L'ombra di Maria Sharapova sulla rinascita del tennis russo

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L’ombra di Maria Sharapova sulla rinascita del tennis russo

Dieci anni fa Safin conquistò il punto decisivo contro l’Argentina e regalò la seconda Coppa Davis alla Federazione Russa, concludendo un ciclo che grazie ad Eltsin aveva portato l’orso euroasiatico ai vertici del tennis. Dopo un decennio di risultati alterni, la Russia aveva affidato la propria risalita ad un nuovo piano di investimenti e ai teenagers Rublev e Khachanov. Cosa succederà adesso?

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Dopo il terremoto sportivo e mediatico causato dalla positività di Maria Sharapova al Meldonium, farmaco inserito nella lista delle sostanze dopanti dalla WADA dal 1 gennaio, il tennis russo si trova ad un bivio. Per anni Maria è stata l’alfiere dell’intero movimento russo, la figura dominante e vincente capace di oscurare le sconfitte e le delusioni dei suoi colleghi uomini. È vero che la siberiana si è formata sportivamente negli USA, ma ha sempre avuto un attaccamento fortissimo alle sue origini , tanto da essere la portabandiera della delegazione russa alle Olimpiadi di Londra nel 2012. Quindi la sua “caduta”, vedremo se definitiva, potrà avere delle ripercussioni su un settore che sta lentamente tornando competitivo. Quello che è certo è che questa può essere una notevole mazzata per un movimento che sta vivendo degli anni bui, il grande boom a cavallo tra il ventesimo e ventunesimo secolo è ormai un ricordo sbiadito.

In quel periodo l’ex premier Eltsin fu un vero e proprio catalizzatore del movimento tennistico russo, infatti, da grande appassionato, Eltsin apprendeva i rudimenti del gioco dall’attuale presidente della Federtennis russa Shamil Tarpischev e seguiva con molto calore le sorti della sua nazionale. Era un tifoso molto presente, infatti era seduto in tribuna quando, a Mosca nella finale di Davis del 1994 contro la Svezia di Edberg, Alexander Volkov perse al quinto set. È il primo match della finale, lo svedese è avanti due set a zero, ma il russo, supportato da 10000 spettatori dell’ Olympic Sports Center di Mosca ha una reazione incredibile, vince infatti i due set successivi e si porta avanti 5 a 4 nel parziale decisivo. Arriva anche a match point ma mette in rete un rovescio facile. Subisce il break, e si va sul 5-5. A quel punto entra Eltsin. Lo speaker lo annuncia, il presidente saluta, il pubblico applaude. Il gioco si ferma. Il gioco, per Volkov, finisce. Edberg chiude 6-4, 6-2, 6-7 (7-2), 0-6, 8-6. La Russia finisce col perdere per 4 a 1.

La delusione spinse Boris Eltsin ad interessarsi maggiormente di tennis e questo contribuì a cambiarne la percezione: il tennis da sport elitario divenne sempre più popolare. Grazie alla “sponsorizzazione” di Eltsin molte aziende nazionali cominciarono ad investire producendo una lunga scia di successi. In ambito maschile abbiamo avuto due n.1 del mondo (Safin e Kafelnikov) e due successi in Coppa Davis (nel 2002 a Bercy contro la Francia e nel 2006, a Mosca, contro l’Argentina). In entrambe le occasioni in tribuna c’era un entusiasta Eltsin che, seppur invecchiato e meno influente, era quello che davvero aveva cambiato la prospettiva e la storia del tennis ex sovietico.

Ma la punta di diamante è stato il settore femminile, con il circuito invaso da una quantità infinita di giocatrici. Se si esclude Sharapova, che resta la figura iconica dell’intero movimento russo, la federazione di Tarpischev ha costruito un modello di allenamento capace di generare un paio di campionesse Slam (Kuznetsova, Miskyna),  un oro olimpico (Dementieva), una numero uno del mondo (Dinara Safina) ma anche promesse evaporate in pochi anni (Kournikova e la stessa Safina). Nel periodo che va dal 1990 e gli inizi anni 2000 la “corazzata” femminile riuscì a vincere ben 7 titoli slam in 15 anni, ma soprattutto era la nazione più rappresentata tra le top 100.

La crisi è arrivata da qualche anno, quando – probabilmente orfani di Eltsin e con Putin in altre faccende interessato – la federtennis  si è ritrovata con una netta riduzione del budget (che nel 2015 era di circa 8 milioni di euro, mentre gli USA ne possono spendere 225 e la Cina ben 150 milioni) e con le moltissime aziende russe, per lo più di piccole dimensioni, che hanno man mano ritirato il loro supporto. Tarpischev rimane l’uomo forte del tennis russo, nonché capitano di Coppa Davis, e in una dichiarazione ha spiegato qual è uno dei motivi di questa involuzione: Nessuno calcola i costi dell’attività all’estero. Il tennis è l’unico sport in cui l’atleta deve pagarsi l’attività: un under 16 può costare 200.000 dollari l’anno, un under 14 50.000. In Russia mancano i finanziamenti, allora i ragazzi scappano ed è profondamente sbagliato. Adesso ci sono 13-15 giocatori russi che rappresentano gli altri paesi, perché danno loro più soldi. Noi non possiamo garantire nulla”. Ecco questa fuga non ha coinvolto chissà quali talenti, ma lo “shopping” di alcuni paesi ha certamente prodotto un mancato cambio generazionale.

