Tornei scomparsi. Boca Raton, quando in Florida si beveva Pepsi

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Tornei scomparsi. Boca Raton, quando in Florida si beveva Pepsi

Oggi parliamo di Davis, di una bevanda e di terra verde. Sì, anche un po’ di tennis ma quello in fondo è marginale perché a volte lo sport è un pretesto, un veicolo, uno strumento per rafforzare uno status, un’immagine

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Il Davis in questione non è, badate bene, quel signore del Missouri, repubblicano dichiarato, che alle soglie del XX° secolo trasformò una capiente insalatiera commissionata ai gioiellieri di Boston Shrew, Crump & Low nel campionato del mondo maschile a squadre di tennis. No, quello era Dwight e fu anche finalista agli US Open nonché membro di gabinetto del presidente Calvin Coolidge in qualità di segretario della guerra nella seconda metà degli Anni Venti.

Il nostro Davis è invece il ben più longevo Arthur Vining, nativo di Sharon (Massachusetts), che visse fino alla veneranda età di 95 anni e che forse il tennis non l’ha mai praticato. Tuttavia, colui che dal 1907 al 1958 ricoprì la carica di direttore dell’Alcoa, ovvero la compagnia americana che produceva il 90% dell’alluminio di tutti gli States, ai nostri occhi ebbe il merito di acquistare nel ’56 il Boca Raton Hotel & Club e renderlo ancora più esclusivo di quanto già non fosse. Per farlo, Davis non esitò a portare nel resort due celebrità dello sport americano: il golfista “Slammin’ Sammy” Snead e il tennista Fred Perry. Quello fu l’inizio di un percorso che, con il trascorrere degli anni, fece lievitare progressivamente le quotazioni del club collocandolo tra i migliori degli Stati Uniti e del mondo.
Al momento della sua dipartita, il 17 novembre del 1962, Davis, che aveva visto morire entrambe le mogli e non aveva figli, lasciò oltre 50 milioni di dollari alla ARVIDA (acronimo composto dalle prime due lettere del suo nome) Foundations per sostenere progetti in diversi settori della società civile ed economica. Tra le acquisizioni di terreni e proprietà, la ARVIDA individua a sette miglia dal Boca Raton Hotel & Club il luogo ideale per edificare il Boca West Resort, nel frattempo classificato dall’autorevole Tennis Magazine al quinto posto tra i cinquanta migliori resort degli Stati Uniti.

Siamo nel 1977 e Andrall Pearson, presidente della Pepsi-Cola, ha in testa un’idea meravigliosa per il prodotto che commercializza: diventare la bevanda più venduta negli Stati Uniti a spese dell’eterna rivale Coca-Cola. E il tennis, in questo, può essere un ottimo veicolo promozionale, come la casa nata dall’invenzione del farmacista Caleb Bradham ha già potuto verificare. Pepsi è stato il main-sponsor del circuito professionistico nelle sue prime due stagioni di attività (1970/71) e, pur con qualche inevitabile lacuna organizzativa, ne ha potuto saggiare le potenzialità.
Il Boca West Racquet Club ha ventidue campi in terra verde, tra cui un centrale da circa 5000 posti. La superficie, gemella diversa della terra rossa europea, si ottiene lavorando una pietra naturale che si trova in abbondanza da milioni di anni nelle Blue Ridge Mountains in Virginia. Più rapida, fresca e drenante rispetto alla sorella, la terra verde (o Har-Tru, ma per ora accontentavi di questo; tornerò sull’argomento quando parlerò di Forest Hills) è piuttosto democratica e mette d’accordo sia gli amanti del palleggio e delle scivolate che i fautori del tennis offensivo.

