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Rassegna stampa

La lezione di Murray re di Wimbledon (Clerici), Murray Fabulous, spazza via Raonic e la pressione (Crivelli), Murray serve il bis, doma Raonic e rincuora Cameron (Piccardi), Raonic, il sogno svanisce trionfa Murray (Mancuso), Murray vola in stile Hamilton (Azzolini), Murray,orgoglio British sull’erba è lui il padrone (Lombardo)

Last updated: 11/07/2016 8:23
By Daniele Flavi Published 11/07/2016
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27 Min Read

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

La lezione di Murray re di Wimbledon

 

Gianni Clerici, la repubblica del 11.07.2016

 

Dopo la finale, vinta dal-lo scozzese Andy Murray sul canadese Milos Raonic, per 64, 7-6 ( 3) 7-6 (2) in due ore e 48 minuti, mi ha telefonato la mia nipotina ‘Perchè ha vinto Murray, nonno’ mi ha domandato Lea, che domenica scorsa era venuta a Wimbledon per la prima volta. “Perchè era più abituato all’erba del campo, e non solo” ho risposto. “Si trovava come a case, in tribuna c’era sua mamma Judy e sua moglie Kim, e insieme a loro una specie di zio, che si chiama Lendl, uno che aveva perso tante volte prima di imparare a vincere, e gliel’ha raccontato, come io ti ho raccontando tante storie per restare tranquillo, e insieme per fare dei bei sogni. Murray insomma si è sentito come a casa, mentre ]’altro giocatore, Raonic, non era tanto abituato ai prati, perchè campi come questi non esistono nel suo paese, II Canadà”. Qui è caduta la linea, e ho pensato che qualche lettore aficionado, più avanti con gli anni, non fosse soddisfatto della spiegazione, e chiedesse un approfondimento. Dirò allora che, nei limiti di un best of five finito nel modo più breve, non c’è stato enorme scarto tra i due. Su tre set i giocatori sono arrivati due volte insieme alla lente d’ingrandimento del match,come il mio amico Denis Lalanne, forse il miglior giornalista dell’Era Open, aveva denominato il tiebreak. Quanto a me, pensavo che Raonic con la violenza delle sue battute, avrebbe sommerso Murray, nel caso in cui al tiebreak si fosse arrivati, mi sbagliavo in pieno. Non avevo calcolato la solidità alla quale lo scozzzese è giunto in tutti i suoi colpi, una solidità di terricolo, scuola spagnola, trasportata sui prati di rasa Non avevo calcolato la regolarità alla quale Murray è giunto in tutti i suoi colpi, ripeto tutti, da quel rovescio bimane che riesce a tenere bassissimo senza sfiorare la rete, allo stesso rovescio monomano tagliatissimo, al diritto liftato non meno regolare,insomma al gioco difensivo ormai perfetto tatticamente. Raonic non è ancora pervenuto a un simile controllo del proprio corpo, della sensibilità della mano. È riuscito a issarsi ai due tie- break nonostante abbia corso più rischi, ( 4 palle break contrarie nel secondo set contro nessuna a favore ) ma, proprio quando ritenevo che la sua battuta squassante avrebbe fatto la differenza, ha subito la grande intensità di Murray, capace in chiudere i tiebreak con vantaggi iniziali quasi definitivi, di 5 a 1 nel secondo, e 5-0 nel terzo. Per scendere a maggiori dettagli, magari per comunicarli a chi mi legge in italiano come il mio ex allievo Riccardo Piatti, ricorderò che Raonic è caduto in un errore ripetuto per un movimento migliorabile sulle volè basse di diritto, nelle quali colpisce con una sorta di colpo abbreviato, ben inteso privo dell’anello di preparazione; colpisce piatto, alzando la traettoria, sbagliando quindi o consentendo all’avversario un nuovo passante…

 

Murray Fabulous, spazza via Raonic e la pressione

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 11.07.2016

 

