Andy Murray, il terraiolo che non sapeva d'esserlo

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Andy Murray, il terraiolo che non sapeva d’esserlo

La vittoria al Foro Italico ci regala un nuovo profilo del tennista scozzese, nelle nuove classifiche tornato nr.2 del ranking. Numerosi i progressi mostrati sulla terra battuta nel 2016, che ne fanno ad oggi una sorta di terzo incomodo sulla strada che porta al Roland Garros

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Alzi il dito chi avrebbe mai immaginato che Andy Murray, soprattutto dopo un inizio di stagione non proprio esaltante, seppur di buon livello (finale agli Australian Open ma anche due sconfitte inopinate nei primi turni dei Masters Series americani) sarebbe stato uno dei protagonisti della stagione sulla terra rossa. Semifinale a Montecarlo, finale a Madrid e addirittura vittoria al Foro Italico (la prima per lui) proprio nel giorno del suo compleanno.

Attenzione, non stiamo parlando di un tennista sino a ieri mostratosi “sprovveduto” sul rosso. Tutt’altro. In carriera Murray ha infatti raggiunto 3 volte le semifinali al Roland Garros (battuto due volte da Nadal e l’anno scorso da Djokovic ma solo al termine di 5 durissimi set), 3 semifinali a Montecarlo (sempre battuto da Nadal, quest’anno vittorioso in 3 set), 1 semifinale a Roma (prima della vittoria di ieri) oltre ad aver vinto Madrid dove quest’anno ha raggiunto di nuovo la finale, battuto da Novak Djokovic non più tardi di una settimana fa. Certo Madrid come superficie da terra rossa fa meno storia perché è più veloce giocandosi in altura e favorisce quindi di conseguenza coloro che hanno una maggiore attitudine al cemento. Ma ciò che Murray ci ha fatto vedere sin qui è qualcosa di diverso rispetto alle passate stagioni.

La solidità del suo servizio non è di certo una novità, la capacità di recuperare l’impossibile a fondo campo (chi si ricorda l’ultimo scambio della finale di Coppa Davis contro Goffin che diede alla Gran Bretagna il punto decisivo?) era ben risaputa, ma soprattutto nella finale di domenica Murray è sembrato più maturo, quasi fosse un navigato giocatore da terra rossa. Impatto sulla palla quasi sempre perfetto, profondità dei colpi scandita con regolarità disarmante e soprattutto palle corte giocate sempre nei momenti più giusti, un’alternativa al suo gioco che onestamente non gli avevamo mai visto mettere in pratica con tale continuità, discese verso la rete puntuali quando lo scambio lo richiedeva.

Chi non ricorda l’Andy Murray di qualche anno fa, che sulla terra dopo i primi scambi estenuanti iniziava a respirare affannosamente a bocca aperta mostrando un viso sofferente sin da subito e con uno sguardo quasi da San Giovanni decollato? Chi non  ricorda Andy Murray impallinato a Napoli da Fabio Fognini che lo schiantò nel singolare di Coppa Davis con una serie infinite di palle corte, approfittando del fatto che il nr.1 britannico si limitava a remare ben oltre la linea di fondo campo? Ecco, di quel Murray non c’è più traccia. Oggi si ha l’impressione che Andy, anche sulla terra, possa fare partita pari con chiunque, che sia Djokovic, che sia Nadal, che sia un qualsiasi specialista del rosso.

Si dirà: ma a Roma Andy ha avuto un tabellone semplice. Vero, ma quante volte lo abbiamo visto complicarsi maledettamente la vita in match sulla carta facili che gli facevano perdere energie fisiche e soprattutto mentali in vista dei turni importanti. Quest’anno invece eccezion fatta per i primi due turni a Montecarlo (due vittorie al terzo set contro i francesi Herbert e Paire, ma sappiamo quanto quest’ultimo sia ostico se solo vuole) e per il primo turno a Madrid (dove però i tre set contro Stepanek ci possono stare, e per le caratteristiche del tennista ceco e perché rifiatare un attimo dopo la semi di Montecarlo ci sta) Andy ha inanellato non solo prestazioni esemplari ma anche vittorie di un certo peso. Oltre a ricordare che a Roma non ha perso nemmeno un set, nei 3 tornei sul rosso Murray ha liquidato con inusuale facilità Raonic, Simon, Berdych, Nadal, Goffin e persino Djokovic. E se Nole durante la settimana romana ha ceduto energie importanti nei match con Bellucci e Nishikori (ricordiamo che il serbo nel terzo set ha avuto una palla del 5-1 prima di vincere solo al tie break) di certo non si può dare la colpa al vincitore degli Internazionali d’Italia, a cui come detto va il merito di essere stato concreto ed essenziale come non mai.

A cosa ricondurre questa svolta nel gioco di Murray? La risposta è alquanto difficile e forse non è da imputare ad una sola ragione. Probabilmente lo scozzese ha raggiunto una certa maturità anche psicologica, è più convinto dei suoi mezzi, è consapevole che anche sulla terra può giocare ad alto livello (del resto i buoni risultati alimentano la fiducia in sé stessi). La separazione dalla Mauresmo che comunque con Andy aveva fatto un ottimo lavoro, ha forse responsabilizzato maggiormente lo scozzese, più presente a se stesso nei momenti cruciali (e non solo) delle varie sfide giocate. Senza inoltre sottovalutare la spinta positiva data dalla vittoria in Davis (chi ricorda cosa successe a Djokovic dopo la vittoria con la Serbia nel 2010?) e soprattutto la tranquillità familiare data dal matrimonio e dalla nascita della figlia che senza dubbio hanno conferito ad Andy quella serenità che prima per certi versi mancava.

Insomma un Murray rigenerato, pronto a recitare un ruolo da primattore anche sulla terra battuta, dove la sua attitudine è cresciuta a vista d’occhio. Un Murray, come ha detto Bertolucci nella telecronaca della finale, che probabilmente è sempre stato terraiolo ma solo ora ha capito di esserlo. Il Roland Garros è alle porte, quanto sarà capace il numero 2 del mondo di fare da terzo incomodo tra Djokovic e Nadal che paiono sulla carta i logici favoriti? Il tennis 3 set su 5 sappiamo essere un altro sport, ma mai come quest’anno lo spiraglio per Andy c’è, vedremo se sarà così da maturo da sapercisi infilare. Del resto, l’ultimo britannico a vincere a Parigi è stato il solito Perry nel 1935. Dopo Wimbledon e la Davis, sarebbe per Murray un altro pezzo di storia da mandare in soffitta. Chissà.

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