La legge di Djokovic: settima finale. Serena crac, fine di un'era. Ora comanda la Kerber. Karolina, la stella che non t'aspetti. "Non solo un gran servizio" (Lopes Pegna). Ormai più Beyoncè che Serena (Azzolini). Serena, maledetta New York, perde Slam e scettro di regina (Clerici)

Rassegna stampa

La legge di Djokovic: settima finale. Serena crac, fine di un’era. Ora comanda la Kerber. Karolina, la stella che non t’aspetti. “Non solo un gran servizio” (Lopes Pegna). Ormai più Beyoncè che Serena (Azzolini). Serena, maledetta New York, perde Slam e scettro di regina (Clerici)

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La legge di Djokovic: settima finale (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

L’Arthur Ashe si riempie, nonostante l’orario pomeridiano di un giorno feriale. Del resto, Novak Djokovic aveva promosso l’evento alla sua maniera: «Gael Monfils è uno di quei giocatori per cui comprerei sempre un biglietto». Non per nulla, lo chiamano «Showtime», un etichetta che il francese (terzo transalpino a entrare in una semifinale a Flushing nell’era Open) in verità vorrebbe staccarsi di dosso. ALTALENA E lo spettacolo ci sarà anche stavolta, quando già pensavi che i soldi del biglietto fossero buttati. Perché per i primi due set il francese fa solo la comparsa, poi improvvisamente torna in partita e intrattiene il pubblico alla sua maniera: con giocate da acrobata del circo. Ma anche Djoko non sarà da meno. E alla fine approderà alla 7° finale degli Us Open. Il match promette bene nel primo game, con Nole a rete due volte, e con un dritto siluro di Monfis. Bello. Ma è un’illusione, perché poi il francese sbaglia cose elementari e il serbo è la solita macchina quasi perfetta. Nole sale 5-0 in 16′, ma improvvisamente s’inceppa e la partita riprende vigore: Djoker si procura tre set point (40-0), spreca però con tre doppi falli e finisce per perdere il servizio. Monfils lo fissa negli occhi indolente, ciondola per il campo come se fosse disinteressato a quanto gli sta succedendo intorno. Se è fatto di proposito per innervosire il numero uno del mondo, per un breve periodo pare funzionare: Djoko è sull’orlo di cedere la battuta (2 palle break contro) per la seconda volta, che farebbe riavvicinare il rivale al 4-5 e invece chiude il primo set per 6-3 (36′) con due errori di Monfils. Ma non sarà l’ultimo atto di resistenza al carrarmato serbo. STORIA CAMBIATA Con Nole si conoscono fin da ragazzini. Da junior era lui, Gael, a dominare: numero uno assoluto. Ma una volta cresciuti, il trend era cambiato drasticamente. Il francese si è perso per strada. Colpa degli infortuni (ginocchio, polso, caviglia, piede, schiena, adduttori) e delle donne, il suo pallino («Ma cosa state dicendo: è da otto anni che non esco dai 15», si era inalberato). Nole si è messo a testa bassa e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il primo game della seconda partita fa spellare le mani: un palleggio arroventato di scambi favolosi. Tennis di altissima qualità. Sembra di nuovo il Monfils visto in questi dieci giorni in cui non aveva mollato neppure un set (unico dei quattro semifinalisti). Ma purtroppo rimane un episodio sporadico e il francese s’inabissa per 6-2 in 29′. Quando va a sedersi, zoppica. S’incrociavano nell’Atp per la 13°volta (12 successi di Nole), l’ultima a Toronto a inizio agosto. Nole è alla 10° semifinale degli Us Open con sei vittorie, Gael alla seconda semi della vita e ha un record di 19-2 dopo essere stato eliminato al primo turno di Wimbledon. Grande appassionato di basket, per motivarsi ha tirato fuori pure la carta LeBron James. Dice che le ultime Finali Nba gli hanno insegnato tanto e ne ha fatto tesoro. Così nel terzo set succede quello che non ti aspetti. Novak, che si è presentato con un polso ammaccato e una forma non impeccabile, ma si è rasserenato moltissimo round dopo round, si porta avanti 2-0 e sembra mettere la parola fine. Sembra. Gael recupera e lo fa dopo un altro scambio straordinario. Alza il braccio: applausi. Trova il primo vantaggio della sfida. Prende coraggio, il serbo al cambio campo si fa massaggiare la spalla sinistra (poi nel 4° anche quella destra). Sulle palle più complicate, Monfils torna «showtime» e conquista la partita rimontando da 0-40 sul suo servizio, infilando 5 punti di fila. Nel 4° , Nole rischia subito le penne, poi il break di Nole nel quarto gioco è incredibile: un dritto che incrocia su un angolo impossibile. II serbo fa subito harakiri cedendo la battuta con un doppio fallo . Ma Monfils non ha la fama di cavallo pazzo per nulla e affonda

