento.
Poi c’è il Kooyong. Il prestigioso Lawn Club, sito al 489 di Glenferrie Road, con il suo campo centrale dalle caratteristiche tribune a ferro di cavallo che si appresta a spegnere cinquanta candeline, è il cuore pulsante di una nazione che non si rassegna a vivere di glorie passate e vorrebbe tornare a contare.

Così, nel 1977, la federazione decide di spostare la data del torneo dal mese di gennaio a quello di dicembre. Questo fa sì che gli Australian Open non siano più il major di apertura dello Slam, bensì quello di chiusura. Lo scopo? Diventare un appuntamento irrinunciabile nel caso in cui un giocatore o una giocatrice abbia conquistato i tre titoli precedenti (Francia, Inghilterra e Stati Uniti) e voglia tentare il poker.
In fondo, a ben pensarci, è un nonsenso perché in questo modo le possibilità che ciò accada si riducono notevolmente (infatti succederà una sola volta in nove anni) mentre, ad essere il primo dei quattro tornei, la partecipazione diventa una conditio sine qua non è possibile completare il Grande Slam.
Comunque, per mettere in pratica tutto ciò diviene inevitabile che in quel fatidico ‘77 vengano disputate due edizioni. La prima si svolge dal 3 al 9 gennaio e la vincono Roscoe Tanner e Kerry Reid; la seconda inizia il 19 dicembre e termina l’ultimo giorno dell’anno. A prima vista sembra una scelta epocale, ma in realtà si tratta di un lieve spostamento tanto che fino al 1982 il torneo si concluderà sempre in gennaio.

Ma torniamo a quell’ultimo giorno del 1977 e proviamo a immaginare per un attimo cosa stanno provando i finalisti. Da una parte della rete c’è il numero 1 del seeded, quel Gerulaitis che in luglio è stato a un paio di punti dal battere l’amico Borg nella più bella (o quasi) semifinale di Wimbledon di ogni tempo; dall’altra c’è un inglese biondo ed elegante che si porta sulle spalle strette il peso di un’intera nazione, a secco di major maschili ormai da quasi mezzo secolo. Lui è John Lloyd e ancora non sa che l’anno nuovo lo condurrà dritto dritto tra le braccia di Chris Evert.
I finalisti giocano un tennis classico, più stile che potenza, e il pubblico sugli spalti, deluso dalle cattive performance dei suoi campioni, mostra di gradire. Vytautas Kevin, americano figlio di emigrati lituani, prende un vantaggio di due set ma Lloyd, dietro al bel faccino nasconde l’anima di un guerriero (ne sanno qualcosa Syd Ball e John Newcombe, le sue vittime più illustri nel cammino verso la gloria) e pareggia il conto. La rincorsa sotto il solleone di dicembre finisce però per fiaccarlo e nel quinto set si arrende e consegna Gerulaitis alla gloria eterna. Anche se, sotto il profilo puramente tecnico, avranno più valore per il biondo di Brooklyn le finali perse a New York nel 1979 contro McEnroe e al Roland Garros l’anno seguente contro Borg.

Il secondo uomo è Guillermo Vilas. Beh, ci sono pochi dubbi che l’argentino abbia un particolare feeling con l’erba seminata e cresciuta laddove un tempo c’era un acquitrino ricco di uccelli selvatici e zanzare che gli aborigeni avevano chiamato appunto kooyong, ovvero terra del silenzio. Non senza sorpresa, Vilas aveva fatto suo qui nel 1974 il Masters del GrandPrix. Lui, l’uomo dall’avambraccio sinistro grosso quanto un polpaccio e depositario di un tennis denso di sudore e rotazioni, ha l’ingrato compito di colmare il vuoto lasciato nel cuore degli australiani da Bjorn Borg. Per due volte (e ce ne sarà una terza, ancora più dolorosa) lo svedese incamera mezzo-slam (Parigi-Wimbledon) ma viene respinto sul cemento di Flushing Meadows prima da Connors poi da Tanner (e dalle luci artificiali).
Vilas è l’unica vera star delle edizioni 78/79 degli Australian Open e ha il pregio di far rispettare il pronostico che lo vede favorito entrambi gli anni. Però non sono tutte rose e fiori. Nel 1978 a impensierirlo maggiormente è un altro mancino, il coriaceo Tony Roche, che nei quarti si porta avanti due set a uno prima di crollare; in finale invece John Marks, che non era nemmeno testa di serie ma è pur sempre un “canguro”, si limita a strappargli un set. L’anno dopo, e sempre nei quarti, a tentare il colpaccio nei confronti dell’illustre ospite è Phil Dent (battuto al quinto) anche se il match più duro per Vilas è la semifinale con il gigante buono Victor Amaya, che lo tempesta di servizi. Tuttavia, il Guillermo australiano è irriconoscibile tanto stravolge la sua filosofia tattica e si attacca alla rete. Vilas vince 7-5 3-6 7-6 7-6 e in finale, il 2 gennaio dell’80, conquista il quarto e ultimo slam in carriera a spese dello statunitense John Sadri.