Il Kazakistan, che si è comprato Golubev, Kukushkin, Schukin, ma anche Voskoboeva, Shvedova e Yulia Putinsteva, è stato il paese più aggressivo nei confronti della Russia, mentre l’Australia si è assicurata le prestazioni della Gavrilova, destinata a diventare una stabile top 20.
Questo errore di strategia ha inciso sicuramente, infatti con i ritiri di Kafelnikov, Safin e Davydenko, c’è stato un progressivo calo di competitività dei tennisti russi. Per un lungo periodo tutto il peso del tennis ex sovietico è stato  sulle “spalle”  dell’ex top ten Youzhny, che, seppur dotato di un talento purissimo e di un rovescio ad una mano praticamente perfetto, è sempre stato poco costante.
Ormai “soldatino” Youzhny si barcamena per il circuito Challenger in cerca di qualche risultato, ma è solo una lenta agonia prima dell’ineluttabile ritiro. L’attuale classifica ATP vede appena quattro tennisti russi nella top 100, infatti, oltre a Youzhny, abbiamo Gabashvili, che staziona alla 48esima posizione, Kuznetsov, n. 55 del mondo,  e Donskoy all’82esimo posto. Dati decisamente negativi che non fanno altro che confermare la crisi di risultati del tennis russo e la difficoltà di tornare ai fasti di un tempo. Da tutto questo si evince come il movimento maschile possa fare affidamento su pochissimi elementi di qualità, con il solo Kuznetsov in grado di scalare la classifica, anche perché ha 25 anni ed ancora tutte le possibilità di trovare la sua dimensione nel tennis che conta. Il resto dei giocatori presenti nella top 100 è quasi a fine carriera o sono dei modesti mestieranti senza troppe pretese.

Tuttavia prima di questo terremoto-sharapova la situazione sembrava potesse ricominciare a girare nel verso giusto. Dalle retrovie stanno emergendo due giovani talenti, che potrebbero regalare alla “Grande Madre Russia” tante speranze e nuovi successi. Il primo è il 18enne Rublev, che ha tutte le carte in regola per essere il nuovo Zar, anche se nell’ultimo periodo sta subendo qualche sconfitta di troppo. Il moscovita ha colpi notevoli (soprattutto il rovescio bimane ed il servizio) ed un gioco a rete di buon livello, ma deve ancora trovare la giusta concentrazione, anche perché il “ragazzino” ha personalità e sfrontatezza degna di un campione navigato (per informazioni chiedere a Fernando Verdasco sconfitto a Barcellona nel 2015) ma deve imparare a dosare la foga durante le partite. La classifica di Rublev stenta a decollare, ma la conquista del primo titolo Challenger in carriera a Quimper, in finale su Mathieu, può rappresentare un primo tassello di una storia sportiva che può essere certamente di alto livello.
L’altra grande speranza del tennis ex sovietico è Karen  Khachanov, 19enne moscovita dal fisico possente (alto 1.98) e dal rovescio bimane violento e risolutivo. Karen ha mostrato tutte le sue potenzialità nel 2013 a Mosca, quando onorò la sua wild card arrivando fino ai quarti di finale, dopo aver sconfitto anche l’ex top 10 Tipsarevic. Con quel risultato l’allora 17enne russo divenne il primo teenager, dal 2006, a raggiungere i migliori 8 in un tabellone ATP, emulando così il suo “mito” Del Potro, che ci riuscì ad Umago. Attualmente Karen ha raggiunto il suo best ranking, da pochi giorni è n.146 del mondo (best ranking), e sta ottenendo discreti risultati a livello Challenger (primo titolo nel 2015 ad Istanbul).
I tempi bui sembravano alle spalle, anche perché la federazione russa sembrava essere riuscita ad arrestare la fuga di talenti iniziando ad investire nel settore giovanile. Questo rinnovamento è arrivato fino alle Università, infatti hanno istituito un Corso di Laurea specificatamente tennistico presso la Facoltà di Educazione Fisica di Kazan.
Questo lavoro in prospettiva ha dato dei buoni risultati a livello giovanile. Il nuovo modello è fatto di strutture distribuite in modo più capillare, così è stato possibile sviluppare il tennis  in varie zone della nazione. La Federazione ha associato allenatori specializzati, che aiutano le giovani “leve” in maniera più assidua, così da evitare l’emigrazione verso altri Stati. Questo  ha portato la Russia ad essere, negli ultimi 10 anni, leader nei tornei juniores, peraltro con il doppio dei punti della Repubblica Ceca, seconda classificata.

Un altro elemento sistemico, che stava contribuendo alla rinascita del tennis russo, è stato l’ingresso di alcuni grandi sponsor che affiancano la federazione. Bank of Moscow ha aumentato i finanziamenti e adesso è il title-sponsor della Kremlin Cup, un torneo che sta crescendo in modo esponenziale. Anche le amministrazioni pubbliche spingono sul settore sportivo e sul tennis, in modo da creare sviluppo ed infrastrutture sportive. Uno dei progetti più ambiziosi è in Crimea, dove la Russian Tennis Federation vorrebbe creare alcune strutture ricettive. In Russia, ormai, il tennis è un fenomeno di massa, con tanti affiliati e molti tornei del circuito Challenger ed ITF, che permettono la diffusione dello sport in molte zone della Russia.
Il cambio di passo è evidente, i successi a livello giovanile e la crescita del brand “Russia” stavano portando nuova linfa ad un movimento che sembrava sclerotizzato e privo di una prospettiva convincente.

Certo per ottenere risultati ci vuole tempo e dedizione, ma si sperava che gli anni difficili fossero alle spalle. Prima della mazzata.

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