Sei anni fa moriva Roberto Lombardi, una perdita impossibile da colmare

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Sei anni fa moriva Roberto Lombardi, una perdita impossibile da colmare

Il 18 marzo del 2010 uno dei migliori tecnici e dei più grandi esperti di tennis italiano perdeva la sua battaglia contro una terribile malattia. Lo ricordiamo con un collage di ricordi di colleghi, amici e appassionati delle sue telecronache

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Forse non bisogna essere tristi quando ricorre l’anniversario della morte di qualcuno. Soprattutto di qualcuno caro. Quando ricorre un anniversario – per quelle poche ore, che diventeranno sempre di meno via via che gli anni continuano inesorabilmente a fare il loro porco lavoro, perché il tempo si mangia qualsiasi cosa e poi si mangia pure noi – almeno ci illudiamo che fino a ieri, l’altro ieri al massimo, forse la settimana scorsa ma insomma io me lo ricordo commentare Djokovic, magari ci fosse lui stasera, ecco che è ancora con noi o si è solo momentaneamente allontanato.

Roberto Lombardi ha avuto una vita dura e bella e il curioso destino di non essere inviso a nessuno. Tutti siamo antipatici, o quanto meno indifferenti a qualcuno, lui – anche se Tommasi diceva che i camerieri dei ristoranti non lo sopportavano “era il peggior cliente del globo” – Lombardi, invece no. Manca a tutti. Agli amici, che lo hanno ricordato e lo ricordano con parole sobrie che tradiscono il tentativo di controllare la commozione; a chi lo conosceva solo attraverso le sue telecronache o i suoi servizi televisivi. E alle nonne, che come ha ricordato un nostro lettore non si interessavano di sport, ma quando il nipote guardava il tennis “si metteva seduta vicino a me e ascoltava, è il caso di dirlo. Non ha mai fatto neanche il benché’ minimo sforzo per capirne le regole, malgrado io insistessi, ma stava li lo stesso. Quando le chiesi: nonna, ma perché stai qua con me a guardare queste partite? disse: mi piace ascoltare questi Signori”.

Competente, misurato, adorava Maria Kirilenko e gli piaceva un barzelletta che Stefano Semeraro amava raccontare. La rubiamo a Stefano, capirà, vogliamo raccontargliela noi a Roberto, oggi.

Ci sono due pescatori sul fiume, silenziosi, e un uomo che porta il suo cane sull’argine. Fissa i due con aria di sfida, poi lancia un bastone nel fiume. Il cane corre così veloce che vola sull’acqua, afferra il bastone e lo riporta indietro senza bagnarsi. Il padrone guarda con aria orgogliosa i due pescatori, che però lo ignorano. Allora lancia di nuovo il bastone, e poi ancora, e ancora. Alla quarta volta uno dei pescatori lentamente alza lo sguardo e domanda: “quanti anni ha il cane?”. E il padrone, tutto fiero: “Solo due!”. Il pescatore riabbassa la testa sulla canna: “Allora a nuotare non impara più”.

Secondo Semeraro gli piaceva perché Roberto era il cane che volava sull’acqua e il pescatore che non si faceva incantare dalle favole.

Chi non ha avuto la fortuna di conoscere un uomo che è morto da vivo, come non a tutti capita, che come ha ricordato Daniele Azzolini solo una volta ha avuto la tentazione di arrendersi, quando un attacco lo colpì durante una telecronaca in modo così violento da fargli dire “se questa deve essere la fine me ne vado prima”,  sappia che se dice “dritto anomalo” sta citando Roberto Lombardi. Che “il taglio sotto la palla” se lo ripeteva Ubaldo si beccava il rimprovero “guarda che è mia questa espressione eh?” E che quel cedimento non si è ripetuto, perché aveva ragione Gianni Clerici: “è stato un tennista coraggioso, che ha resistito fino alla fine del quinto set, povero Robertino”.

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