Sempre nello stesso biennio, il singolare femminile tocca il fondo. Nel 1978, Chris O’Neil diventa la prima tennista non testa di serie a conquistare un major (trent’anni dopo Serena Williams le toglierà l’esclusiva). Dodici mesi dopo è di nuovo il caso di fare ricorso alla storia perché Barbara Jordan è la seconda (dopo Margaret Court nel 1960) tennista non compresa tra le prime 4 del seeded ad alzare il trofeo. Sono gli anni bui, ma si vede la luce in fondo al tunnel.

Il terzo uomo è Brian Teacher, ma l’eroe del 1980 è Kim Warwick, che impedisce a Vilas di centrare la quarta finale in altrettante partecipazioni. Mai come quest’anno gli AO sono stati vicino a rinverdire i fasti del passato perché Borg ha messo a segno per la terza volta l’accoppiata Parigi-Wimbledon e nella finale di New York è stato a pochi millimetri (ah, ci fosse stato hawk-eye chissà come sarebbe stata la Storia?) dalla probabile vittoria. Se così fosse stato, il Kooyong si sarebbe vestito a festa per il grande evento anziché dover ripiegare, come al solito, sulle seconde scelte. Detto di Vilas, il n°2 è un cecoslovacco secco come una carruba a cui Pat DuPrè (sì, quello che impedì a Panatta di entrare in semifinale a Wimbledon) annulla un match-point nel secondo turno e lo batte 7-6 al quinto. Poco altro da aggiungere, se non che Warwick ha accumulato dolore alla spalla e stanchezza in egual misura durante il torneo e che il giorno della finale è dovuto scendere in campo anche il mattino per concludere il match con Vilas, interrotto la sera precedente per oscurità. “La spalla mi fa male ma non cerco scuse; probabilmente avrei perso lo stesso” dichiara l’aussie ai giornalisti. Premio fair-play.

Nel 1982, finalmente, si gioca davvero dicembre: dal 2 al 13. Ed è in quei giorni che il nostro quarto uomo, Johan Kriek, mette a segno la doppietta. Lui è nato a Pongola, in Sudafrica, e ha la fortuna di trovarsi davanti in entrambe le finali l’americano Steve Denton, uno che non lo batterà mai in carriera. Kriek diventa cittadino statunitense nell’agosto del 1982 e quindi i suoi slam hanno bandiere diverse. Johan chiuderà la carriera raggiungendo almeno i quarti in tutti gli slam e sarebbe scorretto affermare che il suo nome impoverisce l’albo d’oro degli Australian Open. Tuttavia, è opportuno precisare che l’opera di restauro del torneo non ha ancora fatto vedere frutti concreti. Almeno in campo maschile.
Non mancano le emozioni e arrivano quasi tutte grazie al finalista, uno cioè che se non trascina gli incontri al quinto non è contento. Nel 1981, per arrivare in finale Denton gioca la bellezza di 24 set (solo con Glickstein chiude in quattro) mentre l’anno successivo quarti e semifinali sono altre maratone vittoriose.

Gli altri due uomini vengono dal freddo e sembra impossibile possano trovarsi bene nella calda estate di Melbourne. Gli australiani aspettavano uno svedese e di svedesi ne arrivano addirittura due, suoi “nipotini”. Il 1983 è, per certi versi, l’anno della svolta. Sale la qualità dei partecipanti e con essa il richiamo internazionale che il torneo riesce ad avere. Vince Mats Wilander, non senza sorpresa. È vero che il giovanotto ha stupito il mondo ereditando l’anno prima la corona del Roland Garros dal connazionale Borg, ma è sempre la solita storia dei regolaristi che non dovrebbero trovarsi a loro agio sull’erba.
Chiacchiere. Mats ha un’intelligenza tattica di prim’ordine e sa adattare il suo gioco alla superficie, cosa che invece non riesce affatto a Ivan Lendl, travolto nella prima finale tutta europea nella storia del torneo. Ma il capolavoro Wilander l’ha compiuto in semifinale, regolando in quattro set lo specialista McEnroe, campione di Wimbledon.