L’ultimo re di Scozia risolleva l’orgoglio del leone britannico, il ruggito della potenza ritrovata nei prati che da sempre fanno la storia. Murray è Wimbledon. Per la seconda volta in carriera dopo il 2013, nel tripudio del Centrale, del principe William e della consorte Kate e di un paese sfatto dopo l’Europa perduta due volte, nella politica e nel calcio. Ci pensa Andy a restituire l’onore e la gloria, in un pomeriggio da superstar, in una finale dominata con il piglio e il talento del più forte, respingendo quel Raonic che bussava alle porte dell’erba più celebre chiedendo finalmente un posto per la Next Generation. Non è ancora tempo per le novità, e il quarto Fab Four si ritaglia finalmente un trionfo tutto per sé, dopo aver perso le prime due finali Slam in stagione, un risultato favoloso per tutti ma non per lui, che per scavallare la fama di eterno secondo ha richiamato Lendl, il coach dei momenti d’oro. La coppia torna a vincere. Subito. E Muzza, ebbro di felicità, alla fine accoglierà Ivan il messia con l’umorismo sano di chi si è risollevato: «Il mio coach? E’ stato solo fortunato». ESPOSTA E PASSANTE Una partita che è tutta racchiusa nella palla break, la quinta per lui, che il numero due del mondo si procura nel nono gioco del secondo set. Il dettaglio? Murray risponde a una prima di servizio che fila a 236.75 chilometri l’ora, record di sempre per il torneo, e non solo: sull’attacco del canadese, lo passa con il rovescio. Alla fine, non vincerà il game, ma quel punto sublima il compendio della sfida: risposta (infatti Milos metterà solo 8 ace) e passanti, almeno 10, su 15 rovesci vincenti. E quando serve lui, Andy è una sentenza: 60 punti su 69 con la prima. Troppo per Raonic, sicuramente migliorato sotto i tre coach (Piatti, Moya e McEnroe) ma non ancora solido abbastanza per poter dimostrare di non essere l’uomo di una sola estate: «Forse avrei dovuto essere più  aggressivo sulla sua seconda, ma ha giocato comunque a un livello troppo alto. Io non devo disperdere questo bagaglio di esperienza, tornerò l’anno prossimo per vincere». FAMIGLIA Qui e adesso, però, Church Road è il nuovo indirizzo del dominio erbivoro di Murray, colui che non tremò nella prima finale da favorito (nelle 10 precedenti, aveva sempre affrontato Federer o Djokovic): «Ho servito con ottime percentuali, ho colpito profondo, ho sempre risposto bene. Questa vittoria mi dà più gusto della prima, quella fu un sollievo, ma questa è voluta, perciò me la godrò di più». Soprattutto perché c’è un nuovo tesoro con cui condividerla, la figlia Sophie: «Un successo da padre cambia le prospettive, l’altro giorno la piccola ha fatto il suo esordio a Wimbledon e anche se non sa ancora nulla, è un orgoglio sapere che tra qualche anno cercherà di capire cosa ha fatto il papà. Ovviamente il tennis per me adesso è diventato quasi una distrazione, ma al tempo stesso mi sento motivato come non mai».

 

Murray serve il bis, doma Raonic e rincuora Cameron

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 11.07.2016

 