Nelle intenzioni degli organizzatori, il Pepsi Grand Slam Tournament è una sorta di sfida riservata ai vincitori dei quattro majors nella stagione precedente. Tuttavia, qualora uno dei protagonisti si fosse aggiudicato più di una prova dello slam, vengono ritenute valide alternative pure i due Masters (quello del Grand Prix e quello della WCT). La prima edizione però, disputata sui campi del Myrtle Beach Tennis Club nel mese di luglio del 1976, risente della scarsa considerazione di cui, negli Stati Uniti ma non solo, godono gli Australian Open (vinti da John Newcombe) e dell’indisponibilità di Bjorn Borg, infortunato. Così, al posto del baffo e dello svedese vengono invitati Connors (decisamente più appetibile per vendere biglietti e comunque finalista in tre slam su quattro) e Nastase, altro istrione incanta-pubblico che ha avuto il merito di aggiudicarsi il Masters di Stoccolma.
Insomma, le buone intenzioni vengono facilmente sacrificate alle leggi dello spettacolo e il torneo rinnega subito se stesso, avallando il giudizio di chi (come il compianto Bud Collins) lo ritiene poco più che una esibizione. Ricca, però. Ricchissima, se si considera che ci sono appena quattro giocatori e il tutto si consuma nell’arco di altrettanti incontri.

Il venerdì, nella prima semifinale, Manuel Orantes (che su questa stessa terra ha vinto gli US Open) fa valere la sua maggiore adattabilità nei confronti di Arthur Ashe, visibilmente provato dal caldo e dall’umidità. “Giocare su questa superficie appena una settimana dopo Wimbledon non è semplice, ma Manuel oggi è stato migliore” dichiara Ashe. Lo spagnolo attende l’esito dell’altro match, in programma il giorno dopo. Nastase arriva in South Carolina direttamente dalle Hawaii, dove ha partecipato a un incontro del World Team Tennis con la squadra locale dei Leis, e per tutto il primo set viene sballottato a destra e sinistra dall’amico e compagno di doppio Connors. Se è vero che Nastase ha battuto Jimbo 13 volte su 17, è vero anche che sulla terra ha perso i tre confronti diretti e, dopo il 6-0 del segmento iniziale, sembra proprio che la tradizione possa rinnovarsi. Invece lo zingaro mescola le carte e si garantisce la finale vincendo 6-4 7-5 gli altri due. Sullo slancio, la domenica Nastase intasca agevolmente i 75.000$ riservati al vincitore; Orantes balla sul campo ma i punti importanti li conquista il rumeno, che serve meglio e fatica meno dell’avversario.

L’anno successivo, come anticipato, il torneo si trasferisce a Boca West. Pearson annuncia con fierezza che ci sarà la copertura televisiva grazie alla CBS e che la partnership tra la Pepsi-Cola e il Resort durerà almeno tre anni. I magnifici quattro della seconda edizione sono Borg (Wimbledon), Connors (US Open), Panatta (Parigi) e Orantes (Masters); escluso invece Mark Edmondson, vincitore a sorpresa degli Australian Open ’76, la cui importanza viene ritenuta inferiore ad altri eventi.
Il montepremi sale a 200.000$ e il pubblico, stipato sulle tribune dello stadio di Boca West, ha la fortuna di assistere a tre partite bellissime. Nella prima semifinale si affrontano i vincitori degli ultimi due slam disputati sulla terra verde e Connors vorrebbe vendicare la sconfitta patita nella finale di Forest Hills 1975 contro Orantes. L’iberico però lo tiene sulla corda, gli strappa il primo set al tie-break e, dopo aver ceduto il secondo, lotta fino al 5-5 del terzo quando a costringerlo alla resa sono i crampi ma non prima di aver avuto un match-point a disposizione.

Se il rammarico di Orantes è grande, quello di Panatta è immenso. L’italiano, pur menomato da una vescica alla mano destra, estrae dalla sua WIP le magie che, forse più di ogni altro, sanno mettere in imbarazzo Bjorn Borg. Perso 6-2 il primo set, Adriano incamera 6-4 il secondo e nel terzo ha tre occasioni per chiudere il conto, sul 5-4 e servizio Borg, ma un errore di dritto, un passante sul nastro e uno vincente dello svedese cambiano le sorti della partita e mandano Borg in finale.

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