Andy Murray, il campione indomito che ha sfidato tre mostri sacri del tennis

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Andy Murray, il campione indomito che ha sfidato tre mostri sacri del tennis

Sconfitto in sette finali Slam, spesso è accusato di essere un perdente di lusso. Ma lo scozzese ha dovuto vedersela con i migliori Federer, Djokovic e Nadal. E dal 2008 a oggi è rimasto nei primi quattro del ranking per l’82% del tempo

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«Papà, a scuola dicono che eri un perdente».
«Chi lo dice?».
«Un mio compagno».
«E suo papà, che lavoro fa?».
«Il pittore».
«Ah sì? Chiedigli se i suoi quadri deve confrontarli ogni giorno con quelli di Picasso, De Chirico e Dalì».

Al netto della finzione, tra qualche anno questo dialogo potrebbe realmente accadere. Da una parte Andy Murray, dall’altra la figlia che la moglie Kim Sears ha appena dato alla luce. I bulli della scuola ci proveranno, facendo leva sul grande numero di finali Slam perse dal tennista scozzese, dopo quella di Melbourne salito a sette (quattro in meno di Lendl, che fu suo allenatore). Eppure, quei bulli avranno un torto marcio – come accade sempre – ma non solo per la prepotenza nei confronti del compagno; semplicemente perché Andy Murray è e in futuro sarà stato un grande campione.

Se prendiamo in mano la sua carriera, Muzza ha poco da recriminare. Spesso nei commenti dei nostri lettori, piuttosto che al bar, si azzardano discorsi sul fatto che Federer abbia dovuto incrociare Nadal nel suo momento migliore e Djokovic una volta trasformatosi in “cannibale”; oppure sullo stesso Nole, che per elevarsi a un simile livello è stato costretto ad affrontare il Roger prima maniera e il Rafa versione numero uno. Non parliamo poi di Nadal, che l’epoca d’oro dello svizzero l’ha attraversata quasi per intero e a un certo punto si è visto sorpassare dal fuoriclasse serbo.

Tutto vero. Ma vogliamo parlare di ciò che ha dovuto affrontare Murray? Il quarto dei “Fab Four” si è dovuto sorbire Federer, quindi Nadal nelle sue fiammate al vertice, infine Djokovic del 2011 e l’attuale. Li ha dovuti affrontare tutti, tre mostri sacri della storia di questo sport. E ha fatto molto più di quanto dicano i suoi due titoli dello Slam conquistati o il 33,7% di vittorie negli scontri diretti con i tre colleghi, 26 successi e 51 sconfitte (per la cronaca comanda Nadal col 60,2%, quindi Djokovic col 55,7%, Federer col 45,2%).

Il ranking di Murray è in questo senso illuminante, e fa impressione: entrato in pianta stabile nella Top ten nel 2008, nel settembre di quell’anno si issò al numero 4, e da allora nei primi quattro della classifica ci è rimasto per l’82,7% del tempo sino a oggi! Sono 286 settimane su 346 totali, arrivando in due momenti diversi al n. 2 ma oscillando più spesso fra il 3 e 4. È uscito dai Top ten soltanto nel 2014, a seguito dell’operazione alla schiena che ne ha limitato (e lo fa tuttora, comunque) il potenziale.

Andy ha mostrato fin qui una costanza ad alto livello che lo rende degnissimo protagonista dei cosiddetti “Fab Four” di questa epoca tennistica. Spesso per alcuni è una forzatura giornalistica, ma quanto Murray è rimasto vicino al momentaneo numero uno – alternandosi al vertice Federer, Nadal e Djokovic – è qualcosa di straordinario. Forse Wawrinka avrà vette di gioco più alte dello scozzese, ma non si può nemmeno lontanamente paragonare con quanto fatto da Murray negli ultimi sette anni. Certo un paio di titoli Slam in più non avrebbero guastato, ma in fondo possiamo condonarglieli: delle nove finali, quattro le ha perse da Djokovic e tre da Federer, ma nelle due vinte ha battuto il serbo e a Londra 2012 ha sconfitto l’elvetico. Non ha mai mollato, non ha mai regalato un match. In tutto Murray ha disputato 18 semifinali nei major, quattro nella stagione 2011, tre lo scorso anno.

Il figlio di Judy, talento innegabile, si è migliorato nel tempo spinto dal costante confronto prima con Roger e Rafa, quindi con il “gemello” (sono nati a una settimana di distanza) Nole. Non uno, non due, ma tre muri da scalare oltre che esempi da seguire. La crescita con Ivan Lendl per arrivare a disputare le prime quattro finali dello Slam; l’oro olimpico nel 2012, nella sua Londra; il ghiaccio rotto allo US Open 2012; nel 2013 l’apoteosi di Wimbledon, un tabù che cade, la gloria in patria e un blocco mentale finalmente rimosso. Aggiungiamoci undici Masters 1000 e ci potremmo fermare qui a raccontare di una grande carriera. Ma ci sono anche le sette finali Slam perse, di cui cinque in Australia. È questo l’ultimo tabù che Andy deve infrangere, Melbourne, ma prima ancora tornare a battere Djokovic come accaduto nella finale di Montreal 2015.

Murray ha regalato agli appassionati grandi emozioni anche per i suoi atteggiamenti in campo e per le scelte. È senza dubbio il più controcorrente dei “Fab Four”, il meno omologato. Poco appariscente fuori dal circuito (non fa imitazioni e non gioca sulla neve con Lindsey Vonn), irascibile durante i match, politically scorrect quando c’è da tirare una frecciata al Regno Unito (soprattutto prima di Wimbledon 2013). Da un paio d’anni anche lui si è affidato come guida tecnica a un campione del passato, ma la scelta è stata originale: una donna, Amelie Mauresmo. Con lei al fianco, lo scozzese ha ritrovato sicurezza, risalendo la china, facendo benissimo – soprattutto nella stagione sul rosso – lo scorso anno, chiuso con la storica vittoria in Coppa Davis.

Al pari di Federer e Djokovic, Murray ha trovato equilibrio e serenità nel matrimonio, e la nascita del primogenito potrebbe dargli quella spinta che ha regalato anche agli altri due Fab Four. Ecco perché non si può definire Andy un perdente, o peggio un pesce fuor d’acqua. Ed ecco perché lo dirà a sua figlia, in futuro, quando i bulli la prenderanno in giro. In fondo dover battere Federer, Djokovic e Nadal per vincere gli Slam è molto peggio che trovarsi di fronte i soliti tre spacconi scostumati…

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