Bagnato da un raro scroscio di sole, il bis di Andy Murray a Wimbledon può assumere contorni romanzeschi. Un paio di palle break concesse in due ore e 48’ di finale anemica, come se l’uscita di scena di Roger Federer avesse congelato il sangue nelle vene del torneo; la miseria di 12 errori gratuiti, 8 7% di punti vinti sulla prima di servizio . Rischiava di essere bombardato dal corazziere Milos Raonic, invece il padrone di casa s’è inventato la partita perfetta. L’Inghilterra delle tradizioni si compatta sul centrale. Ci sono William e Kate, futuri re e regina. C’è il primo ministro Cameron, terremotato dalla Brexit, che si becca qualche fischio e una pacca sulle spalle dal vincitore: «Il suo è un mestiere impossibile, meglio fare il tennista». C’è il neosindaco musulmano Sadiq Khan. Ci sono attori, attrici, nobildonne, fragole con panna e grandi ex: Ivan Lendl, amico e coach ritrovato di Andy, capace di condurre l’allievo dove lui stesso non si è mai spinto (due finali perdute sull’erba, con Becker e Cash), e John McEnroe, tutor di Milos per la modica cifra di 10 0 mila do llari per cinque settimane, caduto sul traguardo. C’è un’enfasi, insomma, che il tasso di qualità della finale non rispecchia , perché Murray è granitico quanto Federer era stato friabile e Raonic spuntato come se avesse esaurito le munizioni: appena 8 ace (il più veloce piovuto dal cielo a 236 km/h) dopo aver m a n tenuto una me dia d i 25 nei turni precedenti. Servizio contro risposta: non c’è gara. Raonic non è solo violenza bruta, ha mano felice e il profilo del futuro campione, però (oltre statistiche insufficienti) si porta dietro ingenuità di cui Murray sa approfittare. C’è, anche, l’intervento del destino in questa storia felice che finisce con Andy che consegna alla piccola Sophia, 6 mesi, la replica del trofeo di Wimbledon. Andy è il ragazzo fortunato scampato bambino alla strage di Dunblane (1996, 16 studenti e un insegnante uccisi), l’allievo mo dello che al cambio di campo legge i consigli (o gli sms?) di coach Lendl , il quarto incomodo nella generazione di fenomeni (Federer, Djokovic, Nadal) che domina il tennis da un decennio e il re bis dei prati (terzo Slam in totale) nell’edizione senza Rafa (k.o.) e con Djokovic eliminato da Querrey che ancora si domanda come ha fatto. Non a caso quella di ieri è stata, in 11 finali Slam, la prima in cui lo scozzese dall’altra parte della rete non si è ritrovato né il cioccolatino svizzero né il Djoker. Sacro santo approfittarne: «Nel 2013, a 77 anni di distanza da Fred Perry, fu puro sollievo. Questo è un successo più gioioso. Credo in ciò che mi dice Lendl e in me stesso. Voglio che mia figlia sia fiera di suo padre». Ha lavorato su se stesso, Mu rr ay. È tornato a vincere dopo aver digerito la paura di fallire (8 finali Slam perse, due quest’anno: «Ho avuto sconfitte dure ma la famiglia ha cambiato le mie prospettive») ed elaborato i lutti sportivi, sedotto e abbandonato Amelie Mauresmo, prima coach donna di un top-10, però le femmine dominano il suo universo. Mamma Judy, la moglie Kim, Sophia : «Con loro mi è facile aprirmi». È un bravo figlio, Murray, un umano portentoso caduto sul pianeta degli alieni, che ritroverà ai Giochi di Rio e a New York. Con la zazzera irsuta di chi per due settimane congela qualsiasi vita extra-tennis e la barba lunga portafortuna . Adesso dritto dal barbiere, Andy, please.

 

Raonic, il sogno svanisce trionfa Murray

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 11.07.2016

 

Il fascino di Wimbledon ha sicuramente a che fare con la diversità degli inglesi che guidano a sinistra e ostentano un’incrollabile fede nella Regina. “God Save the Queen” ieri ha risuonato a Wimbledon, il sobborgo verde di Londra in cui il tempo sembra essersi fermato. Nel tempio del tennis, il Centre Court, Andy Murray non ha voluto deludere nessuno, da mamma Judy a William e Kate seduti nel Royal Box, fino ai sudditi di Sua Maestà. Tutti lì a tifare, con discrezione of course, per colui che sta rinnovando i fasti di Fred Perry, trionfatore dal 1934 al 1936. Murray ha prima riportato il titolo a casa nel 2013 dopo 77 anni, quindi ieri ha concesso il bis battendo per 6-4 7-6 (3) 7-6 (2) il gigante Milos Raonic, alla prima finale in un Major. Scozzese e fiero di esserlo, ragazzo della classe media, Andy era quasi uno straniero nel tennis britannico, uno sport che fatica a democraticizzarsi e il cui simbolo è stato per anni Tim Henman, rampollo dell’Upper Class” londinese. Ora c’è lui, il baronetto Andrew Barron Murray. «Una liberazione e una gioia immensa tornare a vincere Wimbledon”, ha detto emozionato. IL TEMA TATTICO All’undicesima finale Slam, Murray trovava per la prima volta un rivale diverso da Djokovic e Federer ed era il favorito dei bookmakers: 1.30 contro il 4.10 di Raonic. Il britannico ha più qualità ed esperienza del 25enne spara ace nato in Montenegro, che avrebbe dovuto giocare la partita perfetta. Soprattutto, contro un avversario la cui risposta al servizio rivaleggia con quella di Djokovic, avrebbe dovuto tenere una percentuale di prime palle più alta del 64%: una media di 22.8 ace a incontro durante il torneo, solo 8 contro il britannico (7 per Andy). Il canadese si è affidato pure al dritto a uscire sul rovescio dell’avversario che tanto aveva fatto male a Federer, ma la solidità dei colpi di sbarramento di Murray è nota. Solo dopo 2 ore 11 minuti, nel terzo parziale, Raonic ha avuto le prime e uniche due palle break, annullate dallo scozzese. Ha provato a non farsi trascinare in scambi lunghi, cercando la rete come gli ha suggerito John McEnroe, suo consulente per la stagione erbivora, che ha seguito la finale in cabina commentando per la BBC. Le volée di SuperMac avevano il marchio di fabbrica, quelle di Raonic espongono ancora il cartello “work in progress”. Da parte sua, Murray aveva le idee chiarissime: rispondere il più possibile e tenere il rivale lontano dalla linea di fondo. Più Milos arretra, più è vulnerabile perché non è facile spostare con velocità quasi due metri e 98 chili, specie sui prati. tin break nel primo set sul 3-3 e due tie break in cui Andy ha mostrato i muscoli hanno regalato il successo al britannico. ORIZZONTI NUOVI Non è un caso che lo scozzese sia di nuovo al top con il ritorno di Ivan Lendl, commosso in tribuna, con il quale aveva vissuto i trionfi più prestigiosi della carriera: oro olimpico a Londra 2012, US Open 2012 e Wimbledon 2013. Gli ha trasmesso sicurezza e lo ha aiutato a limare l’atteggiamento iper polemico con sé stesso e con chi lo circonda. Per il 29enne di Dunblane, il più fragile dei Fab Four, si aprono scenari nuovi. Chissà quanti ne avrebbe già in bacheca di titoli nei Major se non fosse capitato nell’epoca sbagliata. «Gli anni migliori devono ancora arrivare», ha sottolineato. Intanto nel 2016 ha raggiunto la finale in tutti e tre gli Slam sin qui giocati. Non è poco.