 

Serena crac, è la fine di un’era. Ora comanda la Kerber (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Tira una brutta aria dopo che il «Serena Show» ha appena chiuso i battenti. In semifinale, come l’anno scorso. Contro un’avversaria all’apparenza abbordabile, la numero 11 del mondo Karolina Pliskova, un po’ come lo era stata Roberta Vinci dodici mesi fa, arrivata agli Us Open da numero 43. Nel dietro le quinte, Serena ha raccolto i capelli e mostrato una faccia cupa. Spariti i sorrisi e la parlantina sciolta con cui di solito racconta i momenti lieti. Qui non ce ne sono stati. Sul cemento preferito, davanti a una folla zeppa di vip che l’adora, ha perso tutto. Non soltanto la partita. Spodestata dal trono di numero 1 dopo 186 settimane consecutive, senza poter distanziare Steffi Graf, che ricorre sempre nei suoi incubi: «Non mi chiedete di parlare di quello, grazie», chiarisce subito. L’argomento brucia. Qualcuno ci riprova: «Mi spiace dovermi ripetere: no comment», fulmina l’interlocutore. Capito l’umore? Perché in questa batosta forse legge cose che solo lei può conoscere. A parte il successo a Wimbledon, i flop (per i suoi altissimi standard) agli Australian Open e a Parigi, dove è stata sconfitta in finale, o l’eliminazione al terzo turno ai Giochi di Rio, le segnalano di trovarsi già sul viale del tramonto. Nessuno osa domandare, lei è felice di evitare il tema. SENZA SCUSE Intanto riflette sulla storia che non è riuscita a fare e a cui tiene moltissimo. Non riesce a distanziare Steffi neppure come numero di Slam (22 pari) o Chris Evert come trofei agli Us Open (6): «Ho giocato malissimo, troppi errori. E poi lei ha fatto una gran partita», ammette secca. Diventa persino dura quando qualcuno insinua che fosse stanca della fatica di 24 ore prima con la Halep: «Se in un giorno non fossi capace di recuperare allora dovrei cambiare mestiere». Le va dato atto di non cercare scuse, perché ci vuole un po’ prima che venga tirato fuori l’argomento ginocchio sinistro: «Mi sono fatta male nel secondo round, ma preferisco non rivelare la diagnosi. Non potevo muovermi sul campo nel modo in cui speravo. E poi quando sei infortunata, finisce che ti distrai. Ma Karolina è stata brava e ha meritato». L’allenatore Patrick Mouratoglu non la pensa così: «Se Serena fosse stata solo leggermente meglio avrebbe vinto in due set». Si vede che non è americano, perché qui quando un campione dello sport si aggrappa a degli alibi viene massacrato. CONSEGNE Stona il fatto che non rivolga neppure un piccolo complimento alla Kerber, la nuova regina, un’altra tedesca. Un passaggio di consegne avvenuto senza uno scontro diretto, almeno qui. A 28 anni è la più anziana a diventare numero 1 per la prima volta, la di terza mancina sempre, la 22° della storia: «Ho realizzato il mio sogno di bambina. Sono la prima del mio Paese dopo Steffi», dice fiera. Da Steffi a Las Vegas era andata l’anno scorso a fare uno stage dopo una serie di eliminazioni precoci: «Mi ha aiutato a trovare la fiducia in me stessa, il mio difetto più grande». A fine 2015 era numero 10, ma sul piatto aveva altre ambizioni: «Mi sono seduta con il mio allenatore e abbiamo discusso su cosa potevamo fare per migliorare ancora», spiega. Qualunque sia stato il contenuto della discussione è stato proficuo. Angelique, che ha genitori polacchi («Mi sento tedesca, ma nel calcio sto con la Polonia»), ha subito vinto gli Australian Open (contro Serena), il suo primo Slam. Anche se poi ha pagato quell’improvvisa notorietà con l’eliminazione al primo turno a Parigi. Ma a Wimbledon è tornata in finale (perso ancora con Serena) e adesso è nella terza finale Major della stagione. Un bottino da prima della classe. Ma non è stato semplice andare in campo dopo aver appena appreso di aver impugnato lo scettro del tennis: «Ho guardato gli ultimi punti e giocare la semifinale con Wozniacki è stato mentalmente molto difficile». Ora ha davanti l’ultimo ostacolo: arduo. La Pliskova, l’ultima donna ad averla battuta.