Wilander si ripete dodici mesi più tardi ma stavolta le luci della ribalta sono tutte per il torneo femminile. Il 7 dicembre 1984 è infatti il venerdì nero di Martina Navratilova. La naturalizzata statunitense ha giocato le ultime tre finali del torneo ed è campionessa in carica quando affronta in semifinale la cecoslovacca Helena Sukova. Il destino a volte è davvero beffardo. Contro una ex-connazionale (Martina ha abbandonato il suo paese d’origine ormai da nove anni) di appena 19 anni, fresca vincitrice del suo primo titolo in carriera a Brisbane, si interrompe infatti bruscamente la corsa della Navratilova verso il Grande Slam.
Martina viene da qualcosa come 74 vittorie consecutive e si è aggiudicata gli ultimi sei major. Anche se la Federazione Internazionale le ha accordato uno Slam ad honorem (avendo vinto quattro titoli consecutivi), lei vuole quello vero e non può essere certo quella ragazzona ad impensierirla. Ci mancherebbe! L’unico vero ostacolo è l’eterna rivale Chris Evert, che però negli ultimi tempi le prende sempre da Martina. La defending-champion incamera il primo set in un amen (6-1) e nulla fa presagire ciò che avverrà. Helena si scrolla di dosso la paura con qualche risposta micidiale e, un punto dopo l’altro, rosica via piccoli pezzetti di certezza all’ex-connazionale. La Sukova pareggia (6-3) e vola 3-0 nel terzo ma Martina si sveglia e torna nella partita appena in tempo; recupera un break, ne recupera un altro e si porta 5-4. Helena non avverte la pressione di servire per restare nel match e invece è lei a conquistare il break nell’11° game. L’ultimo gioco non finisce mai, con la Sukova che fallisce quattro match-point e Martina che le prova tutte per svegliarsi dall’incubo. Il quinto è quello buono e la Navratilova cade, ma lo fa in piedi. “È dura da digerire ma non ci sono scuse. Ha vinto lei, brava lei”.

L’ultimo uomo è Stefan Edberg. Gli Australian Open si giocano dal 25 novembre all’8 dicembre ma il futuro è dietro la porta. L’anno dopo non ci sarà nessun torneo perché si tornerà a giocare in gennaio del 1987, forse in un altro impianto e quasi sicuramente senza erba sotto i piedi. Del resto la condizione dei prati del Kooyong è pessima nell’estate del 1985 e tutto ciò aiuta la causa di chi vorrebbe che anche Melbourne si allineasse a New York in quanto a superficie. Saranno accontentati ma solo dal 1988.
Intanto c’è tempo per vedere brillare la stella di uno svedese atipico, tutto servizio e volee e rovescio a una mano. Avulso dalla contesa solo in apparenza, dietro i modi garbati Edberg cela un carattere che completa al meglio la sua classe cristallina. Il capolavoro Stefan lo mette a segno in semifinale, battendo 9-7 al quinto set nientemeno che Ivan Lendl, al suo ennesimo tentativo di esorcizzare l’erba. La finale contro il più famoso connazionale Wilander si presenta equilibrata ma Edberg, che finora ha battuto una sola volta su sei Mats, la trasforma in un rapido trionfo. Tredici mesi dopo, nel gennaio del 1987, Stefan si ripeterà e l’anno successivo gli Australian Open si trasferiranno a Flinders Park, sul Rebound Ace.

Ma questa è un’altra storia.

ALBO D’ORO

1977
Vitas Gerulaitis b. John Lloyd 6-3 7-6 5-7 3-6 6-2
Evonne Goolagong b. Helen Gourlay 6-3 6-0

1978
Guillermo Vilas b. John Marks 6-4 6-4 3-6 6-3
Chris O’Neil b. BetsyNagelsen 6-3 7-6

1979
Guillermo Vilas b. John Sadri 7-6 6-3 6-2
Barbara Jordan b. Sharon Walsh 6-3 6-3

1980
Brian Teacher b. Kim Warwick 7-5 7-6 6-2
Hana Mandlikova b. Wendy Turnbull 6-0 7-5

1981
Johan Kriek b. Steve Denton 6-2 7-6 6-7 6-4
Martina Navratilova b. Chris Evert 6-7 6-4 7-5

1982
Johan Kriek b. Steve Denton 6-3 6-3 6-2
Chris Evert b. Martina Navratilova 6-3 2-6 6-3

1983
Mats Wilander b. Ivan Lendl 6-1 6-4 6-4
Martina Navratilova b. Kathy Jordan 6-2 7-5

1984
Mats Wilander b. Kevin Curren 6-7 6-4 7-6 6-2
Chris Evert b. Helena Sukova 6-7 6-1 6-3

1985
Stefan Edberg b. Mats Wilander 6-4 6-3 6-3
Martina Navratilova b. Chris Evert 6-2 4-6 6-2

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