 

Murray vola in stile Hamilton

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 11.07.2016

 

La Coppa riceve le stesse attenzioni della piccola Sophia Olivia, mesi cinque. Andy la sostiene con una mano sul fondo e un braccio intorno, con delicatezza, e ha un’espressione orgogliosa e paterna quando la mostra al pubblico. E una rinascita questa vittoria a Wimbledon. Murray l’accoglie fra le lacrime, come una figlia, e non prova imbarazzo a condividere quel momento di commozione con tutti. E stata sua, tre anni fa, e l’ha ritrovata al termine dl un percorso che non l’aveva privato di occasioni, ma era risultato gramo di vittorie. Gli anni con la Mauresmo, poi i mesi con Delgado. E stato dopo l’ennesima finale persa stilla colpo ferire con Djokovic, a Parigi, che Murray è tornato sui suoi passi e ha fatto la telefonata che in cuor suo sapeva da tempo di dog fate. Q voleva Lendl per scuoterlo? «Ma è lui l’uomo fortunato», dice Andy, facendo sorridere persino Ivan, rimasto impassibile per tre set, mentre le immagini tivvù, di tanto in tanto, mostravano l’altro tutore, John McEnroe, sempre più basito e costernato, convinto che non d sarebbe stato il finale programmato dalla fila di coach e numeri uno (con lui anche Piatti e Moya) che hanno guidato Milos Raonic all’assalto della sua prima finale Slam. Così, diventa quasi una festa in famiglia, questa riconquista. C’è il premier Camerun, in tribuna, che il pubblico riempie di “buuh’ ma Andy gli landa generoso un salvagente: «E più difficile il suo mestiere che giocare a tennis». C’è l’attore preferito dl Murray, Benedict Cumber-batch, candidato all’Oscar per «The Imitation Game», e Andy ancora con la Coppa in mano ne approfitta per chiedergii quando andrà in onda la nuova serie di Sherlock, che a lui piace da matti. E c’è ü principe William, duca di Cambridge, conte di Strathearn e barone di Carrickfergus, con la consorte Catherine Middleton, in visita ai possedimenti del duca di Kent, sui quali sorge l’All England Lawn Tennls Club. E il principe è ansloso di far sapere a Murray quanto si sia divertito. «Una gran bella finale da vedere», gli dice omaggiandolo di una regala pacca sulla spalla, ma Andy è di tutt’altro parere e rischia di uscire dal protocollo. «Davvero?», risponde, «Non me ne sono accorto». No, non è stata una gran bella finale. Serviva altro per andare all’assalto del primo titolo del Grande Slam, e Bambolo Raonic non lo ha trovato. E rimasto fermo a Federer e ha cercato di ripetere un match che forse, con Murray, non sarebbe ugualmente risultato sufficiente. Federer gioca a viso aperto, non lo scozzese, che si rinserra sulla riga di fondo e tesaurizza tutti gli errori che un Raonic in giornata normale è in gado di offrirgli. L’equilibrio si è infranto già sul 4 pari del primo set, e da lì in poi il canadese non ha Andy Murray festeggia nella vasca…del ghiaccio più avuto in mano la partita. Tanto meno nel tie break, che Andy ha dominato. Ha fatto corsa di testa, Murray. Ha vinto alla Hamilton. Un motore più potente, una carrozzeria più filante, problemi tecnici ridotti al minimo. Ha risposto bene al servizio dl Raonic, e ancora meglio ha fatto negli scambi ravvicinati: non ha quasi mal concesso una prima volée facile, anzi ha costretto il canadese a giocare più di un colpo, moltiplicando gli errori. Che poi Raonic sia un gran volleador, è argomento sul quale si pub discutere. Gioca bene la volée di primo impatto, ma sulla seconda le gambe pesanti non gli danno l’agilità che servirebbe. Murray si prende il secondo titolo dei Championships, il terzo nello Slam. E ancora in ritardo (tre vittorie, sei finali), e pazienza. Nell’anno che ha visto Djokovic spegnersi al terzo turno, Nadal rinunciare per infortunio, e Federer fare il possibile dopo uno stop di quattro mesi, Andy ha ribadito che i Fab Four sono ancora la vetta da scalare. E gli altri stanno dietro a gufare.