 

Karolina, la stella che non t’aspetti. “Non solo un gran servizio” (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

E’ la donna che nessuno si aspettava. Neppure lei, almeno al principio del torneo: «La finale era un sogno, ma adesso spero che non s’interrompa qui», dice Karolina Pliskova. Soprattutto dovendo farsi strada nel tabellone con davanti le sorelle Williams. Ora la ceca, n. 11 (ma 5 in caso di trionfo, altrimenti 6), rivela che la vittoria con Venus è stata fondamentale per il suo cammino: «Perché ha un sevizio potente e simile a Serena. Sono stata sotto di un match point e sono sopravvissuta. Così quando mi sono trovata con l’altra Williams non ho avuto paura: sapevo di poterla battere». Sbruffona? Non esattamente, sicura di sé. Racconta: «Non volevo solo godermi il momento, ma vincere». LA COSE A POSTO Una fiducia costruita anche con il recente successo in finale a Cincinnati su Angelique Kerber, a cui ha impedito di diventare numero uno con venti giorni d’anticipo. Ora, per essere equa, abbattendo Serena ha rimesso a posto il ranking. Ride. Ma perché sa che nelle ultime tre settimane è riuscita a sconfiggere le due numero uno: «Per qualche motivo non avevo mai fatto bene negli Slam (mai oltre il terzo turno, ndr), ora so che me la posso giocare con tutte». Qui a Flushing ha stabilito un primato personale dopo l’altro nei grandi tornei: suo primo ottavo, quarto, semifinale e ora la finale. Ha una gemella identica, ama Paolo Coelho e la musica folk ceca, ma soprattutto possiede un caratterino tosto che le sarà molto utile in futuro. Perché dice due o tre cose senza il minimo timore di apparire arrogante: «Vinco per il mio servizio? E’ vero ho una gran battuta, ma pure un bel dritto e un bel rovescio. E non sono di quelle che aspettano l’errore dell’avversaria, piazzo colpi vincenti». Come i 19 contro Serena: «Come dite, era infortunata? E allora non doveva scendere in campo. Quando non sto bene io, nessuno si cura delle mie condizioni». La Kerber farà bene a dormire preoccupata.

 

Kerber, la nuova regina è tedesca (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport)

«Steffi Graf è una grande campionessa, una grande persona, penso che sarà orgogliosa di me». Prima di lei, Steffi è stata l’unica altra tedesca a sedersi sul gradino più alto del ranking Wta (l’ultima volta nel 1996) e il suo record di 186 settimane consecutive davanti a tutte è stato solo eguagliato da Serena Williams. Ma adesso è il turno di Angelique Kerber, 28 anni, la più anziana ad arrivare per la prima volta al vertice del tennis femminile mondiale, record quest’ultimo che apparteneva a Jennifer Capriati che nel 2000 aveva 25 anni. Angie è anche la prima nuova “number one” in quattro anni dopo la lunga “new era Serena”: in precedenza c’era stata Victoria Azarenka. Un sogno che la Kerber ha cominciato a cullare da quando ha cominciato a giocare, aveva 3 anni, c’è voluto tempo, perseveranza e un 2016 indimenticabile: alla fine dell’anno scorso infatti la tedesca, che a New York ha battuto nei quarti una super acciaccata Roberta Vinci, era soltanto decima nella classifica Wta e in tutta la carriera aveva centrato solo una semifinale in uno Slam, dopo che ci aveva provato 32 volte. Poi è arrivato il nuovo anno: prima degli US Open due finali di Slam, una vinta in Australia, una persa a Wimbledon, sempre con Serena Williams, l’argento alle Olimpiadi, il numero 1 svanito a Cincinnati, per colpa di Karolina Pliskova, poi ritrovato, una cortesia inattesa della stessa ceca. Così quando la Kerber a Flushing Meadows è entrata in campo per la semifinale contro Caroline Wozniacki, con Serena fuori dai giochi, sapeva che il sogno di essere numero 1 al mondo lo aveva già raggiunto. La prima mancina al top delle classifiche mondiali dal 1996, allora c’era Monica Seles, ma anche la terza in assoluto, con la grandissima Martina Navratilova. È LA 22°. «Essere in finale e contemporaneamente numero 1 al mondo – ha detto la Kerber appena tagliato il terzo grande traguardo dell’anno a NewYork – è stupefacente». Poi il racconto di questo momento che aspettava, da troppo tempo. «Nelle ultime settimane – ha ammesso – ho cercato di non pensarci troppo e adesso ho raggiunto il top, è qualcosa di davvero speciale per me, perchè sì sognavo di diventare la numero 1». Angelique è anche la 22a tennista nella storia, dal 1975 quando il ranking Wta è cominciato, a raggiungere il gradino più alto. E la prima partita da virtuale numero 1, la nuova classifica arriverà lunedì, l’ha giocata contro una ex regina, la danese Wozniacki, che quel primato l’ha mantenuto per 67 settimane dal 2010 al 2012. «Angelique ha avuto un grande anno – ha detto Caroline – sta giocando davvero bene. Non sono tante le tenniste che hanno raggiunto questa posizione, è una enorme conquista». LA SVOLTA. Ma quando Angie ha davvero compreso che il suo momento stava arrivando? «Dopo aver vinto il mio primo Slam – ha ammesso senza esitazioni – da li ho avuto molta più fiducia. Ho creduto di più nel mio gioco e nei miei miglioramenti. Ho cercato di abituarmi a questa pressione e a tutte le cose che sono successe dopo l’Australia. Non so se ero preparata per tutto ciò, ma credo di aver giocato un anno strepitoso». E adesso per coronarlo c’è la finale con la Pliskova e la tedesca è in vantaggio 4-3. Il bilancio è di 3-2 sul cemento, la superficie di Flushing Meadows, con la Kerber che ha appunto perso l’ultimo confronto, quello di Cincinnati. I bookmaker la danno favorita intorno a 1,50.

