ATP Roma interviste, Andy Murray: “Amélie mi ha ridato fiducia, l'esperienza con lei è stata positiva”

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ATP Roma interviste, Andy Murray: “Amélie mi ha ridato fiducia, l’esperienza con lei è stata positiva”

ATP Roma, l’intervista pre-torneo a Andy Murray

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Riguardo alla notizia di ieri sul fatto che tu e Amélie non lavorerete più insieme, è una delusione per te? Speravi che la cosa sarebbe durata di più?
Sì, alla fine dello scorso anno abbiamo cercato di far funzionare la cosa per un altro anno. In Australia è iniziata bene, ma poi, come dicevo alla stampa britannica, tra gli Australian Open e Roma abbiamo passato solo 10 giorni insieme a Miami e questo non era stato pianificato. È stato difficile gestire la quantità di tempo che richiede fare questo lavoro e la quantità di tempo durante la quale abbiamo lavorato insieme. È un peccato, ma queste cose succedono.

Il fatto che la vostra collaborazione sia finita e che non siete stati capaci di lavorare in queste circostanze, credi che sia un duro colpo all’idea di avere delle donne che allenano uomini?
Beh, io credo abbia funzionato, insomma i risultati che abbiamo avuto negli ultimi due anni sono buoni. Forse siccome non ho vinto uno Slam le persone possono dire che non ha funzionato, ma quando lei è arrivata nel mio team, io stavo avendo dei problemi. Non ottenevo buoni risultati, la mia fiducia era bassa e stavo andando nella direzione sbagliata. Poi quando lei è salita a bordo, le mie prestazioni si sono alzate. Per quanto mi riguarda il tempo che abbiamo passato insieme è stato positivo. È solo un peccato che non sia riuscito a vincere un torneo dello Slam perché era quello che entrambi volevamo. Ma sai, Roger ha smesso di lavorare con Stefan Edberg alla fine dello scorso anno perché Edberg voleva passare più tempo con la sua famiglia e non voleva viaggiare molto. Nessuno ha battuto ciglio al riguardo. Quindi per me non centra il fatto che Amélie sia una donna, credo sia per via del fatto che agli ex-giocatori ci vuole molto tempo per fare il lavoro bene e adeguatamente. Non è facile farlo per 4 o 5 anni consecutivi.

Mi domando a che punto ti trovi ora nella ricerca di un sostituto e anche quali sono le qualità che stai cercando. Qualcuno che ti dia fiducia come Amélie o sei più interessato all’aspetto tecnico come Ivan?
Beh, Ivan non era molto tecnico, lui mi ha aiutato molto sull’aspetto mentale. Potergli parlare soprattutto nei match importanti quando non avevo mai vinto uno Slam è stato di aiuto, anche lui ci era passato e alla fine ha avuto una grande carriera. Comunque non ho ancora pensato molto riguardo al nuovo coach, a Madrid ho giocato ogni giorno tranne uno e poi sono arrivato direttamente qui, ma nelle prossime settimane ne parlerò col mio team e troveremo qualcosa che funzioni a lungo termine.

Hai ancora la base a Londra?
Sì, poco fuori da Londra.

Hai un’opinione sul nuovo sindaco eletto questa settimana?
A dir la verità no.

È importante per te tornare numero 2 prima del Roland Garros?
Non conosco esattamente la situazione, so di essere sceso al numero 3 ma credo di avere gli stessi punti di Roger. E poi lui ha giocato la finale qui e io non so cosa devo fare per essere sicuro di restare numero 2, ma comunque ovviamente aiuta un po’ negli Slam, non è la cosa più importante ma può aiutare.

Come ti senti fisicamente rispetto allo scorso anno?
Mi sento bene, dopo Monte-Carlo mi sono preso una pausa di 5, 6 giorni in cui non ho fatto niente. Ne ho parlato molto al riguardo, credo che questi periodi di pausa quest’anno siano più importanti considerando quanto è pieno il calendario nei prossimi mesi. Sono contento di averlo fatto, sicuramente a questo punto della stagione mi sento meglio rispetto allo scorso anno.

Qual è nella pratica il modo per cercare un nuovo coach? Prendi il telefono ed inizi a mandare messaggi alle persone o inviare email, lo lasci fare a Matt e Ugo, o semplicemente vai nella sala dei giocatori e inizi a parlare con le persone?
Allora, per prima cosa parlo un po’ col mio team e poi con le persone che mi conoscono e con le quali ho lavorato in passato; sono in contatto con loro. Alcune volte gli agenti si contattano a vicenda per vedere se c’è un interesse a lavorare. Come sempre, sai, prima vuoi provarlo perché puoi parlare con qualcuno per quanto tempo vuoi e poi quando vai sul campo non c’è alcuna connessione e non si comunica come si dovrebbe. Bisogna passare un po’ di tempo insieme sul campo e parlare del gioco di persona. Dipende molto dal fatto se ci si conosce prima o no, ad esempio io non conoscevo Ivan ed è stato grazie a Darren Cahill, io ci stavo lavorando all’epoca per via di un programma con l’Adidas e insieme abbiamo parlato di lui. Darren lo conosceva e si è messo in contatto, e Ivan gli ha detto di chiamarmi, è così che è andata.

Guardando dall’esterno sembrano non esserci molte persone in grado di allenare dei top player, è così difficile trovare qualcuno per un lungo periodo?
Sì, credo di sì, è difficile. Per questo per me avere Jamie Delgado a disposizione 35, 40 settimane all’anno è molto importante, non è facile trovare una cosa del genere, soprattutto se ti rivolgi agli ex-giocatori che hanno passato 15 o 20 anni della loro vita viaggiando per 30, 35 settimane all’anno. Non sono sempre disposti a farlo. Molti esempi come Moya con Raonic o Chang con Nishikori, loro non sono lì ad ogni singolo torneo ed io penso perché loro non vogliono, non lo vogliono fare ogni volta ancora ed ancora. Io credo davvero che avere qualcuno nel tuo team che abbia la voglia di impegnarsi per tutto quel tempo sia molto importante, quindi io sono lieto di averlo ora, cosa che non avevo lo scorso anno con Jonas e Amélie. Ora ho quella costanza e forse cercherò di aggiungere qualcun altro.

Traduzione a cura di Paolo Di Lorito

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