 

Murray,orgoglio British sull’erba è lui il padrone

 

Marco Lombardo, il giornale del 11.07.2016

 

Alla fine la notizia è che perfino coach Ivan Lendl scongela le emozioni dalla sua posizione fissa con vista sul centrale di Wimbledon per abbracciare mamma Murray: vuol dire che Andy è diventato per la seconda volta eroe in Patria e che il tennis non ha nessuna intenzione di vivere una Brexit. E finita insomma come doveva finire, perchè quando a un certo punto un servizio di Raonic sparato a 236,57 chilometri l’ora – ovvero a 147 miglia – torna al di qua della rete, si capisce che Andy Murray questa finale non potrà mai perderla. Al massimo soffrirla un po’, ma è solo un attimo: le due palle break per il canadese che potrebbero riaprire il match nel terzo set sono praticamente l’unico brivido di una giornata perfetta. Perfetta per Andy. Wimbledon ha, dunque, il suo campione preferito alla fine di una partita che ha eccitato il senso patriottico di un Regno a prova di qualsiasi referendum, considerata la passione con cui uno scozzese è stato adottato qui a Londra il fatto che William e Kate erano schierati a sostegno dell’uomo che ha riportato il tennis a casa sua. Per il resto qualche colpo che ha acceso il match non poteva cambiarne il risultato (6-4, 7-6, 7-6 alla fine) né l’esito scontato, e così la sfida tra Lendl – recuperato al suo fianco da Murray proprio alla vigilia della stagione inglese – e McEnroe, chiamato da Raonic per imparare come si vince sull’erba, è stata probabilmente la parte più divertente. I due vecchi nemici che non si guardavano sul campo neppure quando si stringevano la mano e che hanno continuato a odiarsi poco amabilmente anche dopo, tanto che – per dire – una volta John esultò come se avesse vinto uno Slam al ritiro per infortunio di Ivan durante una partita di Senior Tour. C’era insomma aria di rivincita e i due se la sono giocata alla grande, con Lendl perfidamente spiritoso («Sì ci siamo incontrati negli spogliatoi. Ci siamo salutati? Ho detto forse che ci siamo parlati?») e McEnroe a rispondere pronto come sapeva fare un tempo: «Spogliatoi? Io non ci sono mai entrato». Poi però il siparietto è finito, anche perché l’ex SuperMac si è infilato nella cabina di Espn per tornare a fare il commentatore tv e quindi l’abbraccio di Judy Murray ha premiato – diciamo così – i meriti acquisiti sul campo. «Ivan? E solo fortunato» scherza poi Murray durante la premiazione sollevando un ghigno sinistro del coach, e però non c’è dubbio che il suo ritorno gli ha dato la tranquillità che serviva per rivincere il trofeo più amato. Quello che Lendl, per colpa di McEnroe, non è mai riuscito a conquistare da giocatore. E quello che Andy ha tenuto aggrappato nelle braccia a lungo, fino a quando le rigide regole di Wimbledon glielo hanno consentito: gli resterà una piccola replica e l’emozione di avercela fatta di nuovo. «Questa volta è diverso: nel 2013 avevo la Gran Bretagna che si aspettava la mia vittoria, adesso mi posso godere di più quello che ho conquistato, soprattutto dopo aver perso due finali quest’anno. Ivan è un leader, c’era allora ed è tornato ora perché ci intendiamo bene. Insomma, adesso posso sorridere». E mentre Wimbledon chiude i cancelli, gira voce che sorrida anche Lendl.


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