 

Ormai più Beyoncè che Serena (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Le crisi dei Grandi non sono come le altre. O sono grandi crisi, o lo sono in grande stile. Nei numeri, nei dati, nei termini che si utilizzano per descriverle e valutarle. Come Federer prima di lei, Serena Williams si consegna ai turbamenti di mezza età(ne ha35, non sono pochi) con un corredo di vittorie e finali, in questo 2016, che farebbe invidia a tutte le avversarie. Tutte, meno una. Ed è questa, forse, la novità più significativa dell’ingresso ufficiale di Serena nelle sabbie mobili delle attuali difficoltà, o inefficienze, se vi va di chiamarle cosi e di sommare in una sola parola l’insieme di problemi portati alla luce dalla sconfitta di ieri con Carolina Pliskova: stanchezza, dolori al ginocchio, mal sopportazione delle infinite pressioni cui è sottoposta, angosce esistenziali e, sì, anche calo del desiderio. No, tranquilli, non quello che immaginate, maliziosi che non siete altro. Intendiamo quel desiderio di recitare per l’eternità nel ruolo della Donna Imbattibile. «L’ho capito un anno fa – ha detto – quando Roberta Vinci mi superato in semifinale. Nessuna ha diritto di sentirsi imbattibile. E nessuna è giusto che lo sia». La novità è questa: per la prima volta c’è una tennista che in quanto a risultati non ha niente da invidiarle. Anzi, forse le è superiore. Si chiama Angelique Kerber e da lunedì sarà forse la vincitrice degli Us Open (ma su questo, meglio andarci cauti), di certo sarà la numero uno (a 28 anni, la più anziana a salire per la prima volta al soglio del tennis femminile). Altre volte Serena non è stata al vertice, ma sempre il tennis si è rivolto a lei come se lo fosse. Era dietro, «ma se solo volesse», si diceva, sarebbe davanti a tutte e vincerebbe a mani basse. Stavolta, non è così. Angie che è polacca d’origine, come polacca è Caro Wozniacki la più grande amica dell’una e dell’altra (finita battuta ieri proprio dalla Kerber), Angie che tutto investe in alberghi, Angie che ha colpi potenti e gambe veloci e per molti anni è stata la più forte fra le perdenti, perché sbatacchiava tutto fuori dalle linee del campo, in quest’anno di grazia ha messo insieme tre finali dello Slam, un vittoria (forse due), e un primo turno a Parigi, dimenticato con una finale e un argento olimpico. Serena ha tre finali Slam, una vittoria, una semifinale, ma ai Giochi è uscita al terzo turno. Prestazioni qua-si alla pari, ma non i punti racimolati nel Tour, che Angie frequenta con maggiore assiduità di una Serena assai più propensa a riguardarsi e ad amministrare le forze. Lunedì, Serena avrà 7.050 punti in classifica, Kerber 8.030 se verrà sconfitta in finale, o 8.730 se vincerà il torneo. Non sono pochi mille punti di differenza (figurarsi 1700). Soprattutto, non vi sono state avversarie, in questi anni, capaci di sommarne così tanti. Serena lo aveva sempre impedito. « È un sogno? Lo è. Ma anche un segno – dice Angie – Il segno della mia crescita. Ho visto le ultime battute del match di Serena. Sapevo che per lei sarebbe stata dura». E lo sarà anche stanotte, quando si affronteranno per il titolo. Come a Cincinnati, due settimane fa, quando la giovane ceca la spazzò via: 6-3 6-1. Serena non esce di scena. Resta li, con 186 settimane da numero uno consecutive (come la Graf) e 22 Slam già vinti che potrebbero diventare 23 a Wimbledon, fra un anno. Nessuno sa quando smetterà. Ma forse, questa sua sconfitta potrà essere letta un domani come l’annuncio di una designazione. Quasi Serena avesse scelto la sua erede. La Kerber? Macché: «La Pliskova è fortissima». Parola di una ex numero una

 

Serena maledetta New York, perde Slam e scettro di regina (Gianni Clerici, La Repubblica)

Non faccio il talent scout, categoria ormai giunta tanto avanti da studiare i tornei delle mamme incinte. Nel corso degli Slam faccio qualche giretto che mi ha permesso di anticipare l’esistenza tennistica di tali Rosewall, Laver, McEnroe e Navratilova, ai tempi in cui ancora riuscivo a palleggiare prima di scriverne. Non ho dunque palleggiato con Karolina Pliskova, ma ne sono stato impressionato quanto un monaco zen si imbatte in un futuro Dalai Lama, sia detto per esagerare. Nel 2010 il mio amato collega Bud Collins mi suggerì di dare un’occhiata a una ragazzina meritevole di curiosità, e quel che mi sorprese di Karolina fu il suo aspetto di longitipo spinto, simile a un asparago, e la sua capacità di colpire la palla con una violenza sorprendente per quei pochi muscoli. Sarà stata sui 40 kg, ma impattava con una violenza sorprendente per i suoi diciassette anni, una violenza che la condusse al successo nei Campionati juniores australiani. Giungeva da una citta, Karolina, che aveva già cullato bambini diventati da grandi bravissimi tennisti. Dal Re Rodolfo II , che nel 1500 mi era sfuggito, su su fino al mio partner Jaroslav Drobny, a Jan Kodes, a Martina Navratilova. Tutti ben noti a Wimbledon, e tutti dotati di mani fatate. La manina di Karolina le è stata ora utile in quella che il New York Times (gran giornale di tennis quanto l’Equipe) definisce ora “shocking upset” (tradurrei pazzesca sorpresa)e che, sotto sotto, attribuisce fondamentalmente al ginocchio sinistro malconcio di Serena, così come l’anno scorso aveva attribuito la sconfitta con Robertina Vinci all’emotività legata al possibile Grand Slam. « Non riuscivo a muovermi come volevo, quando sei infortunata la tua mente pensa ad altro, e la mia si trovava fuori campo» ha detto Serena. E, infine: «Ci fosse stato un 3 set, avrei perso 6-0». Ma torniamo a Karolina, che potrebbe anche vincere lo US Open, contro “Miss Muscolo” Kerber, battuta nel torneo precedente. Dal giorno in cui la vidi per la prima volta su un campetto di Melbourne, Karolina non ha fatto che progredire regolarmente di 20/30 posizioni di classifica l’anno, fino al n. 11 della fine del 2015. Quest’anno i suoi risultati non facevano immaginare i successi di New York se la ricordiamo vincitrice a Notting Hill, in finale a Nottingham e Indian Wells, e con risultati modesti negli Slam, due secondi e un 3 turno. Insieme alla semisorpresa per l’apparizione della Pliskova, va detto che simile avvento non prevedeva addirittura la duplice sconfitta delle Williams Sisters. Dal giorno in cui le avevo viste bambine, su uno slabbrato campo di Compton, gestite da un Padre Attore, le sorelle avevano preso a dominare il giuoco. Prime afro-americane dopo la povera Althea Gibson, prime a mostrare due corpi da campionesse olimpiche, prime a far comune razzia di Slam. Anche ora, contro Karolina, Serena ha riscosso una sorta di devoto sentimento di ammirazione dal pubblico di Flushing Meadows. E due soli sono stati gli istanti (Indian Wells e Roland Garros ) nei quali un pubblico razzista aveva turbato l’aura di stima che le Sorelle erano riuscite a suscitare. Adesso, dopo la doppia sconfitta dello US Open, ci si domanda per quanto tempo ancora continueranno ad ottenere la nostra ammirazione di. Hanno 36 anni Venus, 35 Serena, hanno vinto 29 Slam (22 Serena, 7 Venus): fino a quando le rivedremo con le loro stravaganti sottanine, o saremo costretti ad ammirarle nei tristi tornei di doppio ai quali sono invitati gli ex, o l’onorevole cimitero dei viventi, detto Hall of Fame?

 

 

 

 

 

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